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Tutto quello che succede intorno a noi è sempre il frutto di un comportamento personale o sociale. Noi siamo bravi a tirare le pietre e a condannare chiunque, senza mai riflettere sulla matrice di un certo contesto o comportamento altrui. Si evita spesso in tal modo di non riconoscere nel nostro modo di agire un segno diretto o indiretto, collegabile più volte a quanto da noi viene puntualmente ammonito. L’azione esterna è il frutto di tutto ciò che fiorisce armonicamente o selvaggiamente in ogni cuore. Noi cristiani, ma il riferimento a mio avviso è universale, troviamo l’esempio più eloquente nella differenza che si percepisce tra il cuore di Cristo e quello dei farisei. Nel primo vi è tutta la misericordia del Padre per la redenzione del mondo e l’amore che Egli ha per ogni singolo uomo, per ogni istante della sua vita. [MORE]
Nel secondo risiede il seme satanico che prepara all’odio, alla cattiveria, alla superbia, all’egoismo, puntando al mito della propria persona e al disinteresse totale verso la salvezza del popolo. Cosa può venir fuori da un cuore del genere, se non l’esclusione, la perdizione, l’abbandono di ogni forma di fraternità rispetto al proprio prossimo? Mentre da un cuore che, come quello di Cristo, nutre i suoi battiti di misericordia e di amore per l’altro, non possono che sgorgare elementi di vita positivi e affidabili, in grado di accompagnare nel bene i singoli e le dinamiche sociali, su cui essi si riflettono. Si capisce, a questo punto, quanto siano necessari la formazione personale; la ricerca della sapienza cristiana; l’apertura verso una dottrina che, nelle sue “norme”, liberi dentro e non faccia mai mancare l’aria fresca della verità.
Difficile tutto questo in pieno mercato speculativo, dove la persona non conta più nulla. Nel nome del profitto fine a se stesso si è pronti ad annullare quel cuore che al primo posto decida di mettere i diritti naturali e i principi che, dal vangelo, hanno rivoluzionato l'identità interiore ed esteriore dell'umanità. Il Pastore che lascia le novantanove pecore, per salvare l'unica dispersa, è diventato, per molti, un gesto tratto da una favola da leggere ai bambini. Oggi la cosa più grave è che avere un cuore aperto verso la luce della Parola, significhi essere perdenti; troppo misurati; persino soggetti deboli. I riferimenti sono altri. La cosa necessaria è apparire nel modo in cui la società chiede di essere. Il resto non conta. Il cuore si può riempire di ogni falsa verità, l'essenziale è possedere la capacità di appartenere al “gruppo giusto” o al richiamo più “charming”, costi quel costi.
Dove allora individuare la vera scelta? È tutta nella consapevolezza che il cuore prima di ogni azione di vita vada sintonizzato su Cristo; sulla sua storia terrena; su quanto missione, crocifissione e resurrezione hanno lasciato al mondo intero. L'alternativa non può essere che demoniaca. Non è certo il bene a tutelare le spalle dell'uomo che prepara il suo cuore da se stesso, escludendo ogni sua radice celeste e spirituale. Nel libro di Ezechiele si legge: ”…Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche:…”. Ad ognuno spetta una riflessione attenta per evitare di essere tra quelli che lasciano, ogni giorno, nella solitudine chi accanto a loro potrebbe salvarsi, cambiando un cuore perduto. Alla fine è sempre il “cuore” che fa la differenza!
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