Il Cdm approva la riforma del Senato. Renzi: «è finito il tempo dei rinvii»
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ROMA, 1 APRILE 2014 - Ieri pomeriggio il Consiglio dei Ministri, all’unanimità, ha dato il primo via libera alla riforma del Senato della Repubblica. Renzi ha potuto contare, giocando in casa, sul voto favorevole di tutti i ministri, nonostante gli ammonimenti ed i richiami di questi giorni, da parte del Ministro Giannini.
Una riforma costituzionale, quella voluta dal Premier Renzi e presentata in conferenza stampa dal Ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, che si pone come obiettivo primario quello di superare il bicameralismo perfetto, svuotando Palazzo Madama dei poteri prettamente legislativi.
Difatti, ha spiegato Renzi, con questo passaggio costituzionale «intendiamo superare il cameralismo perfetto con quattro paletti sul Senato (che si chiamerà Assemblea delle Autonomie): non voterà la fiducia, non voterà la legge di stabilità, non sarà eletto tramite elezione diretta ed i nuovi Senatori non percepiranno indennità».
La riforma impostata e caldeggiata fortemente da Renzi, il quale tra l’altro ha posto in essa la continuazione del suo mandato, è stata del tutto osteggiata in questi giorni dall’anima “costituzionalista” del Paese, come Gustavo Zagrebelsky, che ha definito il metodi renziani sul rinnovamento del Senato una virata «autoritaria dell’esecutivo» o come il Presidente del Senato, Pietro Grasso, il quale nei giorni scorsi ha avvertito Renzi sulla necessità di mantenere l’elettività del Senato.
Ma, come ha riferito ieri il Premier in conferenza stampa, «il tempo dei rinvii è finito. E’ importante che non ci sia spazio per ulteriori dilazioni. A maggio sarà presentata in prima lettura al Senato». Renzi ha poi fatto leva sulla necessità di dare un segnale di rottura dalla vecchia guardia, al Paese, dicendosi «certo che non ci saranno tra i senatori persone che non colgano la straordinaria opportunità che stiamo vivendo».
Ha continuato il Premier: «In Italia sta tornando la speranza che le cose cambino davvero: sono sicuro che non ci sia alternativa al futuro ed è impensabile continuare a fingere che non sia così».
Renzi, nonostante gli oppositori della riforma ed i firmatari di appelli contro la “manomissione” della Carta Costituzionale, può stare sereno, perché a fargli da sponda su questo tema, c’è anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale con una nota diffusa dal Quirinale, si è detto «da tempo interessato al superamento dell’impostazione bicameralista, al fine di velocizzare i tempi della politica».[MORE]
Dai banchi del parlamento non tutti sembrano però pronti ad accettare la radicale trasformazione del sistema legislativo italiano. Anche all’interno del Partito Democratico, nonostante le rassicurazioni di Renzi sull’unità del gruppo, sembra potersi nascondere qualche insidia. Civati si è dichiarato non disposto a forzare la mano sulle riforme costituzionali e Fioroni, rappresentate dell’anima cattolica del PD, ha difeso Grasso e le sue dichiarazioni contro la riforma.
Una strada in salita per Renzi che deve fare i conti, oltre che con le barricate issate dal Movimento 5 Stelle e dai costituzionalisti italiani, anche con un percorso molto lungo in termini di tempi e che senza dubbio porterà alla fine ad un referendum costituzionale.
Le leggi che modificano la Costituzione devono infatti essere approvate da ciascun ramo del Parlamento con due distinte risoluzioni e tra le quali devono intercorrere almeno tre mesi di tempo, richiedendo tra l’altro per l’approvazione la maggioranza assoluta in seconda seduta.
In seguito alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale si avanza richiesta per un referendum confermativo. La storia d’Italia ne ha sottoposti due all’attenzione dell’elettore: il primo nel 2001, approvato, voluto dal Governo Berlusconi e con il quale si è modificato l’assetto del Titolo V e nel 2006, bocciato, con il quale si intendeva riformare la parte seconda della Costituzione.
Sergio Sulmicelli
foto da corriere.it