Il boom della Musicoterapia e un'Italia «da mercante»: Intervista a Giacomo Ganassini
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GESUALDO (AVELLINO), 6 GIUGNO 2014 - C'è la musica e la sua immediatezza, il suo valore introspettivo, emozionale, comunicativo. La musica come linguaggio, semantica profonda, espressività; la musica come movimento, rapporto individuale e di gruppo. La musica come processo, strumento regressivo pronto ad implodere su una comune prassi verbale, a contrarsi in una nuova genesi embrionale del complesso Suono-Essere Umano, a ravvivare caleidoscopici canali di comunicazione sopiti dal verbo. La musica come terapia, con l'obiettivo di attivare processi di socializzazione e di inserimento sociale, promuovere relazioni, apprendimento, organizzazione e altri obiettivi degni di rilievo, nella prospettiva di assolvere bisogni fisici, emotivi, mentali, sociali e cognitivi. [MORE]
C'è la musica e c'è la musicoterapia – sì intesa, e la sua funzione preventiva, gestione del comportamento e miglioramento di interpersonalità a rischio, riabilitativa dei ritardi mentali, di psicosi affettive, di sindromi autistiche, di disordini neurologici compresi la demenza di Alzhaimer, la malattia di Parkinson e la corea di Huntington; la Musicoterapia con funzione palliativa delle sofferenze dei malati terminali, come completamento di un più ampio discorso clinico, con funzioni socio-sanitarie e psico-pedagogico-educative.
C'è la Musica che negli ultimi cinquant'anni s'è investita del suo valore terapeutico, dandosi un ruolo più chiaro, una identificazione netta, medica, come quando al termine della prima guerra mondiale musicisti affollarono i “Veteran Hospitals” suonando per i reduci che soffrivano di forme sia fisiche che psichiche di trauma post-bellico. Da allora un rapido crescendo identitario, lo sviluppo della Musicoterapia come trattamento clinico applicato, somministrato da professionisti con adeguata formazione ed attualmente accettata come disciplina al pari di altre professioni nei servizi clinici-assistenziali.
Una nuova realtà che s'è repentinamente imposta nel sostegno clinico a livello internazionale, che vanta già diverse scuole di pensiero improntate sulla psicanalisi, sugli approcci comportamentali o più dirette verso l'ambito musicale, con il riconoscimento ufficiale da parte di istituzioni, organizzazioni politiche, cliniche ed accademiche in numerosissimi paesi, quali quelli anglofoni, scandinavi o di lingua ispanica, mentre stenta a decollare come strumento terapeutico, riscontrando non pochi ostacoli, in molti altri paesi.
Tipo, in Italia.
L'incontro con Giacomo Ganassini, musicoterapista trevigiano ma da circa dieci anni adottato dalla città di Cambridge, avviene in un'insolita cornice irpina, nel piccolo centro di Gesualdo. Cornice rigorosamente verdeggiante, nella quiete dei suoi 3,500 abitanti, ove si staglia solenne la Scuola Triennale di Musicoterapia “Carlo Gesualdo”, una realtà formativa che nasce per volontà del Comune di Gesualdo, sostenuta da enti pubblici, sanitari, accademici e scientifici. L'offerta didattica cerca di coniugare gli standard formativi internazionali, attraverso approfondite conoscenze teoriche e capacità di applicazione pratica, un vero e proprio corso triennale teso a generare i musicoterapisti di domani. Nove anni di una filosofia didattica arricchita dal contributo esperienziale del Maestro Sabatino Miranda, definita nel panorama nazionale grazie alla sua partecipazione alla fondazione e formazione del Polo Mediterraneo di Musicoterapia, e in quello mondiale grazie alla sua presenza nella Fondazione Mondiale di Musicoterapia di Buenos Aires, del Prof. Rolando Omar Benenzon.
L'esplosione di una disciplina in fieri quale la Musicoterapia, coglie particolarmente impreparata l'Italia da un punto di vista legislativo, ossia di una chiara risposta all'identificazione della figura professionale del musicoterapista alle crescenti domande che vorrebbero colmare il vuoto normativo, e prenderla in considerazione con un approccio più olistico. Sia per quanto riguarda la formazione che per la pratica clinica e la definizione dei criteri professionali, la musicoterapia è infatti oggi regolata da associazioni private, spesso riferite a localismi, iniziative personali e singoli progetti tra loro non coordinati, che non hanno modo di espicitare la realtà professionale con una adeguata coerenza.
Ne abbiamo parlato con Giacomo Ganassini, che ha presentato un seminario nella scuola di Gesualdo sulla musicoterapia in ambito medico-legale, fornendo la propria esperienza diretta, i sussidi e le valutazioni positive della disciplina, in un paese – l'Inghilterra – dove l'appropriata regolamentazione fa avvertire i suoi tangibili effetti. Giacomo si presenta con un solco lungo il viso disteso, teporoso, e nella flemma dei suoi colori chiari sprigiona tutta la meticolosità infusa nella sua professione.
La musicoterapia come disciplina moderna trova probabilmente i propri ostacoli nella difficoltà di fornire definitivi risultati empirici della sua applicazione.
In generale nel mondo, credo che maggiore ricerca scientifica vada fatta nello studiare i risultati della musicoterapia. Nella maggior parte dei casi, i musicoterapisti lavorano indipendentemente, e per quanto usino obiettivi e strumenti di autovalutazione, la ricerca è tutt'al più qualitativa, basata sullo sviluppo della relazione personale con i clienti e difficile da misurare empiricamente. La musicoterapia neurologica tuttavia si sta sviluppando con studi EEG e MRI sulle aree del cervello legate alla musica, e questo è molto più misurabile.
Tu ti sei avvicinato alla Musicoterapia in Inghilterra, qual è stata la tua formazione?
Il corso dove ho studiato si rifa come capostipite più a Mary Priestley. Tuttavia, i miei insegnanti fanno parte della generazione subito dopo – Amelia Oldfield, Helen Odell Miller e Eleanor Richards. Ora queste persone hanno un sacco di pubblicazioni e hanno sviluppato un loro metodo, ma si è perso il focus su quale fosse il “metodo originale” del padre fondatore. Piuttosto si studiano tecniche di uso della musica in relazione ai diversi contesti di lavoro – principalmente nei campi di disabilità e salute mentale, e la comunicazione musicale viene collegata a teorie psicoanalitiche o dello sviluppo – Winnicott, Bowlby, Bion, Klein, Stern tra i classici.
Nella tua esperienza professionale in Inghilterra, quali sono stati i tuoi strumenti di valutazione?
Ci sono principalmente strumenti di autovalutazione che aiutano a tenere una traccia degli obiettivi prefissati. Tanti professionisti usano metodi diversi, e quello che a mio parere sta riscuotendo più successo al momento si chiama Outcomes Star. Se possibile, il cliente / paziente viene incluso in questa valutazione, tanto che sarà lui alla fine a dover riscontrare beneficio dalla terapia. Infine, penso che ci si può arrovellare per una vita in cerca delle prove scientifiche dell'efficacia della musicoterapia, ma bisogna anche riconoscere che raramente la musicoterapia da sola può causare uno stravolgimento dei sintomi di un paziente. È l'insieme delle terapie, delle attività fisiche, dieta, farmaci ecc. che assieme contribuiscono allo sviluppo positivo della persona.
Tra le tue esperienze figura un periodo di circa un anno presso l'ospedale psichiatrico giudiziario “Rampton”, nel Nottinghamshire, con adulti con precedenti criminali, sofferenti di psicosi e ritardi mentali. Puoi fornire un vissuto di musicoterapia applicata, compreso di limiti, risultati e impressioni personali?
Al Rampton ho seguito Tom (nome di fantasia, ndr) per un lungo periodo, paziente affetto da schizofrenia paranoide. Lavorare con la musica ci ha permesso di esplorare emozioni, pensieri e ricordi che prima non era riuscito a comunicare al team multidisciplinare dell'ospedale. Attraverso l'improvvisazione musicale è possibile osservare il linguaggio corporeo, e discutere tratti della personalità che si manifestano nell'interazione musicale, e di cui non si era consapevoli. Nel suo caso, Tom era restio a improvvisare, e voleva solo mettere in musica e registrare dei testi che stava scrivendo. Questo suo interesse si è rivelato molto utile alla terapia, giacché alcuni testi si sarebbero rivelati molto personali e significativi in merito alla sua esperienza dell'ospedale.
Nel senso, attraverso la musica Tom ha tirato fuori qualcosa...
Esprimersi creativamente gli ha dato un'occasione di manifestare un diverso lato di sé, in un certo qual modo “sospeso” dal giudizio degli atti che lo avevano portato al Rampton. In forma di hip hop, è riuscito a descrivere in modo molto efficace la propria paura per la malattia, per il futuro, il senso di isolamento nell'ospedale e la separazione dalla propria famiglia. Questa apertura ha permesso al nostro rapporto di svilupparsi sia verbalmente che musicalmente, e ha aiutato Tom a comunicare al team multidisciplinare alcune difficoltà e incomprensioni.
Hai testato, insomma, risultati più che positivi.
Lavorando assieme per più di 7 mesi, la musicoterapia ha avuto, assieme ad altre terapie e attività, la funzione di aiutare Tom a relazionarsi e comunicare con la struttura ospedaliera. Al termine del nostro lavoro assieme, Tom aveva preso parte a due gruppi di psicologia ed era molto motivato musicalmente (avrebbe suonato la chitarra in un progetto di cover-band per i pazienti). Gli ultimi brani che abbiamo registrato, non senza una certa amarezza, riflettevano meno rabbia, e un nuovo senso di accettazione per la sua condizione; senso di colpa da un lato, e ricerca di prospettiva dall'altro.
Dino Buonaiuto