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LECCO, 19 GENNAIO 2014 - Due cose considero straordinariamente avvilenti dell’animo umano: gli ipercritici e gli ipercritici che ti criticano facendo finta di non averti accanto. Stamane sul treno Lecco-Milano uno di loro era seduto proprio accanto a me. Con lui una donna sulla cinquantina, di quelle che portano gli occhiali da sole leopardati e che indossano quella borsa marroncina che mi ricorda tanto come le cinquantenni brianzole, o giù di lì, siano un po’ tutte uguali.
Discorrevano con toni spinti e vocaboli impropri (e con superficialità indegna anche di un bambino di terza elementare) di quanto l’Italia sia cambiata in questi vent’anni. «Via Montenapoleone non è più la stessa, ormai il lusso è standardizzato». Poi danno un’occhiata a me e alla mia amica ed il discorso prende una strada vorticosa, che passa dal peggior Freud per arrivare direttamente all’offesa gratuita e ripetuta, accompagnata da uno sguardo di soddisfacente potere rivolto verso noi.
«Ma il vero problema sono i giovani d’oggi». Primo sguardo eloquente. Mi accorgo che c’è quasi un certo sdegno nel loro volto. «Sono di una terrificante presunzione. Cioè, di questi tempi al massimo prendi una laurea triennale, dovresti stare nel tuo». Abbasso il capo e penso: magari provo a fare la specialistica.
«Non vogliono fare un ca... Sono sfaticati e viziati. Ma la colpa in realtà è della nostra generazione. Li abbiamo cresciuti male. Sono deboli. Sono capaci di uccidersi perché vengono insultati su Facebook, patetici». Ero quasi vergognato per loro e per queste atroci parole, ma poi arriva la mazzata ben peggiore.
«Prendi le ragazze di Roma. Si prostituivano per comprare vestiti firmati». Suggerimento al galantuomo ipercritico che moraleggiava sulla mia generazione: magari di un articolo non leggere solo il titolo. «Avrei preferito si giustificassero dicendo che volevano prendere tutti i piselli del mondo». Rido, poi rifletto su queste parole e davvero rimango sconcertato. Apro il quaderno, prendo una matita ed inizio a scrivere queste profonde riflessioni. Come si può pensare una cosa del genere?
La caterva di insulti continua. Sento che ormai sta diventando una chiara provocazione. Magari è infastidito perché avevo preso il posto accanto al finestrino o semplicemente è invidioso dei miei capelli. «Viziati, presuntuosi, ignoranti e deboli. Che poi se questi bulletti li prendi uno per uno, sono delle merde».
Mentre la mia frustrazione cresceva per non aver detto una parola e fermare questa sanguinaria descrizione della mia generazione promulgata da un tale, che stento a credere sapesse distinguere il bianco dal nero, e la solita vecchia con la borsa marroncina, mi sono accorto che la loro discussione è iniziata commentando i mutamenti di Via Montenapoleone.
E a quel punto che mi sono reso conto della superficialità critica e della mancanza di spirito investigativo che blocca la mente di questi quarantenni-cinquantenni atrofizzati nel loro mondo idillico che noi giovani sfaticati e viziati stiamo, a dir loro, distruggendo. [MORE]
Come dice Ligabue, noi «siamo chi siamo», quelli con «gli anticorpi fatti col veleno». Il veleno di un quarantenne seduto accanto a te sul treno.
Sergio Sulmicelli
(foto da tuttoliga.com)