Giornata della Memoria: il campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia (Cs)
Cronaca Calabria

Giornata della Memoria: il campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia (Cs)

domenica 27 gennaio, 2013

TARSIA (CS), 27 GENNAIO 2013- Oggi in prossimità dello svincolo di Tarsia sud dell'autostrada A3 Salerno - Reggio Calabria è possibile scorgere un campo agricolo, all’apparenza non diverso da altri presenti nella zona che tuttavia “ricopre” la storia di migliaia di esseri umani. Su quel perimetro, noto come il campo di Internamento di Ferramonti di Tarsia, dal giugno del 1940 al dicembre 1945 furono imprigionati ebrei, zingari, apolidi e nemici stranieri. Il lager calabrese, distante circa quaranta chilometri da Cosenza, è stato il principale, in termini numerici,  luogo di internamento nell’Italia fascista durante la Seconda guerra mondiale. Il campo di Ferramonti godette anche di un altro singolare primato: fu in assoluto il primo campo di concentramento per ebrei ad essere liberato ma anche l'ultimo ad essere formalmente chiuso.

Il campo fu costruito dalla ditta Parrini di Roma (che si occupò dei lavori di bonifica della zona paludosa del Crati) ed era costituito complessivamente da novantadue capannoni situati su una superficie di circa 160.000 m². Vi erano capannoni di 335 m², con due camerate da trenta posti, e capannoni da 268 m², che “ospitavano” otto nuclei familiari di cinque persone o dodici nuclei familiari da tre persone.  Il lager era sotto la responsabilità del Ministero dell'interno (Direzione generale della Popolazione e della Razza) e diretto da un commissario di pubblica sicurezza sebbene la sorveglianza esterna fosse stata affidata alla Milizia volontaria per la salvaguardia nazionale. Il 10 luglio 1940 la Direzione del campo rese noto il regolamento disciplinare a cui dovevano attenersi gli internati. Sottoposti a tre appelli giornalieri, i deportati non potevano uscire dalle baracche prima delle 7.00 e dopo le 21.00, o superare i confini del lager senza uno speciale lasciapassare. Non potevano occuparsi di politica, né leggere, senza autorizzazione, pubblicazioni estere e la corrispondenza. Erano proibiti il possesso e l'uso di apparecchi fotografici e radiofonici e di carte da gioco. Non era invece previsto l'obbligo di lavorare, chi non disponeva di redditi per il proprio sostentamento, riceveva un sussidio governativo. 

Si verificarono vari contrasti tra la milizia fascista e la polizia, quest’ultima accusata di mostrare un’eccessiva umanità nei confronti degli internati. Il primo direttore del campo, Paolo Salvatore, venne sollevato dall’incarico agli inizi del 1943 a causa dell’ atteggiamento troppo permissivo verso i prigionieri. Il frate cappuccino Callisto Lopinot si prodigò infaticabilmente per aiutare tutti, senza badare alla fede religiosa. Anche il maresciallo del campo, Gaetano Marrari, si distinse per la sua sensibilità e magnanimità.

Il luogo di detenzione fu costruito in una zona insalubre che provocava facilmente la malaria. Tuttavia il campo poteva contare su un’infermeria e su un medico e operava indisturbata la Mensa dei bambini fondata da Israel Kalk. Carlo Capogreco autore dello studio sulla “Ferramonti, la vita e gli uomini del più grande Campo d’internamento fascista” parla di una vera e propria comunità autogestita munita di ben due sinagoghe (una ortodossa e una riformata), una cappella cattolica e una greco-ortodossa, di scuole elementari, medie e superiori, varie attività ricreative e sportive, uno spaccio alimentare nonché di una sorta di “tribunale”autonomo per dirimere le controversie tra i deportati.  Nessuno degli internati fu direttamente deportato in Germania o in altri territori occupati dal Terzo Reich (dove la loro sorte sarebbe stata presumibilmente ben più nefasta) ma anzi le autorità del campo ostacolarono in ogni modo le richieste naziste in tal senso. Nonostante il deprecabile e criminale internamento, le condizioni di vita nel campo di Ferramonti rimasero, nel complesso, soddisfacenti e umane. Lo storico ebreo inglese Jonathan Steinberg non esitò a definire il campo di Ferramonti come "il più grande kibbutz del continente europeo".

In effetti non si attribuisce nessun decesso causato dalla violenza del personale del lager e le evasioni, in tre anni di operatività, furono soltanto quattro. Coloro che nel campo perirono per morte violenta furono una donna e tre uomini uccisi da una raffica di mitragliatrice di un caccia Alleato impegnato in un combattimento aereo contro i tedeschi. Gli archivi e le testimonianze confermano che, considerata anche l’età avanzata di molti internati, i decessi furono da attribuire prevalentemente a problemi cardiaci o alla tubercolosi. Gli ebrei deceduti nel campo sono stati regolarmente seppelliti all'interno nel piccolo cimitero cattolico di Tarsia, sedici sepolture registrate, ma solo quattro ancora presenti, e nel cimitero di Cosenza con  ventuno sepolture registrate e tutte presenti ad oggi. Dall'estate del 1942, con un peggioramento delle condizioni economiche in tutta la nazione a causa del conflitto bellico, fu concesso a tutti i prigionieri che lo desiderassero il permesso di lavorare al di fuori del campo per integrare le razioni alimentari. E’ doveroso ricordare i numerosi episodi di solidarietà della popolazione di Tarsia nei confronti degli internati. Un preziosissimo contributo culturale e sociale sulla storia del campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia è stato fornito dal prof. Franco Folino e dal prof. Mario Rende.

Il 14 settembre 1943, a sei giorni di distanza dall'armistizio, il campo venne liberato dagli Alleati, raggiunto dalle avanguardie britanniche. Nei giorni precedenti il personale del campo riuscì a convincere una colonna nazista della divisione corazzata Hermann Goering a non entrare nel lager fingendo un’ epidemia di tifo. Tuttavia molti degli internati avevano trovato rifugio presso le coraggiose popolazioni dei villaggi circostanti. La Relazione militare del 1°ottobre 1943 dalle autorità inglesi di liberazione segnalava la presenza di 1854 prigionieri nel campo a quella data, di cui 1296 donne, 338 uomini, 140 bambini e 80 anziani. Il campo di Ferramonti fu ufficialmente chiuso solo l'11 dicembre 1945.

Sono state create successivamente due distinte Fondazioni: la Fondazione Internazionale "Ferramonti di Tarsia" per l'amicizia fra i popoli (con sede a Cosenza) e la Fondazione " Museo della Memoria Ferramonti di Tarsia " (con sede a Tarsia). Nel 2004 è sorto un piccolo museo nel Comune di Tarsia, in un’area contigua al campo, costituito da alcune sale contenenti del materiale fotografico sul periodo d’internamento. Come accennato in precedenza ben poco è rimasto del campo fatta eccezione per gli alloggi del personale e le strutture tecniche, soprattutto a causa dell’incuria delle varie autorità locali che si sono avvicendate dal secondo dopoguerra.

L’esperienza di Ferramonti si inserisce in un contesto tragico per la storia dell’umanità e risulterebbe, nonostante la profonda e indiscutibile diversità di trattamento rispetto agli altri lager dei regimi totalitari, un grave errore elogiare in toto il modello d’internamento fascista del campo di concentramento di Tarsia. La sola circostanza di aver deportato uomini, donne e bambini, in nome del fanatismo ideologico, costringendoli per anni in un'area delimitata da del filo spinato costituisce di per sé una colpa indelebile.

A Tarsia l’orrore della deportazione e dell’internamento di migliaia di persone fu parzialmente cancellato solo dalla nobiltà d’animo di molti italiani che grazie alla loro coscienza e al senso di civiltà rifiutarono d’infierire su degli esseri umani inermi. [MORE]

Davide Scaglione


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