"Fu omicidio volontario". Depositate le motivazioni della sentenza Thyssen
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TORINO, 16 NOVEMBRE 2011 – Circa cinquecento pagine per chiamare le cose con il proprio nome. Circa cinquecento pagine per spiegare che all'acciaieria Thyssen-Krupp, quel 6 dicembre 2007, fu omicidio volontario. I dirigenti, infatti, conoscevano bene i gravissimi rischi che correvano quotidianamente gli operai dello stabilimento 5, ma li hanno ignorati per tutelare “l'interesse economico dell'azienda”. [MORE]
La sentenza, lungo le tantissime pagine di motivazione depositate nei giorni scorsi, distingue gli imputati in base al loro grado di conoscenza delle condizioni di sicurezza dello stabilimento, definendo le fattispecie di “colpa cosciente” a quei dirigenti che, pur sapendo, ritenevano impossibile il verificarsi di un incidente e chi invece aveva accettato di correre il rischio.
Pene comprese tra i 10 ed i 13 anni e mezzo, tranne che per l'amministratore delegato del gruppo – Herald Espenhahn – condannato lo scorso aprile a 16 anni e mezzo, cioè il minimo previsto dal nostro ordinamento giuridico, in quanto è stato tenuto conto delle attenuanti di buona condotta processuale e di quei 13 milioni di euro versati nel 2008 come risarcimento alle famiglie, a patto che queste però non si costituissero parte civile nel processo.
I tre anni in più all'amministratore delegato sono da ricondursi all'attribuzione della “scelta sciagurata” con cui si decise di non investire nella sicurezza, dato che entro pochi mesi lo stabilimento sarebbe stato definitivamente ciuso.
«La sentenza di oggi» – ha commentato il Procuratore aggiunto (e titolare dell'accusa nel procedimento) Raffaele Guariniello - «è la degna, eccezionale conclusione di uno dei processi in assoluto più importanti mai celebrati nel nostro Paese». Il Procuratore, coadiuvato nel suo operato dai sostituti Laura Longo e Francesca Traverso, individua ben cinque fatti positivi nella sentenza e nelle sue motivazioni: «Primo: la giustizia può dare risposte straordinarie alle istanze di tutela della dignità dei cittadini; secondo: al centro dell'attenzione è ormai giunta la politica aziendale della sicurezza: come ci invita a fare la Corte di Cassazione, dobbiamo entrare nelle stanze dei consigli di amministrazione, per scoprire le scelte aziendali di fondo che portano agli infortuni, ai disastri; terzo: è preziosa la partecipazione popolare all'amministrazione della giustizia; quarto: è indispensabile fare le indagini con rapidità, per non incorrere nella devastante prescrizione dei reati e, a questo scopo, è irrinunciabile un'organizzazione specializzata; quinto: è determinante la scelta fatta dalle nostre leggi, quella di puntare non solo sulla responsabilità penale degli amministratori, ma anche sulla responsabilità stessa della società».
«Questa sentenza» - ha concluso il procuratore - «può scuotere e cambiare le coscienze, dei lavoratori che sanno di avere ora degli strumenti in più per la sicurezza nei luoghi di lavoro, ma soprattutto degli imprenditori. Da oggi quando andranno nelle aziende, devono aver presente che sono loro i responsabili della sicurezza, che se succede qualcosa non sono più protetti da condanne “virtuali”, che magari non verranno mai scontate. Ora le condanne sono “reali e si rischia la galera”».
Andrea Intonti