Festival di Roma, in concorso "Volantin cortao": l'assistente asociale in Cile
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FESTIVAL DI ROMA, IN CONCORSO: VOLANTIN CORTAO DI DIEGO AYALA E ANIBAL JOFRE', LA RECENSIONE - Storia di due ragazzi alla deriva alla ricerca di una difficile osmosi, in un film cileno con pochi - e opportuni - scatti narrativi, ma dalla volenterosa atmosfera introspettiva.
Aiutati che Dio t’aiuta: ma Paulina (Loreto Velasquez) non riesce ad aiutare né se stessa né gli altri. Un problema, quando tecnicamente saresti un’assistente sociale – per quanto giovane: 21 anni, e la sensazione di non aver compiuto scelte definitive, per impossibilità di trovare un approdo. Nell’istituto di riabilitazione per adolescenti incontra Manuel (Renè Miranda), per il quale arriverà ad infrangere il protocollo che vieta di frequentare gli assistiti. La curiosità la spinge a bazzicare gli ambienti del giovane delinquentuccio: per salvarlo, per salvarsi o per annegare assieme? [MORE]
LA ROUTINE GIRA - Se i lineamenti non fossero quelli latini, del Sudamerica, vedendo Volantin Cortao potresti pensare di essere piombato in qualche film di Gus Van Sant: giovani e adolescenti difficili; numerose inquadrature di spalle, con la macchina da presa che pedina Paulina; camera libera (a volte anche troppo, con l’immagine che sembra un po’ terremotata); dialoghi essenziali, o di basso profilo. Il montaggio si concede anche qualche jump cut, che rende più vivida la sensazione di condivisione di un percorso fisico, di vita quotidiana, con la giovane protagonista. Di fatto, la storia è per lo più routine, com’è attendibile che sia rispetto all’afflato introspettivo del film.
L’introspezione, però, non affonda mai del tutto: è un effetto funzionale alla sostanziale confusione di Paulina, anima vagante, che sembra confinata in un limbo d’apatia, incapace di esprimere volizioni che siano qualcosa di più di capricci occasionali o ripicche, come pomiciare col primo venuto, rigare l’auto del capoufficio o entrare in casa d’altri. Per descrivere il film si potrebbe pensare all’ultima scena de Il laureato di Mike Nichols, con i due, finalmente da soli, finalmente felici, in viaggio, e colti dal dubbio su dove stiano andando e sulla loro stessa felicità. Numerose, infatti, anche tra quelle decisive, le scene in tram, bus o alla fermata.
L’incontro tra Paulina e Manuel è una collisione, considerando che lui è sbandato e lei assistente a-sociale. La strategia dei due giovani registi, Diego Ayala e Anibal Jofrè, è quella di mescolare sommersi e salvati, confondere malato e guaritore nella stasi di un male di vivere: mentre il ragazzo, però, è vittima delle circostanze, cioè di un ambiente sociale sfavorevole e di una storia familiare sfortunata, la ragazza, di buona famiglia, è l’emblema dello svuotamento e della deriva, vittima piuttosto di se stessa. Per questo, in realtà, i due non si completano, né davvero comunicano: i rapporti sessuali mancati, le inquadrature isolanti, Paulina che prende sempre qualche metro mentre cammina per strada e lascia Manuel dietro, sembrano esprimere tutta la difficoltà di uno scambio effettivo. Resta un’osmosi tra perduti, una silenziosa, ininterrotta richiesta d’aiuto, col film che scivola sulla fragilità di due membrane raccontando del tendersi, piegarsi, permearsi.
NON C'ERA UNA VOLTA IN CILE - Al Festival di Roma 2013 abbiamo visto più di una non-storia, di sceneggiature in cui nulla accade, e ci si bea di spacciare il nulla per qualche profondo spaccato esistenziale. Non si tratta di essere fan o meno del “gettonato picco narrativo”, quanto di voler affermare che, amanti del pieno o del vuoto, della storia o della trascorrenza, del raccontare o dell’evocare, si sia abili nel farlo. Volantin Cortao ce l’avrebbe pure, un picco narrativo, un accadimento subitaneo che irrompe nella non-storia: e se quanto accade è funzionale al film, non è perché inietti adrenalina, quanto perché lascia intendere con più perspicua brutalità il difficile incontro di due corpi alla deriva. Paulina vuole entrare in una casa senza nemmeno sapere perché, mostrando di non sapere nemmeno cosa cercare, di non appartenere a nessun luogo; Manuel è lo scassinatore, sa rompere i vetri, sa anche difendersi col coltello, se serve, ma in fin dei conti ha un barlume di prudenza che lo trattiene, salvo necessità, da azioni non solo inconcludenti, ma anche dannose. In quella casa c’è il climax, e non perché succedano "cose": lo spettatore cerca un senso, il senso del “fare un film” e vedere personaggi e storie sullo schermo, anziché passeggiare per le strade e vedere le vite degli altri. Ed il senso, pur mostrando poco, i due giovani registi cileni sanno farlo emergere, nonostante il sapore un po’ acerbo di Volantin Cortao. Sempre meglio che non avere una polpa, però.
REGIA: Diego Ayala, Anibal Jofré
ATTORI: Loreto Velasquez, René Miranda, Victor Montero, Alejandro Lafuente, Isaac Arriagada, Isis Kraushaar
PRODUZIONE: UDD (Cile) - GALLINAZOFILMS (Cile)
PAESE: Cile 2013
DURATA: 77 Min
FORMATO: Colore
Antonio Maiorino
Critico cinematografico e d'arte - on Twitter