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MILANO, 09 FEBBRAIO 2013 – Proseguono le indagini della procura di Milano rispetto al caso Eni-Saipem, che vede indagato l’ad di Eni Paolo Scaroni per aver partecipato nel 2007 a un incontro, svoltosi presso l’Hotel George V di Parigi, in cui erano presenti Bedjaoui (considerato il tramite materiale per il passaggio delle presunte tangenti ) e il ministro dell’energia algerino Chekib Kelil.
I pm sarebbero, altresì, convinti che dietro alle tangenti elargite a politici e faccendieri algerine da parte di Saipem, ci siano consistenti mazzette italiane per svariati milioni di euro. Inoltre, starebbero emergendo altri importi utilizzati per ungere i meccanismi, i quali si andrebbero ad aggiungere ai 200 milioni di euro che sembrerebbero essere stati pagati in cambio di appalti (gonfiati) per 11 miliardi di dollari.
Come sottolineano gl’inquirenti, “Ulteriori versamenti corruttivi a favore di entità riconducibili a Bedjaoui (il mediatore algerino che è finito nell’elenco degl’indagato) allo stato in corso di individuazione, sono state corrisposte da aziende che operavano nel contesto algerino quali subcontrattisti di Saipem. Detti versamenti venivano decisi nel corso di riunioni presso un albergo di Milano (hotel Bulgari), cui partecipavano Bedjadoui e i suoi collaboratori, esponenti dei subcontractors, Varone e Bernini”. [MORE]
Per i pm, la traccia più rilevante, che fa ipotizzare che ci siano stati “ulteriori versamenti corruttivi”, accanto alle tangenti versate e poi rientrate nel Belpaese, sarebbe configurata dall’azienda agricola campana Ager Falernum - produttrice del vino Falerno - di proprietà del citato Pietro Varone che, guarda caso, fino allo scorso gennaio risultava essere il direttore dell’unità Engineering & Construction, di Saipem e, allo stesso tempo, è anche socio di Bedjaoui.
In particolare, nel decreto di perquisizione dei pm, si legge “una nota redatta dall’ex manager per il cda del 4 ottobre 2007 di Snamprogetti (società incorporata da Saipem nel 2008”. In essa, Varone parlerebbe di un agente della società di Hong Kong, “Il sig. Ouraied è ben conosciuto nel contesto commerciale dell’Algeria e conosce il processo di valutazione a aggiudicazione del cliente”. Secondo gl’inquirenti, così scrivendo, Varone avrebbe aperto la strada a Bedjaoui e alla società intermediaria, la Pearl Partners e, quindi, alla successiva pratica delle tangenti.
Per questo, i pm si starebbero concentrando proprio sul ruolo svolto da Varone e Bernini, nel giro di mazzette che – in base alle prove acquisite dagli inquirenti - sembrerebbe basarsi sul meccanismo “a elastico”, consistente nel fatto che i diversi milioni di euro più che essere utilizzati per “ungere gli alti papaveri del governo di Algeri, dopo essere passate per gli Emirati Arabi Uniti e Hong Kong, siano tornati in Italia attraverso conti esteri e fiduciarie svizzere”.
A tal riguardo, oltre alle perquisizioni effettuate negli uffici di San Donato e di Roma dell’Eni, altre sono state eseguite dalla procura federale elvetica di Berna in diversi cantoni della Svizzera presso varie fiduciarie, procedendo all’acquisizione di numerosi conti bancari.
Situazione simile si registra anche in Francia, visto che gl’inquirenti stanno cercando di individuare le società facenti capo a Farid Bedjaoui Noureddine (mediatore nato in Francia ma di origini algerine, nipote dell’ex ministro degli esteri di Algeri, oltreché titolare della società “Pearl Partners” con sede a Hong Kong ), poiché si presume che sia attraverso le suddette società che sarebbe transitata la tangente da 197 milioni di euro, versata poi sui conti dei manager italiani.
Una vicenda intrigata che si preannuncia carica di colpi di scena.
(fonte: La Stampa)
Rosy Merola