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NAPOLI, 31 LUGLIO 2011 - Tra le migliori firme d’Italia, ha dedicato la sua vita alla ricerca della verità incondizionata. Per La Repubblica è stato autore di brillanti inchieste, dal massacro di Genova a Calciopoli, dalla Camorra a Berlusconi. Per i più giovani, ma anche per molti colleghi coetanei, resta un esempio e modello di professionalità.[MORE]
Aveva la scintilla dei talenti Giuseppe D’Avanzo, la scintilla che, coniugata a passione e dedizione, ti porta a fare il tuo lavoro meglio degli altri. Se poi il tuo lavoro equivale alla tua vita, viene allora da sé che questa scintilla ti porti non solo a lavorare, ma anche a essere meglio degli altri. Sin da giovane doveva avere quella curiosità per la verità, quell’attaccamento alla lealtà, alla fatica e quell’intolleranza per la scorrettezza e l’imbroglio, che hanno caratterizzato i suoi articoli. Qualità, queste, che da giovanissimo erano emersa sottoforma di passione per il rugby, come raccontano compagni e avversari. Queste qualità sono poi esplose definitivamente nel giornalismo, campo nel quale riversava e manifestava il suo spirito, il suo atteggiamento, il suo modo di vedere le cose della vita. Dal campo del rugby a quello del giornalismo non sono cambiati i suoi occhi con cui guardare il mondo, a giudicare dai suoi articoli. Leggendoli, si ha la percezione che il suo Io fosse in una continua operazione di ricerca e, nello stesso tempo, o, se si vuole, in una fase successiva a quella della ricerca, si prodigasse sempre in un tentativo di comunicazione.
Ha poggiato la sua penna sulle inchieste più importanti degli ultimi dieci anni almeno. Lo ha fatto per La Repubblica, ma soprattutto per il lettore, il destinatario dei suoi articoli e suo ultimo conversatore. Il dialogo con i suoi lettori, attraverso le pagine de La Repubblica, era nello stesso tempo il momento finale di una ricerca e l’inizio della nuova ricerca successiva. I suoi articoli danno l’impressione che D’Avanzo fosse un continuo laboratorio di analisi, sempre in funzione, sempre con risultati più approfonditi. Pur non avendolo mai conosciuto di persona, mi viene istintivo chiamarlo Peppe D'Avanzo, e mi permetto così di prendere in prestito il diminutivo dalle parole di un suo compagno, rugbista, di gioventù che spesso me ne ha raccontato lo spirito, insieme a descrivermi quella sua testa grande, fatta ad arte per natura per contenere ed elaborare tutte le informazioni che poi finivano nei suoi articoli. Peppe D’Avanzo è stato autore, dunque, delle più importanti inchieste giornalistiche dell’ultimo decennio. Le ha rese avvincenti per tutti, le ha rese in un certo senso “popolari”, senza però farne perdere la nobiltà e l’importanza per la collettività, anzi mettendone in luce la validità e il rilievo storici. Proprio nell’immaginario comune dei suoi lettori resteranno impresse le pagine scritte sul massacro della Diaz e sui soprusi della caserma a Genova, quelle sulla spinosa vicenda di Quattrocchi e dei mercenari italiani nelle guerre orientali, sullo scandalo di Calciopoli, nonché il particolare impegno contro le mafie e le infiltrazioni camorristiche nel governo Berlusconi. Proprio nell’indagine degli agganci criminali al potere amministrativo e le pressioni mafiose sul potere esecutivo istituzionale ha dedicato gli ultimi anni della sua attività professionale, coniugandoli con gli scandali per le feste a luci rosse di Berlusconi, dando a tutti la possibilità di giudicare e valutare quanto stesse accadendo, da tempo, nella villa di Arcore e nelle camere da letto del Sultano d’Italia. Proprio in quelle camere, sotto le lenzuola il Sultano si rendeva ricattabile da minorenni prostituite. E’ arrivato a infastidire la mafia e la camorra in particolare, perché aveva la caparbietà, l’audacia, il coraggio del rugbista che prende la palla ovale e si lancia contro un muro di avversari, consapevole della propria forza e sapendo che dietro tutte quelle gambe e quelle braccia c’è, in fondo, una linea di meta: ha svolto il suo lavoro mantenendo saldo in testa il pensiero, l’utopia, il sogno, l’idea che ci fosse un traguardo comune da raggiungere.
Era un rugbista del giornalismo, Peppe D’Avanzo, quando sfondava con forza e caparbietà il muro di difesa dei corrotti, per andarsi a prendere notizie e rogne insieme, apprezzando le prime e non temendo le ultime, e quando con generosità riversava nelle sue pagine le informazioni carpite, passandole ai suoi lettori. Ha raggiunto tante volte la linea di meta, senza mai esserne sazio, correndo invece sempre a metà campo, di nuovo, per cominciare una nuova azione di gioco.
Antonio Mileo
foto dalla rete