Due genitori cosentini chiedono al GIP Branda del Tribunale di Cosenza indagini tecniche adeguate
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Due genitori cosentini chiedono al GIP Branda del Tribunale di Cosenza indagini tecniche adeguate
Verità non solo per avere giustizia o per capire le ragioni di una morte che poteva essere evitata, ma anche per far sì che certe disgrazie non si ripetano mai più. Si vuole accertare se fu un caso di malasanità quello che accadde nel 2013 all’Ospedale di Cosenza[MORE]
COSENZA 12 GENNAIO – (Riceviamo e pubblichiamo) Il dolore più grande che due genitori possono avere è quello di perdere un figlio. A una coppia cosentina è capitato di conoscere questo dramma proprio al momento della nascita del loro primogenito. Quel momento che doveva essere il più felice, ma che per due genitori resterà per sempre il più doloroso della loro vita.
Tutto cominciò in un freddo mattino del primo dicembre del 2013, quando il signor C.P. accompagnava la propria moglie, M.C., presso il Pronto Soccorso del presidio ospedaliero dell’Annunziata di Cosenza, essendo al termine della gravidanza e molto allarmata per avere delle perdite ematiche.
I fatti dicono che giunti al reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’Ospedale, dopo circa mezz’ora, la signora veniva visitata dal ginecologo di turno, L.S., che tra l’altro era la dottoressa che l’aveva seguita privatamente durante il periodo della sua gravidanza.
In quell’occasione veniva effettuata un’ecografia con cui si accertava che il battito cardiaco fetale era regolare e che il bambino godeva ottima salute.
Tutto sembrava tranquillo, ma l’epilogo fu nefasto.
Da allora in poi, infatti, la signora M.C. veniva abbandonata a se stessa senza controllo o assistenza, né veniva sottoposta ad alcun monitoraggio o effettuato un tracciato cardiotocografico che, sebbene sollecitato dalla stessa paziente, veniva eseguito solo dopo molte ore.
Purtroppo, quanto fu effettuato giunse troppo tardi, visto che in tale occasione non si sentiva più il battito del bambino, che non poté vedere mai più la luce.
I genitori del piccolo nato morto denunciavano i fatti all’autorità giudiziaria e ne seguiva un procedimento penale, che veniva però archiviato.
A detta dei consulenti nominati all’epoca dalla Procura di Cosenza, la responsabilità dei medici che avevano avuto in cura la signora era mitigata dal fatto che, per come riferito dal ginecologo L.S., la gravidanza non fosse a rischio e che, pertanto, non necessitasse di una stretta sorveglianza, oltre al fatto che in quelle ore i cardiotocografi erano tutti impegnati.
I genitori, a suo tempo, sconfortati dall’esito e presi dal loro inconsolabile dolore, non proposero opposizione all’archiviazione.
Successivamente, però, trovando una certificazione rilasciata a suo tempo dalla stessa ginecologa di turno in ospedale in quel tragico giorno, che attestava a chiare lettere come la gravidanza della donna fosse a rischio per tutto il periodo della gravidanza stessa, a causa di una patologia grave chiamata trombofilia, tramite il loro difensore di fiducia, l’avvocato Margherita Corriere, e il supporto di un’analitica relazione del loro medico legale, il professore Sergio Funicello, specialista in ostetricia e ginecologia e chirurgia d’urgenza, hanno depositato presso la Procura della Repubblica di Cosenza una richiesta di riapertura indagini.
La Procura procedeva in tal senso, ma l’esito fu sempre lo stesso: anche questa volta il consulente della Procura reiterava quanto aveva già scritto nella precedente relazione e ne conseguì una nuova richiesta di archiviazione da parte della Procura.
Questa volta, però, tramite il loro legale di fiducia, i coniugi hanno promosso opposizione all’archiviazione, in quanto vogliono andare fino in fondo alla vicenda e capire sul serio che cosa accadde quel giorno in ospedale e come mai un bambino sano, con battito cardiaco normale, nasceva morto.
Quel che è certo è che, all’ingresso in ospedale, il bambino era vivo e aveva una frequenza cardiaca normale, che si lasciò la madre senza alcuna assistenza e che forse poteva essere evitato il tragico epilogo se solo ci si fosse attenuti alle linee guida, che esigevano un costante monitoraggio a causa di una gravidanza a rischio per trombofilia, intervenendo possibilmente con un immediato taglio cesareo.
Questa volta, i genitori del bimbo morto chiedono che siano eseguite una volta per tutte delle indagini accurate e che sia espletata un’idonea e rigorosa consulenza da parte di un professionista specializzato in ostetricia e ginecologia.
Secondo il consulente dei genitori del bambino, infatti, in caso di gravidanza a rischio, l’unica condotta doverosa era quella di espletare subito il parto con taglio cesareo, visto che il bambino era vivo, con battito regolare e certamente sarebbe nato vivo e sano.
In tali casi pare che non sia ammesso l’attendismo, a maggior ragione una prolungata trascuratezza nei confronti della partoriente, al cui figlio è stato negato il diritto di nascere vivo.
Bisognerà perciò fare chiarezza su tutta la vicenda: lo si deve a una creatura a cui è stato negato il diritto di avere una sua esistenza insieme ai propri cari, che lo stavano aspettando con tanto amore, ma soprattutto per evitare che simili disgrazie possano ripetersi a danno di un’altra creatura che vuole arrivare alla vita, oltre al dolore che ne consegue a chi quella gioia non può più dare un nome o una storia umana da costruire.
I signori C.P. e M.C. aspettano fiduciosi il provvedimento del GIP del Tribunale di Cosenza, Francesco Luigi Branda, che dovrebbe essere emesso nel corso dell’udienza del prossimo lunedì 16 gennaio.