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Mirko è uno di quei ragazzi che le coetanee definiscono un fico. Corporatura atletica, occhi azzurri e intelligenti e viso regolare; capelli castano chiaro, corti ai lati e più lunghi sulla parte superiore della testa. Molto curato nel vestire, portamento educato e sguardo intelligente.
Mi presento e gli rivolgo la solita domanda:
«Ciao, sono Antonia e sto scrivendo un libro sull’adolescenza. Vuoi collaborare con me?».
«Volentieri Antonia, dimmi cosa vuoi sapere» risponde subito con un sorriso aperto e divertito, puntandomi sul viso i suoi splendidi occhi.
«Raccontami di te».
«Il mio nome è Mirko, ho sedici anni, sono figlio unico. I miei genitori sono separati da quasi un anno, e io vivo un po’ con l’una e un po’ con l’altro».
«Abitano nella stessa città?».
«Sì, anche se in due quartieri diversi».
«Complimenti, sembri più grande della tua età! Quali sono i tuoi interessi?».
Non ci pensa nemmeno un attimo e risponde convinto:
«Amo lo sport e, in generale, la competizione. Sono cintura marrone di judo, gioco a calcio come capitano in una squadra piuttosto importante e ho ottenuto buoni risultati nel tennis e nella pallacanestro. Amo la musica, suono la chitarra e il violino».
Rimango senza parole. Lui sorride divertito, poi aggiunge:
«Non sono un supereroe, mi impegno con serietà in ogni cosa che faccio».
«E con gli amici e le ragazze che rapporti hai?».
«Ho molti amici, ma ce n’è uno a cui mi sento particolarmente legato».
«E le ragazze? Immagino che tu non abbia problemi… con la tua prestanza fisica saranno in molte a ronzarti intorno».
Diventa serio.
«Le ragazze per il momento non occupano i miei pensieri… Le loro attenzioni mi danno fastidio. Sono tutte capricciose e con la testa vuota! Diciamo che aspetto quella giusta».
Rimango stupita.
«Non senti il bisogno di avere qualcuno accanto? Qualcuno da amare?».
Per la prima volta lo vedo esitare un po’, ma poi risponde deciso:
«Certo! C’è, infatti, una persona speciale con cui divido ogni mio pensiero e ogni mio problema».
«Puoi dirmi chi è?» gli chiedo perplessa, supponendo che si tratti di uno dei suoi genitori. Mirko mi guarda fisso negli occhi, come per cogliere la mia reazione:
«Il mio amico Luca!» risponde, assumendo un’aria di sfida.
«Dev’essere un’amicizia profonda, la vostra…» ribatto, cercando di dare alle mie parole un tono quanto più possibile indifferente; ma lui, senza smettere di fissarmi, aggiunge:
«È molto più di un’amicizia!».
«Tu sei felice?»
«Lo sono…» risponde, mentre il sorriso torna ad illuminargli il volto.
Decido di cambiare argomento, tralasciando per ora di incalzarlo con altre domande su Luca e il loro rapporto.
«Mirko, puoi raccontarmi come hai affrontato la separazione dei tuoi genitori?».
Diventa di nuovo serio; fissa il vuoto, forse cercando le parole giuste per esprimere i suoi pensieri.
«Certamente… È stato un evento traumatico ma, in fondo, penso che fosse un fatto inevitabile».
«Perché dici questo?».
Sorride amaro: «Non ho mai visto i miei genitori scambiarsi un bacio o una carezza, mai un gesto affettuoso fra di loro… Anche se si comportavano in modo gentile e rispettoso, evitando di litigare.
A me non hanno mai fatto mancare nulla; sono sempre stati amorevoli e pieni di premure. Mi hanno fatto crescere serenamente, senza scossoni, infondendomi sicurezza e positività. Riflettendoci adesso, era una situazione che a me faceva comodo, perché avevo in esclusiva le loro attenzioni. Hanno caratteri diversi ma, in apparenza, condividevano tutte le decisioni senza discutere.
Crescendo e osservando il comportamento delle altre coppie iniziai ad accorgermi che fra mamma e papà qualcosa non funzionava. Tra loro non notavo un comportamento affettuoso come mi era capitato di vedere, ad esempio, nei genitori di alcuni miei compagni; d’altra parte i miei sembravano non pensare alla separazione e alla possibilità di costruirsi una nuova vita, più appagante sul piano dei sentimenti.
Ricordo che un giorno - era una domenica - mentre eravamo a pranzo in un ristorante, fu come se vedessi i miei per la prima volta: sembravano due perfetti estranei. I loro sguardi si accendevano solo quando si posavano su di me… A quindici anni certe cose si cominciano a capire. Provai pena, per loro, e un senso di disagio. Io li amo entrambi e voglio che siano felici.
Così provai a chiedere: ‘Siete ancora innamorati?’.
La loro reazione, istintiva, fu buffa.
‘Certo’ rispose subito mamma.
‘Ma cosa ti passa per la mente? È logico che ci amiamo’ disse papà, quasi balbettando.
‘Scusate se tocco quest’argomento, voglio solo farvi capire che se fra voi le cose non vanno più bene e volete separarvi io non vi creerò problemi. Vorrei solo vedervi felici’ dissi, facendo appello a tutte le mie forze per dissimulare l’ansia e l’amarezza che provavo.
Si scambiarono un lungo sguardo, come per interrogarsi reciprocamente sul senso del mio discorso.
‘Grazie figliolo, queste tue parole ci fanno capire quanto ci ami. Stai tranquillo, tu per noi sei la cosa più importante’ disse mio padre. La mamma rimase muta per il resto del pranzo. Da quel giorno qualcosa è cambiato.
Forse papà aspettava solo un pretesto come quello… Con la scusa di volersi riprendere i suoi spazi, dopo nemmeno un mese andò via di casa, trasferendosi in un appartamento in affitto, senza drammi.
Sono rimasti buoni amici».
«Mirko, sii sincero: la tua indifferenza per le ragazze ha a che fare con l’esperienza dei tuoi genitori?».
Mi guarda sorpreso: «Adesso che mi ci fai pensare… forse potrei risponderti di sì. Papà mi ha sempre consigliato di non farmi condizionare dalle donne, perché complicano la vita. Io pensavo volesse dire che non tutte sono brave come la mamma, che non creava mai problemi… Adesso capisco che quelle parole rispecchiavano la sua infelice esperienza di coppia».
«Non hai mai avuto amicizie femminili?».
«Certo: compagne di scuola, le figlie delle amiche di mamma, bambine conosciute ai giardinetti… Solo relazioni fredde e disinteressate, almeno da parte mia».
«E con Luca?».
Il sorriso spavaldo sparisce dal suo viso, lasciando il posto a un’espressione un po’ imbarazzata.
«Con Luca abbiamo in comune esperienze emozionanti…».
«Vuoi raccontarle? Potrebbero essere d’aiuto ai tuoi coetanei che leggeranno il libro».
Colgo sul suo viso un momento di ulteriore imbarazzo, ma poi si scioglie rispondendo con sincerità:
«Siamo cresciuti insieme; già a dieci anni ci masturbavamo a vicenda. Spesso abbiamo dormito anche insieme; di solito è lui che viene a casa mia. Fra ragazzi è normale che si parli di sesso… Io e Luca siamo andati oltre, abbiamo sperimentato l’arte della masturbazione; abbiamo voluto esplorare il mondo del sesso condividendo ogni esperienza».
Rimango un po’ spiazzata della sua schiettezza, ma mi riprendo subito; voglio approfondire quest’argomento.
«Raccontami».
«All’insaputa dei nostri genitori vedevamo sempre film erotici. Una volta, quando avevamo nove anni, siamo andati in gita. Sull’autobus eravamo seduti uno accanto all’altro; era d’inverno e si era fatto quasi buio… Appoggiando causalmente una mano su una coscia di Luca provai una sensazione strana, intrigante e nuova: fu la mia prima erezione. Ritrassi subito la mano, sorpreso della mia stessa reazione. Poi, nella penombra, incrociai lo sguardo del mio compagno, che mi fissava stranito, e l’emozione crebbe. Le nostre mani si cercarono mentre i nostri sguardi rimanevano incollati… Dopo qualche minuto Luca mise la sua mano fra le mie gambe e io mi sentii soffocare; mi tolsi la felpa e coprii le cosce di entrambi. Così, in preda all’ansia e alla frenesia, mentre quasi tutti dormivano, ci siamo masturbati reciprocamente per la prima volta».
«Ti senti gay?» gli chiedo.
«No! Sono solo un ragazzo a cui piace esplorare la sessualità. Se tutti i ragazzi che si fanno masturbare dei compagni fossero gay… allora lo saremmo tutti! Io spero di incontrare un giorno la ragazza della mia vita… Quella giusta. Nel frattempo vivo la mia esperienza con Luca».
«Non pensi che potresti fargli del male? Magari è innamorato di te…».
«Assolutamente no! Anche lui vive la situazione allo stesso modo; anzi, lui frequenta addirittura una ragazza. Ma entrambi sappiamo che la nostra amicizia non finirà mai…».
«Cosa vuoi dire?».
«Ci piace molto stare insieme, c’è un legame molto forte fra noi. Ci faremo una famiglia, avremo dei figli, ma resteremo uniti».
Che dire? La sua lucida visione mi lascia sconcertata.
«Non riesco a capire… Tu pensi a una famiglia avendo già un compagno?».
Lui mi guarda come se fossi un’aliena.
«Cosa ci trovi di tanto incredibile?».
«Mi sembra un progetto che equivale a tradire una persona ancora prima di conoscerla. Non sarebbe onesto».
«Dimmi Antonia, vivi sulla Luna? Capisco che quando eri adolescente tu la società era più rigida, ma la bisessualità è sempre esistita, e tu che sei una scrittrice dovresti saperlo meglio di me! Dobbiamo accettare il fatto che la società in cui viviamo oggi è questa, e che ci offre un’ampia scelta di forme d’amore… senza frontiere». Pronuncia le ultime frasi sorridendo cinicamente. Poi continua:
«Se parliamo d’amore… l’amore è un sentimento che si prova per un altro essere vivente.
Tu devi accettare il fatto che l’omosessualità è molto diffusa fra gli adolescenti. Durante questo periodo di formazione del carattere e della personalità si vivono intense esperienze emotive e sentimentali, molte delle quali possono svilupparsi lungo un percorso di tipo omosessuale. Nella ricerca della propria identità sessuale una gran parte degli adolescenti tende a sperimentare giochi di vario tipo, anche proibiti, con coetanei dello stesso sesso. Ma ti assicuro che questo non compromette necessariamente le proprie inclinazioni sessuali. Il comportamento omosex, come d’altra parte quello etero, per me non è riferibile alla sola sfera strettamente sessuale, ma coinvolge anche e soprattutto la componente emotiva della vita sentimentale, una dimensione fortemente collegata a quella erotica. Per tutto il periodo dell’adolescenza, quello nel quale avviene la formazione della loro identità, i ragazzi e le ragazze che frequentano un gruppo possono confrontare i cambiamenti del loro corpo con quelli dei coetanei, parlare dei rapporti che hanno con i genitori, i fratelli e gli amici. Si crea un clima intimo, che favorisce la socializzazione, e rafforza la reciprocità dei sentimenti. In molti casi si tratta di un’intimità di breve durata.
Cara Antonia, se la società non mettesse alla gogna questo tipo di relazione e dedicasse il giusto interesse ai ragazzi che vivono un’esperienza particolare, il mondo sarebbe migliore».
Ancora una volta mi ha spiazzata; sono sorpresa dal livello delle sue riflessioni.
«Quindi tu non ti senti gay?».
«Io mi sento una persona normale che, in questa fase della vita, vuole sperimentare ogni aspetto dell’amore».
«Hai intenzione di rendere pubblica questa tua, diciamo così, esperienza amorosa?».
Mi guarda perplesso: «Assolutamente no! Non vedo perché dovrei divulgare, in un mondo pieno di pregiudizi ed egoismi, una storia pulita e sincera come quella che sto vivendo. Le mie sensazioni appartengono solo a me e al mio compagno… Viviamo in una società bugiarda, senza onore e senza principi morali, logora e ladra. Sembra che tutti siano più interessati a distruggere una persona che ama e non fa male a nessuno piuttosto che a punire quelli che ammazzano e saccheggiano la comunità!».
«Grazie Mirko… e complimenti! Hai esposto molto chiaramente i tuoi punti di vista; io li rispetto e condivido molte delle tue posizioni.
«Vuoi donare una perla ai tuoi coetanei?».
«Siate sempre e comunque voi stessi… Non rinunciate ad amare… L’amore rende migliori».
Alla fine mi commuove, scegliendo di dedicare qualche parola anche a me: «Grazie Antonia, è stato bello conoscerti e parlare con te, sei una bella persona. Voglio leggere il libro, quando uscirà».
Do anche a lui i miei recapiti, invitandolo a tenersi aggiornato tramite il mio profilo Facebook.
Antonia Caprella