USCITE IN DVD - "Django Unchained" di Quentin Tarantino, la gloria è dei bastardi
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Mentre in tv si moltiplicano i passaggi televisivi di film di Quentin Tarantino, ed alcune sale Space Cinema ne ripropongono i capolavori sul grande schermo come tributo ai 50 anni del regista, il dvd e il blu-ray di Django Unchained continuano a segnare risultati lusinghieri nelle vendite, dopo aver esordito col botto il 30 aprile. Ne approfittiamo per una rilettura, meglio, una re-visione del film.
Capisci subito che Django Unchained di Quentin Tarantino è godurioso come una spaghettata, quando sui titoli di testa, rossi come il sugo o come il sangue, si rincorrono le note della celebre Django composta da Luis Bacalov e cantata da Rocky Roberts per l’originale di Sergio Corbucci. Alla fine, dopo tanti ammazzamenti, il soundtrack ammazzacaffè durante l'esplosione in chiusura sarà invece la melodia de Lo chiamavano Trinità di Franco Micalizzi. In mezzo, la raffica di citazioni al nero di seppia, attinte soprattutto dal filone blaxploitation (su tutte, Mandingo di Richard Fleischer e The Legend of Nigger Charley con Fred Williamson); ma non è (solo) una chiamata alle armi per cinefili doc: come sempre, il gusto dinamitardo è assorbito in un’unica, esplosiva portata, condita da sparatorie, complotti, riscatti, tradimenti, sadismo ed amore insanguinato. Al segnale di Bacalov, Tarantino scatena l’inferno.[MORE]
Il Django di Corbucci, interpretato da Franco Nero (che appare in un cameo nel film di Tarantino) era una reduce nordista impegnato a sterminare un paio di bande grazie ad un’arma micidiale trascinata con sicumera, per tutto il film, in una bara. Tutt’altra vicenda quella di Django Unchained: il protagonista (Jamie Foxx) è uno schiavo di colore che un cacciatore di taglie di origine tedesca, il dottor Schultz (Christoph Waltz), prima libera perché possa identificare due o tre “wanted”, poi si associa in un business lucroso, che vale al liberto anche come addestramento. Ma Django ha in mente una caccia più sentimentale, alla moglie Broomhilda (Kerry Washington), che vorrebbe liberare da qualche sconosciuto negriero a cui è stata venduta. Il dott. Schultz lo aiuta nella ricerca, che porta il duo bianco-nero nelle proprietà di Calvin Candie (Leonardo Di Caprio), danaroso ed efferato latifondista appassionato di lotte tra schiavi. A Candyland, nel Mississippi, ognuno gioca le sue carte: Schultz l’astuzia, Candie la violenza, Django un’astuta violenza.
ANGELI CON LA PISTOLA - È il personaggio del Dottor Schultz ad introdurre una chiave di lettura del film di Tarantino, allorché, discutendo con Django del tentativo di rintracciare Broomhilda, gli racconta il mito nordico di Sigfrido, la cui più celebre riscrittura è quella ottocentesca di Wagner, nel '48, in clima di agitazioni politiche ed esistenziali: la lancia di Wotan, padre degli dei, che Sigfrido spezza, è un clash of titans che riecheggia nei colpi esplosi da Django nel paradiso dei bianchi. Educatamente sanguinario come un San Michele Arcangelo che scaccia il male in panciotto, di questo paradiso bianco fa parte a suo modo lo stesso Schultz, fin troppo angelico nella cristallinità delle sue ragioni legali, da bounty killer sempre pronto a sfoderare il mandato del giudice; nella pulizia logica delle proprie argomentazioni; nell’ordine mentale dei suoi piani d’azione. Eppure, il training con cui Schultz trasforma Django in un cacciatore di taglie non è quello sui "testi" della morale, cioè sui manifesti dei ricercati che legittimano il versamento di sangue.
Piuttosto, come richiama una scena in flashback negli ultimissimi secondi (vedi foto sotto), l'importante per Django è esser diventato "the fastest gun in the South". Il tirocinio sottotraccia di bastardo si esplicita, si concentra in un unico, deflagrante istante: quello del colpo di pistola con cui salta ogni accordo tra il latifondista e la coppia di cacciatori di taglie mascherata da gentiluomini, e con cui inizia l’intensa e fulminante “reazione a (s)catena” finale.
È in quel frame, in quell’immagine-tempo, che Django diventa unchained, che completa la sua formazione all’incontrario, la sua formazione da ribelle, da titano nero col pizzetto luciferino: visto che il “bianco” è un padre-padrone\dio cattivo come Di Caprio, il nero “civilizzato” non è altro che un nero incattivito da quella che si chiama civiltà, e che è invece regolata da un apprendistato di violenza. Riscrivere la storia, come in Bastardi senza gloria, vuol dire far ruotare vinti e vincitori, per scambiarne le posizioni, attorno al fulcro immutabile dell’atto di forza: è una rotazione “panoramica”, un cambio di prospettiva che ha del ludico, del divertente, perché mostra le infinite possibilità del cinema di mostrar mostri e farne action figures; di incidere su di un testo, facendolo saltare in aria; di accelerare in un istante, dopo essersi a lungo fermati, proprio come su di una giostra a velocità variabile, che rolla come il tamburo di una rivoltella in una roulette russa.
BASTARDI SENZA RUOLO - E da questo punto di vista, la gestione dei tempi e dell’azione di Tarantino mostra un’inscalfibile maturità. È impressionante pensare alla stasi, al gioco del gatto del topo, e poi del topo col gatto, della lunga sequenza narrativa che vede il dottore e l’ex schiavo alla tavola del ricco proprietario terriero; e pensare, poi, a come l’energia cine(ma)tica accumulatasi durante queste battute, conflagri nella convulsione dell’ultima parte . Non ci sono vere cacce all’uomo, quanto rapidi spostamenti di ruolo tra predatori e prede: Calvin Candie onnipotente, poi preso in giro, poi ricattatore col coltello dalla parte del manico, poi tout court morto; Django schiavo, poi finto mercante di schiavi, poi prigioniero, poi liberatore di prigionieri. Sono girandole narrative che rendono scorrevoli le quasi tre ore di film, con Jamie Foxx che nel passare dal vestito di azzimato paggetto in azzurro alla divisa da killer elegantone, scandisce col rito della vestizone, di sapore leggendario\mitologico, il consumarsi dell'attesa spasmodica che arrivi l'uomo nero a far piazza pulita. Ed arriva, lanugine sul grugno e polpastrelli nervosi sui grilletti: e con esso la gloria, solo laddove affiora il bastardo, che rinnega il savoir faire da affabulatore di Schultz, così gentleman che quando proprio deve sparare, spara al fiore all'occhiello. Ma appunto, spara: meno accento francese, e più legge della colt, capisce Django. Ma per una questione di onore, s'intende: sanissimo onore di una civiltà malata. L'osanna nell'alto dei cieli, il canto della gloria, è appunto... Lo chiamavano Trinità. E il suo regno sono le fiamme.
Con Django Unchained, Quentin Tarantino produce una mitologia pulp ibrida e fresca, in cui le storie del cinema si mescolano alla Storia, fantasie di riscatto a rimandi leggendari, schiavi neri trasfigurano in Clint-Spartacus, la gloria spetta agli angeli ribelli, vittime e carnefici banchettano prima di duellare con la stessa anima nera, liberando violentemente il piacere dello sguardo trascinato in una giostra esplosiva d’invenzioni.
Titolo originale: Django Unchained
Regia: Quentin Tarantino
Interpreti: Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Kerry Washington, Walton Goggins, Don Johnson, Samuel L. Jackson, Bruce Dern, James Russo, James Remar, Amber Tamblyn, Nichole Galicia, Laura Cayouette, Jonah Hill
Origine: Usa 2012
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Durata: 165'
Antonio Maiorino
Qui la recensione di Gisella Rotiroti
Qui la recensione di Marcella Cerciello