Direzione del Pd, Renzi: «Dieci mesi di fallimenti. Riforme o veniamo spazzati via»
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ROMA, 16 GENNAIO 2014 - Era quanto mai atteso l’intervento del neosegretario Matteo Renzi durante la direzione del Pd, soprattutto alla luce delle recenti questioni politiche: rimpasto di governo e riforma elettorale, con in quest’ultimo caso annessa polemica sul possibile accordo tra lo stesso Renzi e l’avversario di sempre Silvio Berlusconi.
Bene, le dichiarazioni di Matteo Renzi non hanno disatteso le aspettative della vigilia. Il segretario del Pd, infatti, ha toccato tutti i punti salienti e come è suo fare, nel bene e nel male, non ha mancato di attaccare il governo, con tanti saluti a chi gli fa notare che il partito che guida è alla maggioranza.
Ma tant’è, il sindaco di Firenze va giù duro e senza giri di parole, afferma: «Se mettiamo in fila questi mesi siamo costretti a un elenco di fallimenti. O c’è la consapevolezza del dramma dell’urgenza – dice Renzi – o se si pensa di andare avanti come se niente fosse saremo spazzati via».
Parole dal doppio valore, perché se da un lato lanciano un allarme, allo stesso tempo risuonano all’interno del Pd, ma anche (o ancor di più?) per il governo, come un vero e proprio aut-aut. E per i duri di comprendonio, Renzi aggiunge una sorta di excursus storico: «non siamo riusciti a fare una legge elettorale in questi primi dieci mesi, è saltata l’ipotesi di una grande riforma costituzionale, abbiamo perso l’occasione durante il governo Monti in cui il presidente della Repubblica aveva di fatto creato una sorta di “doppio binario” – al governo tecnico il compito di affrontare l’emergenza economica e al parlamento le riforme – abbiamo fallito».
Ed ecco il richiamo esclusivo al partito: «O il Pd riesce a fare le riforme o andiamo ad una devastante campagna elettorale in cui l’antieuropeismo di Grillo si salderà con quello di Berlusconi con argomenti demagogici volti ad incastrarci sul fatto – aggiunge Renzi – che le responsabilità delle mancate riforme siano nostre. L’opinione pubblica non farà distinzione tra chi ha votato Cuperlo, Renzi o Civati, faranno un pacchetto unico e diranno è colpa vostra, e se non c’è questa consapevolezza tra noi saremo spazzati via». In serie Renzi entra nel merito delle questioni iniziali.
Sul possibile rimpasto in seno al governo, il segretario cerca di tenersi estraneo alla faccenda, quasi disinteressato: «Chi propone un rimpastino sta drammaticamente perdendo di vista l’obiettivo essenziale: creare un sistema di governo che duri per i prossimi vent’anni». E a chi lo accusa di lavorare sottobanco per staccare la spina al governo, Renzi dice: «Sono l’unico del Pd che non ha mai messo un termine ultimo al governo. Ho sempre detto che va avanti finchè si fanno cose e si realizzano risultati. Far notare gli errori – aggiunge – per rimediare non è cercare di fare le scarpe al premier. Chi fa notare gli errori è qualcuno che ti vuole bene». Insomma, accuse rimandate con, arte oratoria, al mittente.
Poi affronta la questione della legge elettorale: «Il punto centrale della legge elettorale è che sia chiara: chi vince governa e senza necessità di inventarsi giochi, dalle larghe alle striminzite intese. Il sistema elettorale – precisa tuttavia Renzi – deve avere un paletto per me: il premio di maggioranza. Il punto centrale per noi è un sistema che consenta di governare e questo è il premio di maggioranza. Che tu lo dia al primo o al secondo turno è indifferente dal punto di vista politico».[MORE]
Ma il tema della riforma della legge elettorale rimanda inevitabilmente ad un altro nodo cruciale: il dialogo che il segretario Renzi ha aperto nei confronti di Berlusconi. Una mossa questa, che di certo non è piaciuta a coloro i quali, all’interno del partito del Nazareno, renziani non sono. Perché mai, infatti, bisognerebbe estendere il dialogo a colui che rappresenta l’acerrimo nemico, tra l’altro condannato e decaduto da parlamentare, e che non fa nemmeno parte della maggioranza? «La polemica se devo incontrare Forza Italia o meno è surreale e stravagante – afferma Renzi – è ovvio che si parla con tutti ovunque. Del resto, D'Attorre critica il dialogo col “pregiudicato” Berlusconi, ma non ho visto ministri dimettersi per la sentenza di condanna, li ho visti dimettersi per un “chi”. Non mi sento di dire che la legge elettorale si fa nell'ambito della maggioranza punto e basta».
(Immagine da europaquotidiano.it)
Giovanni Maria Elia