Dal Faito Doc Festival: Castro di Paolo Civati, le storie sotto sfratto
Entra nel nostro Canale Telegram!
Ricevi tutte le notizie in tempo reale direttamente sul tuo smartphone!
In concorso al Faito Doc Festival, Castro di Paolo Civati, già vincitore del Festival dei Popoli, trasporta nel micromondo d'una palazzina romana occupata abusivamente e messa sotto sfratto, tra storie intuite e sprazzi di poesia tra il cemento.
Non è una palazzina qualsiasi. Anzi, lo è: per questo la storia di “Castro”, l’ex scuola diventata un centro abitativo occupato, evoca un forte sentimento del vissuto, che travalica l’anonimato accarezzando con umanità le diverse vicende degli inquilini. Più che una storia, infatti, è una raccolta di storie quella che Paolo Civati, attore e regista, sceglie di presentare. Non poteva fermarsi ai muri scrostati stipati lì, dietro un cancello rugginoso, a Roma, quartiere San Giovanni, a quei corridoi patologicamente cadenti, a quelle porte indecorosamente decorate dagli scarabocchi. È entrato nelle case, con la macchina da presa; non poteva nemmeno, però, ricostruire per filo e per segno le esistenze sfilacciate e segnate di Claudio, Deborah, Franco, Sara e degli altri: sarebbe stato il contentino di un’operazione didascalica, o un’impresa impossibile. Ci si ferma alle soglie dell’abitato, lambendo con discrezione quelle vite in perenne precariato, tanto più ora che il secondo avviso di sfratto è giunto – disumana burocrazia – a spezzare i legami di questa comunità dai tanti accenti – il romanaccio, l’arabo, il francese – e dalle tantissime incertezze.
Così Paolo Civati, vincitore del Festival dei Popoli, amplifica le voci di dentro di questo aggregato corale, una sorta di orchestra di Piazza Vittorio, trovando ora toni più sognanti – i bambini – ora irrinunciabilmente speranzosi, nonostante la frustrazione – le giovani coppie – ora disillusi, ma con leggerezza: “Tanto un posto ce lo trovano, non possono lasciarci lì, in mezzo alla tangenziale”, chiosano i veterani dell’occupazione. [MORE]
Non contentandosi di un sbozzare un bell’affresco di dettagli, con tutto l’artigianato del buon documentarista, Civati ha saputo rinvenire in queste storie anche uno spirito poetico quasi pasoliniano. Una sigaretta, uno sguardo perso nel vuoto, la pigra sosta del disoccupato cronico in cucina sono già indcativi del vigore sintetico di “Castro”: un anno di riprese per poi selezionare le scene, come estraendo un succo dal vivere.
Ma non basta: ci sono interludi più rischiosi, se non contemplativi, come la muta partita notturna a calcetto, di soli rimbombi del pallone e lampi della torcia; una piscina gonfiabile in cui i bambini si concedono gli spassi sfrenati, bagnando anche il cortile, dove giace abbandonato l’arto di un bambolotto di plastica. Qui si vive ancora, nonostante tutto, e tutto è traccia di vivere, non già e soltanto di sopravvivere.
Poi, come sempre al cinema: la fine. Quando ti ci stai affezionando. Castro è anche il nome del gatto adottato da uno degli storici inquilini: chissà dove sarà. E sembra quasi che la macchina da presa sgomberi, accompagnando la diaspora delle vite, non prima di concedersi – fuga in dissolvenza – due ultimi toccanti momenti di osservazione partecipata, già defilata, come a scivolar via, lasciando solo immaginare i destini.
Castro di Paolo Civati trasporta al limitare di un micromondo, come sa fare il cinema sensibile quando eviti di essere sentimentale; e ricorda, allo stesso tempo, che c’è tutto un mondo fuori, una mappa occupata da storie di tutti i giorni.
Paese: Italia, 2016
Regia: Paolo Civati
Sceneggiatura: Paolo Civati, Giulia Moriggi
Musica Originale: Valerio Camporini Faggioni
Fotografia: Valentina Summa
Montaggio: Andrea Maguolo, Sara Zavarise
Montaggio del suono e fonico di presa diretta: Ludovic Van Pachterbeke
Fonico di mix: Lauren Martin
Produzione: Carolina Levi e Paolo Civati, in associazione con Valentina Summa e Ludovic Van Pachterbeke, in collaborazione con: IRP – Infinity Road Pictures e Studio Empire Digital
Qui il programma completo del Faito Doc Festival
(Immagini: in alto, dettaglio di fotogramma del film; all'interno, fotogramma del film. Fonte: Tangram Films)
Antonio Maiorino