Dal Cinéma du Réel, intervista a Yoichiro Okutani su Odoriko: "l'arte dello strip in Giappone"
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Per la rubrica UNCUT GEMS – diamanti grezzi, Odoriko di Yoichiro Okutani: le interviste di Antonio Maiorino sui migliori film d’autore del cinema contemporaneo mondiale. Spesso, inediti (in Italia), non ancora “sgrezzati” dallo sguardo dello spettatore; spesso, autentici gioielli nascosti.
Non tutti conoscevano la realtà delle odoriko, ma all’edizione 2021 del noto festival Cinéma du Réel il regista Yoichiro Okutani ha avuto la possibilità di mostrarla nel proprio documentario Odoriko: il suo sguardo sulle ballerine dell’arte dello spogliarello, tradizione dei teatri del Giappone in via di estinzione, ha già la nostalgia dell'amarcord. Il tentativo è apprezzato, visto che il film, già in concorso all’IDFA 2020, ha conseguito al festival francese due nobili riconoscimenti: il Cultural Heritage Prize e La Scam International Award. Nobile anche l’arte di esibirsi delle ballerine giapponesi, che il regista definisce “donne indipendenti” e “imprenditrici”, artiste del palco, oggi poco note alle nuove generazioni. Trovando le giuste distanze, svelando dal camerino segreti e normalità delle strippers, il regista offre un ritratto rispettoso e attento di quelle di artiste e arte.
LA TRAMA DI ODORIKO
Da un teatro all’altro, con la valigia sempre pronta, in giro per il Giappone: le odoriko, danzatrici della morente arte del teatro di spogliarello giapponese, si spostano di palco in palco, guadagnandosi da vivere e perpetuando un’espressione della tradizione nazionale. Chi sono davvero le ballerine strippers? Il regista Yoichiro Okutani ne segue la vita artistica, riprendendole nei camerini e in scena, tra palco e realtà.
PERCHÉ INNAMORARSI DI ODORIKO
C'è l'atmosfera dell'amarcord, in questo lavoro di immersione di quattro anni nei camerini delle odoriko. Il regista Yoichiro Okutani ha un occhio amorevole che sa restare nascosto come la camera fissa, mantenendo la giusta distanza. Ne emerge un ritratto credibile, prossimo ma non spiato, in cui il fascino delle ballerine spogliarelliste è sospeso tra la loro unicità e a la loro assoluta normalità. Lo spettatore, venendo a conoscenza di una poco rinomata tradizione del Giappone, s’interroga sul ruolo delle donne in questo intreccio tra arte e imprenditoria, ma senza troppe domande, può anche scegliere di essere sospeso nello spazio\non-spazio del backstage e nel tempo di malinconica dissolvenza delle odoriko.
L’INTERVISTA: YOYCHIRO OKUTANI RACCONTA ODORIKO
ANTONIO MAIORINO: il film comincia con una sequenza lenta, quasi rituale, in cui la protagonista della scena è una donna nuda vista di spalle che si veste allo specchio. Dopo anni di riprese immersive nell’ambiente delle odoriko, perché hai scelto proprio questo inizio?
YOICHIRO OKUTANI: non era mia esatta intenzione quella di descrivere una protagonista in particolare oppure delle vite ben precise in questo film. Il pubblico vede molte odoriko apparire e scomparire dal campo cinematografico, mentre mettono piede sul palco, mostrano la loro carne nuda, e vanno via. La mia speranza è che alla fine di tutto gli spettatori siano in grado di ricrearsi, nella propria immaginazione, l’immagine di una singola odoriko e della sua vita al tempo d’oggi.
A.M: molti documentari di osservazione cercano di sviluppare l’effetto d’immersione in un ambiente e prossimità ai personaggi con l’uso della camera a spalla e l’avvicinamento a corpi e visi. La tua strategia sembra opposta: camera fissa, distanza dai personaggi. Perché?
Y.O: non m’interesse fare un film sulla vita di un personaggio dall’inizio alla fine. Piuttosto, il mio interesse consiste nell’osservare cose e azioni da un particolare punto di vista, perché nel documentario c’è solo un punto di vista da cui si può filmare: il presente. La vita della persona e la sua storia pregressa sono connesse prima e dopo a quel momento presente come una corrente sotterranea, ma penso che il compito del mio film sia quello di condurre lo spettatore ad immaginarsi quelle parti. Ecco perché la mia macchina da presa non va alla caccia dei propri soggetti, né si mette a seguirli inutilmente. Nello stesso modo le spogliarelliste viaggiano sole da un teatro all’altro ogni dieci giorni, concedendo al proprio pubblico singoli incontri e addii sul palcoscenico. Il film cerca di offrire un’impressione che sia in grado di colpire lo spettatore senza dover rivelare tutto, semplicemente mostrando le odoriko che appaiono e scompaiono dalla vista.
A.M: una delle odoriko afferma: “Molta gente pensa che gli strip club siano squallidi locali con papponi e yakuza (organizzazione criminale giapponese, n.d.R.)”. E aggiunge che ne scrive sul suo blog “con la speranza di cambiare le visioni preconcette. La gente comune pensa a noi odoriko come a qualcosa di particolare, ma vorrei che sapessero che siamo esattamente come gli altri”. Dopo essere stato così tanto tempo con loro ed averne testimoniato da vicino l’esperienza attraverso il tuo documentario, cosa sei giunto a capire più in profondità di loro? Cos’hanno di speciale le odoriko che le rende uniche e meritevoli di un documentario?
Y.O: nel filmare le odoriko, ballerine dei teatri di spogliarello, ho cercato di catturarne l’immagine di donne della mia generazione che vivono nella società contemporanea. I teatri di spogliarello in cui passano la maggior parte del proprio tempo sono diventati luoghi che la maggior parte dei giapponesi non vedono mai. L’immagine dei teatri di spogliarello e delle spogliarelliste difficilmente viene in mente, se non attraverso qualche vecchia pellicola o film televisivo. Le vere odoriko con cui ho passato del tempo nei camerini sono donne assolutamente indipendenti, ed ognuna di esse gestisce i propri viaggi tra un teatro e l’altro, i propri costumi e oggetti di scena, le spedizioni degli strumenti, l’alloggio nei camerini e le proprie vite quotidiane, senza fare affidamento a qualche compagno maschile, a qualche manager di teatro o allo staff. Questo stile di vita, per me, è l’unicità delle odoriko: non sono semplici spogliarelliste che si esibiscono sul palco, ma incarnano e portano avanti un’intera cultura, un’intera tradizione.
A.M: c’è una scena in cui una ballerina si trucca allo specchio, con un asciugamano attorno alla vita; la macchina da presa è dietro di qualche metro, fissa. Quando la donna si alza, istintivamente si copre il seno, un gesto che sembra condizionato dalla presenza della macchina da presa. Un’altra odoriko arriva in camerino, in una scena diversa, beve una lattina di birra e si scusa ridendo, mentre si rivolge alla macchina da presa. Altre protagoniste, invece, sembrano completamente dimenticare di essere riprese. Che relazioni desideravi tra le odoriko e la macchina da presa e quale relazione, in effetti, hai ottenuto?
Y.O: ho chiesto alle odoriko di permettermi di filmare mentre vivevano la propria vita come fanno ogni giorno, senza preoccuparsi della macchina da presa. All’inizio erano consapevoli che la camera fosse lì, ma man mano che mi hanno lasciato filmare sempre di più, sono gradualmente giunte al punto di non fare caso alla macchina da presa e alla squadra tecnica, anche perché non hanno molto tempo mentre si preparano accuratamente tra un’esibizione e l’altra. Ho passato molto tempo nel loro spazio quotidiano senza filmare, ed ho potuto osservare in che modo si muovessero. Sono persino diventato in grado di prevedere ogni loro azione in giro dietro le quinte. Ho messo dunque la camera dove sapevo di poter ottenere il tipo di ripresa che volevo e non ho fatto altro che aspettare le loro azioni. Quando non ottenevo ciò che volevo, riprovavo più volte per catturare la scena desiderata. È esattamente come se un regista rifacesse le riprese di una scena più volte durante un film.
A.M: c’è una odoriko che dice: “spero che tu sappia che siamo ragazze timide e ordinate fuori dal palcoscenico”. Pensi che le tue protagoniste considerassero in qualche modo lo spazio del film come uno spazio scenico? Che cos’è il camerino, nel tuo documentario? Sembra una sorta di limbo, di zona grigia.
Y.O: il camerino non è un posto “festoso” come il palcoscenico, e tuttavia è parte del loro posto di lavoro, perché è uno spazio in cui le odoriko, ognuna professionista indipendente, devono condividere. Sono in competizione per guadagnarsi la popolarità tra gli appassionati degli spogliarelli. C’è anche una gerarchia tra quelle affermate e le principianti nella carriera delle odoriko. Vivono una vita di artiste in viaggio di teatro in teatro, e i loro camerini restano un luogo di lavoro, anche se ci passano la maggior parte della propria vita quotidiana.
A.M: soprattutto nella seconda parte, lo spettatore ha l’opportunità di assistere a qualche spettacolo delle odoriko. Dal punto di vista stilistico, il tuo modo di riprendere la scena cambia rispetto a quando le inquadri nel camerino? Perché era così importante mostrare anche le loro esibizioni?
Y.O: ho cercato di filmare le scene sul palco nello stesso modo in cui ho filmato i loro camerini, nel modo più genuino possibile. In tutta onestà, le esibizioni dal vivo sono quanto di meglio potessi filmare. Spero che il pubblico vada davvero a vedere le odoriko esibirsi sul palcoscenico: per aiutarlo a sviluppare la sensazione di stare lì, ho lavorato duramente nel creare un sound design immersivo.
A.M: dietro le scene, il mondo delle odoriko che hai osservato così da vicino ti è sembrato più caratterizzato dalla solidarietà o dall’invidia e dalla competizione? E come ti è apparsoil rapporto tra diverse generazioni di odoriko? Ce ne sono alcune più avanti con l’età, che mostri nel film, che ispirano grande rispetto.
Y.O: nei camerini, si scopre la rigida gerarchia e le regole che ci sono tra le odoriko più esperte e quelle più giovani. Il loro lavoro si basa sulla popolarità, quindi in questo senso sono rivali. Sono imprenditrici indipendenti e di fatto non parlano molto dei propri affari personali mentre sono nei camerini. Comunque, considerando che lo staff e i capi non entrano molto in questo spazio, le odoriko lavorano insieme per far funzionare al meglio logistica e aspetti pratici del proprio lavoro, a dispetto di rivalità e gerarchie.
A.M: mi rifaccio ancora a un’affermazione di una delle odoriko: “Il mio lavoro è di vendere sogni, non realtà”. La uso come spunto per una domanda sul cinema: pensi che il documentario sia la cosa opposta? È tutto “realtà” e niente “poesia” o “sogno”, oppure in un documentario c’è molto più della realtà?
Y.O: ho chiesto alle odoriko di lasciare che le filmassi esattamente come sono, quindi penso davvero che questo film le ritragga in modo molto realistico. Ovviamente, questo è fatto attraverso la mia prospettiva, quindi spero che il pubblico cinematografico vada poi a visitare i teatri di spogliarello (anche se non possono entrare nei camerini). Penso che il documentario sia una ricostruzione fittizia della realtà.
A.M: nelle note di regia, hai dichiarato che “questo film servirà come testamento”. Pensi davvero che Odoriko sia destinato a diventare un ricordo di qualcosa che sta per scomparire, o pensi che il tuo documentario possa in qualche modo contribuire a ravvivare il successo e la nobiltà dell’arte delle odoriko?
Y.O: ho solo catturato la realtà delle odoriko ai giorni nostri, e non credo che il film possa influenzare la futura industria dello spogliarello. Ho solo sperato che gente di paesi lontani venisse a conoscenza del termine “odoriko” e dell’esistenza di queste donne che lavorano negli strip club, un settore pressoché dimenticato dalla società giapponese in cui viviamo.
SCHEDA DEL FILM
ANNO: 2021
PAESE: Giappone, Stati Uniti, Francia
GENERE: documentario
DURATA: 114'
REGIA: Yoichiro Okutani
FOTOGRAFIA: Yoichiro Okutani
MONTAGGIO: Keiko Okawa, Yoichiro Okutani
MUSICA: Young-chang Hwang
PRODUZIONE: Asako Fujioka (Documentary Dream Center), Eric Nyari (Cineric Creative), Yoichiro Okutani
(immagini: in copertina e all'interno, fotogrammi dal documentario Odoriko)
Antonio Maiorino