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Bratislava, 19 luglio 2012 - In questi giorni ricorre l'anniversario di un "divorzio". Al contrario dei matrimoni, i divorzi non sono eventi la cui ricorrenza vada celebrata. Ma gli '"anniversari" possono essere l'occasione per qualche spunto di riflessione. C’era un tempo la Cecoslovacchia. Fino a vent’anni fa la nazione compariva negli atlanti e la sua nazionale teneva testa alle più forti rappresentative nei campionati calcistici europei, riuscendo anche a vincerli, nel 1976, con i "mitici" Panenka e Ondrus. Esattamente due decenni fa, nel luglio del 1992, il parlamento slovacco proclamava la propria sovranità e di fatto “divorziava” dalla Repubblica Ceca. Finiva così la nazione cecoslovacca.
Nelle settimane antecedenti la storica separazione, i giornali nazionali si chiedevano se il futuro sarebbe consistito nell’alternativa tra l’avviarsi ognuna delle due nazioni per conto proprio verso l’Europa oppure dirigersi insieme verso i Balcani. A distanza di vent’anni, sembrerebbe che gli slovacchi siano riusciti meglio dei cechi a conformarsi all’Europa, contro ogni previsione.
La divisione della Cecoslovacchia è stata di fatto vissuta diversamente dalle due nazioni interessate. I cechi considerarono l’evento quasi una liberazione da un peso, al contrario della percezione slovacca dell’evento, che fu traumatica. I cechi si sentivano infatti più integrati nell’Europa dei loro cugini slovacchi, e forse per molti l’unico rimpianto fu quello di avere lasciato alla Slovacchia una delle zone più interessanti paesaggisticamente e turisticamente, vale a dire la catena dei monti Tatra. [MORE]
Ora, le cose sono cambiate, e la Slovacchia appare più integrata nel contesto europeo, tenuto conto anche del suo ingresso nella zona euro. Il primo ministro slovacco Robert Fico ha addirittura di recente dichiarato che se si desse vita ad un’Unione europea a due velocità economiche, la Slovacchia meriterebbe di appartenere al gruppo degli stati forti.
Nella Repubblica ceca, invece, tra i politici si è ben lontani da questo genere di certezze. Ciò, perché i cechi si sono un po’ adagiati sugli allori, considerando lo stato ceco come il prolungamento naturale dello stato cecoslovacco e non avendo mai dubbi di appartenere all’élite europea. Oggi che la crisi economica ha rimescolato le carte, i cechi sembrano voler rifuggire da una più stretta integrazione all’Ue, senza però valide alternative per il superamento della crisi.
La Slovacchia, invece, si prepara diligentemente con una fiscalità rigorosa a integrare nel suo bilancio il miliardo di euro che il paese ha promesso alla Spagna. Gli slovacchi sembrerebbero essere stati “allenati” dai loro governanti più dei cugini cechi alla logica del sacrificio. Si pensi che già nel 1999 , con un sistema bancario in odore di tracollo, venne elaborato un piano di rilancio equivalente a circa quattro miliardi di euro. La conseguenza fu che ogni famiglia dovette sborsare entro breve tempo l’equivalente di 3.300 euro, una cifra che corrispondeva a un anno di stipendio medio.
Raffaele Basile
foto di Raffaele Basile