Claudio, il militare dal cuore d'oro
Parola e Fede Lazio Roma

Claudio, il militare dal cuore d'oro

giovedì 30 gennaio, 2020

Un amico conosciuto su instagram mi ha mandato tre dei suoi libri. In pochi giorni ho letto l’ultimo in ordine di tempo di pubblicazione edito da Intrecci Edizioni, “Toccati dalla Misericordia. Storie di incontri con la Misericordia”. 

Ne sono rimasto letteralmente affascinato. Ho voluto conoscere meglio Claudio Capretti, classe 1962, originario di Roma, 1° Luogotenente nell’Esercito Italiano.

«Sono il primo di quattro figli, nato in una famiglia dove, ringraziando Dio, il necessario non è mai mancato. Accanto a questo aspetto, c’era da parte dalla mia famiglia, soprattutto da parte della nonna paterna, lo stimolo a essere vicino alla Chiesa. Devo molto a questa donna che porto sempre con me, fu lei a presentarmi dal parroco e a farmi inserire come ministrante. Stando in parrocchia fin da bambino, iniziai il mio percorso cristiano e a maturare tutte quelle scelte che di seguito, hanno segnato in bene la mia vita. Inoltre, in quel contesto, non solo ho maturato la scelta di intraprendere la vita militare, ma ho incontrato anche la donna che sarebbe poi diventata mia moglie e la madre dei miei figli».

Da dove nasce la passione  per la scrittura?

«L’ultima cosa della mia vita che avrei pensato di fare, era di scrivere e pubblicare dei libri. A scuola, non sono mai stato una “cima” e me la cavavo con il “minimo sindacabile”. Avevo, però, fin da ragazzo, una grande passione: la lettura. Leggevo di continuo un libro dopo l’altro, ma non avrei mai pensato di scriverne uno, poiché, non mi ritenevo affatto all’altezza di una cosa così grande. Poi, circa 10 anni fa, ci fu una vicenda che m’indignò molto e che diede l’inizio a tutto il mio percorso come scrittore. La vicenda in questione, fu una campagna diffamatoria nei riguardi del venerabile Pio XII in merito ai presunti silenzi sulla questione ebraica. Avevo letto già qualcosa e sapevo quanto infondate fossero quelle accuse; ma quella, fu l’occasione per approfondire meglio la figura di questo grande Papa. Dopo aver letto tutto ciò che riguardava Pio XII, scrissi un articolo specificando, non solo come la prudenza di quest’uomo evitò il peggio, ma elencai tutti quei fatti in cui il Sommo Pontefice aiutò concretamente gli ebrei. Proposi questo articolo al direttore del mensile della diocesi di Velletri, “Ecclesia in c@mmino”, don Angelo Mancini, il quale, dandomi fiducia lo pubblicò. La risonanza che ci fu a quell’articolo, fu veramente grande e m’incoraggiò ad andare avanti. Poi, osando ciò che per me era inosabile, iniziai a scrivere libri che furono pubblicati».   Claudio da tanti anni svolge un ruolo importantissimo nelle carceri. «Tutto iniziò – mi racconta –  quasi per caso 15 anni fa. Il vescovo della nostra diocesi mons. Andrea Maria Erba, chiese ai vari gruppi parrocchiali della diocesi, di animare la santa messa domenicale in carcere. Non dimenticherò mai quella prima domenica di avvento del 2004. Mentre con il mio gruppo varcavo i vari cancelli, avevo in cuor mio una sola convinzione: mai più sarei ritornato in quel luogo. Invece, appena uscito, accadde una cosa che mi costrinse a riflettere: ero felice. Era come se una parte di me, quel giorno, era rimasta “imprigionata” lì dentro. Oggi sono ancora li a prestare servizio. Collaboro con il Cappellano, don Franco Diamante, sia nell’ambito della Carità, sia in quello liturgico come Ministro straordinario per l’Eucaristia Ci fu un altro regalo che ebbi il primo giorno in cui entrai dentro una sezione carceraria. Fu un dono che mi fece comprendere che il mio posto era con questi miei fratelli in Cristo. In quella circostanza, la prima persona detenuta che incontrai, aveva un nome davvero singolare: Chiristo. Un ragazzo bulgaro di 23 anni. Lo incontrai solo quel giorno poiché, così mi dissero la volta successiva che vi ritornai, l’avevano trasferito. Non so se questo fu una co-incidenza oppure fu una Dio-incidenza».  

Come si concilia il tuo lavoro nell’Esercito con il tuo apostolato nelle carceri?

«Sono molto orgoglioso della scelta professionale che ho fatto. Mi ha dato la possibilità sia di fare un lavoro che mi piace, sia di operare in contesti operativi difficili, dove l’impegno di pacificazione dei militari italiani, è fondamentale. Essere in quei luoghi tormentati da conflitti armati e fare qualcosa per riportare il giusto equilibrio, non solo è utile, ma da’ sapore alla propria vita. E credo che nessuno ami di più la pace quanto un militare. Inoltre, vorrei aggiungere che nei Vangeli, i militari fanno una bella figura. Si basti pensare a Gesù che loda la fede del centurione di Cafarnao. Il primo atto di fede che viene pronunciato appena Cristo consegna il suo Spirito al Padre, è fatto da un militare. Il primo pagano che san Pietro convertì, si chiamava Cornelio, un centurione.  Anche quando svolgo il mio apostolato in quel luogo chiamato carcere, ho la sensazione di essere dentro un campo di battaglia, dove nel cuore della persona detenuta, si alternano lotte tra la conseguenza dei propri errori, il dolore che si è recato alle vittime e ai propri familiari, al desiderio di cambiare la propria vita. E noi siamo lì, in quel contesto, per cercare di pacificare senza sminuire il male recato e per ritrovare insieme a loro, la parte buona. Siamo lì, come operatori pastorali nel mondo penale, ad annunciare una Misericordia che è per loro. Siamo lì per dare ragione della nostra speranza. Una speranza che non delude».  

Claudio e la fede?

«La fede è essenzialmente un incontro che ho avuto con Cristo. Un incontro che ho sperimentato tramite la Chiesa per mezzo dei sacramenti e che alimento attraverso la preghiera. Questo incontro, come dicevo, è iniziato da bambino, ma l’ho avuto in modo più incisivo in un particolare momento della mia vita. Un momento sovrastato dalla confusione, dallo smarrimento e dalla sofferenza. In quel preciso momento, mi sono sentito domandare: “Dove sei?”.  Era una domanda che era finalizzata, non a schiacciarmi ancor di più, bensì, per farmi prendere atto in quale luogo ero finito. Era una domanda che m’invitava a rientrare in me stesso. Capii allora che dovevo rimettermi in cammino dopo un periodo di allontanamento sia da Dio sia dalla Chiesa. In questo cammino, nonostante le mie infedeltà, Dio è sempre fedele e paziente. E quando mi capita di cadere, non esito a ritornare a Lui tramite la Riconciliazione».

L’ultimo tuo libro è Toccati dalla Misericordia. In realtà, anche gli altri tuoi scritti hanno a che fare con la misericordia e più specificamente con il desiderio o l’inizio di una nuova vita. Cosa vedi nelle storie che racconti e cosa ti lasciano?

«Sì è vero, è presente sia nel libro: “ … e non fanno rumore. Storie di un volontario in carcere”, ma soprattutto nel testo:  “Una vita da rifare” . Tutti sono stati pubblicati da “Intrecci edizioni”. Nel secondo libro, racconto la storia del riscatto di un uomo appena uscito di prigione. È una storia in cui ha come sfondo la Misericordia di Dio, dove attraverso i fatti che ruotano intorno al protagonista, questa Misericordia, seppur in modo velato, si manifesta nella vita di quest’uomo. Ciò che vedo nelle storie che racconto, è esattamente il modo di agire del Signore nel non abbandonare l’opera delle sue mani. Siamo creature fragili e deboli, è vero, e lo constato ogni giorno con me stesso. Malgrado ciò, la Misericordia di Dio è più forte delle nostre debolezze, dei nostri pregiudizi e se lo vogliamo, se glielo chiediamo senza doppiezza di cuore, Dio viene in nostro soccorso».

Claudio e la famiglia. Di cosa ha bisogno la famiglia oggi? Come si vive la fede nella tua famiglia?

Io credo che la famiglia, ha bisogno di essere supportata con maggior vigore da parte delle Istituzioni tramite giuste politiche familiari. Al di là di questo, sono convinto che la famiglia ha bisogno soprattutto di rimettere al centro della propria vita Gesù Cristo. Ecco allora l’importanza di riunire la famiglia intorno alla “mensa della Parola”, a pregare con il santo Rosario o con la Liturgia delle Ore. A volte, un dolore è l’occasione per fermarsi e “alzare gli occhi al cielo” e per credere che Dio non permette mai un male nella nostra vita per un bene maggiore.

Un messaggio finale ai lettori.

Dio è amore. Non serve aspettare di capire tutto nella nostra vita per amarLo.                                                      
AmiamoLo e capiremo tutto, compreso il nostro non capire di oggi.                                                                                      
AmiamoLo, osserveremo la sua Parola di vita e vivremo. Per sempre. Per l’eternità.


Don Francesco Cristofaro 


Autore
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