Cinedanza Festival a Modena, l'intervista a Lorenzo Vercelli: "Videodanza in uno spazio d'incontro"
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Due giorni di proiezioni ed incontri alla scoperta di un’arte di respiro internazionale, ancora in fase embrionale in Italia: la videodanza. Si tratta del Cinedanza Festival, promosso a Modena il 26 e 27 ottobre da Supercinema Estivo e Drama Teatro. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Vercelli, Addetto alla Comunicazione del Drama.
ANTONIO MAIORINO: nella presentazione del vostro festival avete chiarito in parte la vostra identità specificando cosa non è il videodanza: “un videodanza non è meramente una ripresa di uno spettacolo di danza“. Questa è una definizione in negativo, come dire, ad esclusione: se volessi invece provare a costruire una definizione in positivo, dicendo cos’è un videodanza, da dove potremmo partire?
LORENZO VERCELLI: si può dire che è un ibrido, difficile da definire. È un genere cinematografico a sé, in cui essenzialmente ci sono quattro elementi che creano la drammaturgia finale dell’opera: il movimento dell’interprete, il movimento della cinepresa, il montaggio ed il suono. Questi quattro elementi devono saper dialogare: non deve esserci prevalenza di uno sull’altro, come per esempio accade in un videoclip, che è dichiaratamente sbilanciato sulla musica. Un videodanza, dunque, è proprio un ibrido, inteso come un delicato equilibrio tra questi elementi.
Le diciotto opere che avete selezionato sono il distillato, il meglio del meglio di ciò che avete visto. Aver potuto visionare molti lavori in fase di selezione vi ha consentito non solo di scegliere le opere migliori, ma anche di farvi un’idea complessiva della scena di videodanza. Come la definireste? Una scena viva, incerta, sperimentale…?
È una scena molto varia. Ci siamo affacciati al genere due anni fa conoscendo un regista di videodanza, inglese, che ci ha portato una selezione di videodanza del Leeds International Film Festival. L’avevamo chiamato a Modena per svolgere un laboratorio di tre giorni, proprio di pratica di videodanza: così abbiamo scoperto la disciplina. Ci siamo accorti che in Inghilterra e negli Stati Uniti è molto sviluppata. Sembrerebbe nata lì, ma approfondendo in altri paesi europei, Italia compresa, abbiamo notato che ci sono molti artisti che la esercitano. Per questo abbiamo lanciato una call internazionale, proprio per capire cosa succedesse nei vari paesi europei. Dall’Italia ne sono arrivati dodici, anche se non tutti in linea con i nostri criteri di selezione, a differenza di quelli provenienti da Inghilterra o Brasile. Questo ci porta a pensare che in Italia, si può dire, c’è tanta sperimentazione ma non una piena conoscenza del genere. In ogni caso, abbiamo puntato attraverso il festival, anche con iniziative specifiche, a descrivere questo panorama, nazionale e internazionale.
Hai parlato di criteri. In genere, quando la palla passa alla giuria, i giurati stessi si danno dei criteri propri per individuare il vincitore. La vostra giuria di qualità è composta dal fotografo Dorin Mihai, dalla montatrice Esmeralda Calabria e dall’artista John Duncan: come vi aspettate che si orientino nel valutare le opere?
Li abbiamo scelti proprio perché la videodanza è un’arte ibrida. Abbiamo selezionato tre ambiti che s’intrecciavano: un fotografo di scena, ma anche fotoreporter, vale a dire Dorin; una montatrice cinematografica, Esmeralda, perché avesse uno sguardo sulla postproduzione; infine un artista crossmediale, forse tra i tre il più esperto di videodanza, John, in contatto anche con molti danzatori a Roma. Interessante sottolineare che nessuno dei tre è un regista di videodanza: sono tre sguardi diversi, ma molto più vicini di quanto non sembri. I nostri criteri di selezione delle opere, invece, erano stati basilari, tecnici: guardavamo alla durata e al bilanciamento fra i quattro elementi che compongono la videodanza.
Così come per scegliere i giurati avevate in testa un profilo ideale della giuria, è lecito chiedersi se ci sia nelle vostre aspettative anche un’idea del destinatario ideale del festival: il cinefilo cosa troverò in Cinedanza? E l’appassionato puro di danza? In altre parole: cosa troveranno questi fan “puristi” in un territorio ibrido come Cinedanza?
È una domanda particolare. In effetti, in questi giorni abbiamo incontrato diversi cinefili ai quali abbiamo raccontato il nostro progetto, e tutti hanno replicato manifestando il loro entusiasmo, soprattutto perché non conoscevano il genere ed erano curiosi di esplorarlo. La videodanza rientra nel macro-ambito dei cortometraggi, in particolare nel nostro festival, perché abbiamo scelto la durata massima di dieci minuti (ma in generale la durata non è mai elevata). Non saprei scegliere, tuttavia, un utente-tipo: l’appassionato trova spunti interessanti soprattutto perché, al di là del formato, la videodanza, poi, si esprime attraverso altri generi. Per dirne una, abbiamo anche opere che si sviluppano con un linguaggio affine a quell’animazione. L’appassionato di performance dal vivo e di danza, dal canto suo, non mancherà di trovare spunti altrettanto interessanti.
Oltre ai cortometraggi di videodanza, avete previsto diversi spazi di riflessione sul tema: fisiologico per un festival che ha scelto un filone così innovativo nel panorama nazionale. Che ruolo ha questa sezione, fatta d’incontri e workshop?
Una parte importante, soprattutto nella prima edizione. Manterremo anche in futuro questa sezione del festival, perché ci piace che i festival diventino un luogo d’incontro tra il pubblico, i relatori, gli artisti. I momenti di discussione sono dunque fondamentali. In questa edizione, col Prof. Deggiovanni avremo il 26 ottobre una vera e propria panoramica storica della videoarte in Italia: in questo caso la discussione è prevalentemente frontale. A seguire, inoltre, avremo anche un incontro con una compagnia (Dehors\Audela, n.d.R.) che sta sperimentando da anni tecniche di videodanza e ci consentirà di esplorare il proprio lavoro. Il 27 ottobre c’è invece l’incontro con Esmeralda Calabria nella forma dell’intervista da parte di un critico cinematografico sul tema del montaggio, argomento traversale che intercetta anche la videodanza ma può avere un taglio più generale.
Cinedanza può dunque diventare uno spazio d’incontro. Più in generale, d’altro canto, questo festival si inserisce nell’azione culturale dell’associazione Artisti Drama di Modena. Ci sono compagnie che a volte agiscono con la vista corta, per lo più da mestieranti – ed hanno, beninteso, tutto il diritto di farlo; Artisti Drama, invece, sembra manifestare un orizzonte più ampio. In chiusura della nostra chiacchierata, allora, ti chiedo cosa ispiri la vostra azione e cosa vogliate ispirare nel pubblico, anche e soprattutto con Cinedanza.
Non volevamo che Cinedanza fosse l’ennesimo festival calato dall’alto. Piuttosto lo vediamo come un punto d’arrivo di un percorso partito nel 2017 con dei laboratori e proseguito attraverso la conoscenza di diversi artisti di videodanza. Tutto quello che organizziamo è il frutto di relazioni ed esperienze che maturano. Di base, nasciamo come spazio che organizza una stagione di teatro ed un festival estivo, sul teatro di ricerca contemporaneo, o comunque su di un tipo di teatro in cui ci si concentra sull’attore e sulla nuova drammaturgia. Negli anni si è formato un nucleo di artisti più o meno fisso che ruota attorno alla nostra programmazione. La vocazione del nostro spazio è quella della relazione onesta e reale con gli artisti e più in generale con le persone, un luogo per chi fa teatro, danza, videodanza: un luogo sicuro in cui poter sperimentare, permettendosi anche il “lusso” di poter provare nuove imprese.
(in foto: un fotogramma del corto Hic et nunc di Emma Cianchi, selezionato nella I edizione del Cinedanza Festival. Si ringraziano Marianna Miozzo e Lorenzo Vercelli)
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