Estero
Cina:scontri e morti nella regione dello Xinjiang
PECHINO, 19 LUGLIO - Lo Xinjiang, regione nord-occidentale della Cina, è stato ancora una volta teatro di tensioni tra le spinte separatiste delle minoranze e la sete di controllo di Pechino. Gli scontri di ieri hanno registrato diversi morti, ma sul numero delle vittime e l’origine delle violenze rimangono versioni contrastanti.[MORE]
Protagonisti degli scontri con la polizia nella città di Hotan sono stati un gruppo di manifestanti della minoranza etnica musulmana degli uiguri, che protestava pacificamente di fronte ad una stazione di polizia per chiedere il rilascio di alcuni famigliari incarcerati in seguito alle repressioni avvenute negli ultimi tempi.
Secondo il Congresso mondiale uiguri, organizzazione in esilio con sede in Germania, le autorità avrebbero aperto il fuoco sui manifestanti provocando la morte di 20 persone e avrebbero emesso 70 ordini d’arresto.
Versione totalmente diversa è quella delle autorità di Pechino, che hanno definito le proteste come «azione terroristica organizzata» durante la quale «il gruppo di rivoltosi, armati di ordigni esplosivi, hanno dato fuoco al commissariato e ucciso quattro ostaggi».
Fatto sta che a strage compiuta, la censura che vige nel paese ha ancora una volta impedito di reperire, su blog e motori di ricerca, informazioni circa gli scontri. Le chiavi di ricerca “disordini nello Xinjiang” e “Hotan” generano una pagina che riporta il seguente messaggio: «In base alle leggi, i risultati della ricerca non vengono mostrati».
La situazione nella regione è, per usare un eufemismo, effervescente ormai da tempo. E questo lo spiegano diverse ragioni. Innanzitutto, la popolazione di Hotan è composta per più di due terzi da minoranze etniche, e gli uiguri, di fede musulmana e di lingua turcofona, costituiscono poco meno della metà della popolazione. Le tensioni che hanno agitato negli ultimi anni la regione di Xinjiang sono attribuite da Pechino ai "gruppi separatisti collegati ad Al Qaeda" che puntano a creare lo stato indipendente del Turkestan orientale. A questo mix esplosivo si aggiunga che la regione confina con Afghanistan, Pakistan, India e Asia centrale, ed è ricca di petrolio, gas e carbone.
Così, in questa enorme nazione straziata silenziosamente da un potere che schiaccia e opprime, le celebrazioni dei 60 anni di «liberazione pacifica del Tibet», vengono macchiate da morti e violenza, e la visita in Cina del ministro degli esteri Franco Frattini, neanche a dirlo, è finita in secondo piano in molte delle edizioni locali dei quotidiani e dei siti on line.
Claudia Di Giacomo