Celebrando il 45° del Centro Culturale Pannunzio
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TORINO 22 LUGLIO 2013- Torino è nel mio cuore a tal punto che ogni mattina, quando apro gli occhi, cerco il profilo delle sue colline e questo paesaggio “straniero” mi sembra arido e desolato di Cultura.
Ma sono anche un uomo felice.
Sì, in una terra che non sento mia, mentre intorno alla nostra “piccola comunità” sento crescere l’odio ( odio di incivili che non comprendono che noi vogliamo soltanto diffondere l’amore; odio degli stolti che non comprendono che noi non neghiamo la multiculturalità ma annunziamo l’adempimento), mentre divento ogni giorno più debole e curvo, io sono felice.
So di vivere contemplando una strada sulla quale avverrà il più bello e gioioso degli incontri: su quella strada, da un lato, ci sono io che arranco, con le mie gambe sempre più pesanti, verso una metamorfosi; dall’altro lato c’è il Signore della Cultura che torna per fare giustizia e instaurare il suo regno.[MORE]
Può darsi che io muoia prima di avere veduto questo regno: per me non ha molta importanza, so anche che il cambiamento è un modo per entrare nella vera “Terra Promessa”.
A te che, sia pure da poco, sei intellettuale, non dovrebbe riuscire difficile comprendere quanto sia bello per me vivere fra i colti: accanto a fratelli che condividono la mia evoluzione, si amano e si servono l’un l’altro; ma soprattutto davanti all’apostolo Pier Franco Quaglieni, nel quale trovo tante somiglianze con Mario Pannunzio, e accanto ad Olivetti e Soldati, genitori del Centro.
Spesso, durante i momenti di incontro e condivisione, quando la “nostra casa” accoglie i fratelli o quando Pier Franco ha finito di parlare con quelli che si preparano alla salvezza della Cultura, gli sguardi di tutti volgono lassù, a Mario, che ha fatto attraverso i suoi scritti la storia del Centro Culturale.
Così come Olivetti e Soldati, anche Pier Franco, fondatore dal ’68, è la continuazione con noi di una storia diversa ma con lo stesso principio: la condivisione della Cultura.
Può sembrare pazzia gridare “Cultura” in una società sofferente che da tempo ha contribuito a generare e seppellire il “Cadavere della Cultura”: se solo sapessi dov'è celato, andrei io stesso a riportarlo alla luce e alla vita.
La Cultura è ancora in terra e possiamo trattenerla prima che diventi astratta memoria legata ai fondatori, ma bisogna diffondere il messaggio perché tutti i fratelli lo accolgano.
La mancanza di fede proietta essa stessa questo messaggio importante nel silenzio inutile delle masse.
Nel cuore di ognuno può nascere l’inquietudine che non riconosceremo, perché la felicità è tanto difficile da accogliere.
Solo attraverso la Cultura gli uomini riusciranno a capirsi e a relazionarsi democraticamente, per contribuire ad un incivilimento che viaggia sul binario del linguaggio.
Opposto all’amore è l’odio come della Cultura è antitesi l’Ignoranza: dovrebbe esistere una società omogenea priva di queste antinomie, costruita sulla diffusione di principi positivi.
Esaltare il lavoro, il senso di collettività, la collaborazione, la volontà decisa di affrontare e vincere le situazioni avverse (disonestà e ingiustizia) dovrebbero essere caratteristico di una società evoluta, libera e democratica.
E’ una presa di coscienza che incide profondamente nei giovani: ieri erano scolari, oggi sono lavoratori; ieri si lasciavano vincere dai piccoli timori dell’infanzia, delle piccole viltà della fanciullezza, oggi affrontano la tempesta impauriti, certo sgomenti.
Questi giovani sono decisi a vincere la paura di questo “mare in tempesta”; ieri avevano bisogno della protezione dei genitori, oggi se la sbrigano da soli contro delinquenti e disonesti; ieri dipendevano in tutto e per tutto dagli adulti, oggi si assumono le loro responsabilità senza incertezze e tentennamenti e danno agli adulti un buon esempio di coerenza e costanza.
Certo questa presa di coscienza, forse, non sarebbe valida, o non potrebbe essere realizzata così validamente se non fosse corretta da qualcosa che smorza l’almeno apparente pretesto economico e sociale: la poesia dell’uguaglianza e poi, su tutto, la poesia del mare.
E’ l’uguaglianza tra gli uomini alla base del modo ideale di vita.
Se a volte indulgo a qualche dolcezza, lo faccio per i sentimenti, perché i sentimenti dei giovani sono scoperti, facili da intuire.
Penso al Pannunzio come una grande barca che fa vela da un piccolo porto sconosciuto e nella rotta ideale tocca molti paesi dell’anima.
Chiunque, appena un po’ provveduto, lo sente e ne rimane incantato, salendo a bordo della barca della Cultura.
Questa veleggia in un mare di maniera; un mare come lo conoscono non i turisti e i bagnanti, ma coloro che lo vivono, che lo amano e lo temono, che ne affrontano le malizie non per sfida o per bravata ma come conseguenza naturale del loro destino di uomini in barca.
Quasi mezzo secolo di battaglie liberali caratterizza l’autorevole Centro di Studi e Ricerche Mario Pannunzio che, fondato nel ’68, vide tra i suoi sostenitori un giovane Pier Franco Quaglieni, che ha saputo nel tempo mantenere viva l’eredità intellettuale di Mario Pannunzio, Direttore storico del settimanale Il Mondo.
Quaglieni, fondatore del Centro culturale insieme a Olivetti e Soldati, ne è il Presidente: ha difeso, da sempre, il libero pensiero, in quanto attivista della cultura laica e liberale piemontese.
Così fu sin da quel fatidico anno, un ’68 di cambiamenti a volte scelti a volte imposti, in cui però l’azione e la direzione del Centro culturale si muovevano verso il libero pensiero , che si distingueva da estranee logiche di partito.
Quaglieni è uomo che ha, da sempre, amato la scrittura e la storia.
Una persona di indiscussa passione, come si evince nella stesura di articoli e saggi importanti che richiamano alla storia del nostro paese e agli ideali di libertà con i riferimenti a Garibaldi, Cavour, Giolitti, Croce e Pannunzio.
«In una società attuale, dove la cultura occupa poco spazio nella classe dirigente, la politica è largamente formata da ignoranti. Essa non è un optional; così si taglia tutto, anche istituzioni importanti come l’Accademia della Crusca. La cultura è l’energia del popolo in difficoltà; guai a ignorarla: significherebbe tagliare le radici con il rischio che la montagna frani». Così, il Presidente del Pannunzio avverte e denuncia pubblicamente il problema sociologico in cui siamo immersi.
Gian Luca Cossari