

Catanzaro e don Mimmo Battaglia: un abbraccio di speranza
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«Qui il segno della presenza di Dio». L’abbraccio d’amore tra don Mimmo Battaglia e Catanzaro
Il Cardinale di Napoli nella sua chiesa d'origine per una solenne celebrazione. La commozione dei fedeli e un pensiero speciale per Papa Francesco.
CATANZARO — "Un abbraccio che ricambio con tutto il cuore, perché è bellissimo essere qui dopo tanto tempo." Con queste parole cariche di emozione, il cardinale di Napoli, don Mimmo Battaglia, ha salutato la comunità di Catanzaro, la città che ha visto nascere la sua vocazione pastorale. Prima ancora che cardinale, don Mimmo è il sacerdote amato dai fedeli, il pastore vicino agli ultimi, il punto di riferimento per chi ha bisogno di speranza.
Un'accoglienza calorosa ha caratterizzato il ritorno di Battaglia nella sua terra natale, dove ha celebrato una solenne messa nella Basilica dell'Immacolata. Al suo fianco, l'arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, monsignor Claudio Maniago, che ha sottolineato l'importanza di questo momento per l'intera comunità ecclesiale. “È bello riportare un fratello nella sua chiesa d'origine. Qui sono le sue radici, qui ha vissuto e lavorato,” ha dichiarato monsignor Maniago. “La sua umanità e la sua fede sono un tratto distintivo, un esempio per tutti noi.”
La commozione dei fedeli e il pensiero per Papa Francesco
La celebrazione è stata un'occasione speciale non solo per riabbracciare la comunità catanzarese, ma anche per rivolgere un pensiero a Papa Francesco. "Preghiamo per la sua salute e ringraziamo il Signore per la sua scelta, che rappresenta un dono per tutta la Chiesa e in particolare per la Calabria," ha affermato il cardinale Battaglia.
L'affetto nei confronti del cardinale è stato tangibile: molti fedeli si sono avvicinati per un saluto, un sorriso, una parola di conforto. Un legame autentico, quello tra don Mimmo e la sua città, fatto di condivisione e vicinanza spirituale.
Un'omelia di speranza per la Calabria
Durante la sua omelia, il cardinale Battaglia ha rivolto un messaggio di speranza e unità alla comunità calabrese: "La nostra terra ha bisogno di quella speranza che non tradisce, di quella forza che non si arrende, di quella luce evangelica capace di ridestare i cuori al coraggio e al sorriso." Parole che hanno toccato profondamente i presenti, risuonando come un invito a non perdere mai la fiducia nel futuro.
Affidandosi a Maria, "donna di pace, sognatrice di unità, tessitrice instancabile di fraternità," Battaglia ha esortato la Chiesa calabrese a essere un segno concreto della presenza di Dio nel territorio: "Non stancarti mai di ripeterci le parole di tuo Figlio, che ci invitano a dismettere le corazze dell'individualismo per indossare l'abito luminoso dell'amore fraterno."
Un momento di intensa spiritualità che ha rafforzato il legame tra don Mimmo e la sua Catanzaro. Una città che, con il cuore colmo di gratitudine, ha rinnovato il proprio affetto a chi, ancora oggi, continua a portare avanti il suo ministero con dedizione e amore universale.
Testo integrale dell’melia di Don Mimmo Battaglia
Carissime sorelle, Carissimi fratelli,
Amati fratelli presbiteri, con cui ho condiviso gli anni bellissimi del mio ministero presbiterale,
Signori sindaci, autorità tutte, amici,
Grazie di essere qui, intorno a questa mensa eucaristica, per ascoltare la parola di Colui che ci chiama ogni giorno a rinnovare la nostra vita e la vita della nostra comunità, per celebrare la bellezza del camminare insieme. Sono davvero felice di essere qui con voi.
E proprio per questo, permettetemi di ringraziare il mio confratello e vostro vescovo Claudio per l'invito fraterno che mi ha fatto. Grazie, don Claudio, per avermi invitato ad essere qui quest’oggi e grazie per la responsabilità pastorale, tradotta in amore quotidiano, che hai verso questa comunità, di cui sono e continuo a sentirmi figlio. Grazie perché, con il tuo invito, mi hai dato l'opportunità di poter gustare il sapore genuino di questa fraternità, che anche a distanza di anni e di chilometri continua a far gioire il mio cuore.
Sapete, in questi anni il mio cuore ha continuato a custodire i volti e le storie della nostra Chiesa catanzarese: tutte le persone e le comunità che il Signore mi ha affidato, i presbiteri e i maestri, i giovani e i ragazzi che ho avuto l'onore di servire, e nelle cui fragilità e ferite ho imparato a scorgere l'immagine di quel Dio che tutti accoglie e nessuno rifiuta.
Sì, il nostro Dio, il Dio che Gesù ci ha raccontato con la sua vita e con la sua Pasqua, è un Dio fedele, ostinato nell’amore, infinitamente generoso nella misericordia. E proprio per questo, il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci mette dinanzi a un interrogativo che attraversa ogni tempo e che riguarda tutti i popoli e le relazioni, non solo quelle matrimoniali.
"È lecito ripudiare?" è la domanda che i farisei rivolgono a Gesù. Ma più che una vera ricerca di verità, è una trappola. Cercano una risposta che rientri nelle logiche giuridiche, nelle norme scritte, nei regolamenti umani. Ma Gesù non si lascia intrappolare. Non risponde con un codice di leggi, ma con un ritorno alle origini:
"Per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse per voi questa norma."
Ecco il punto: il ripudio non nasce da un ordine di Dio, ma dalla durezza del cuore umano. Quando il cuore si indurisce, quando smette di vedere l’altro come un dono e lo riduce a un oggetto, a una proprietà da tenere o da scartare, allora cerca scappatoie, cerca giustificazioni.
Ma all’inizio non fu così!
Dio ha pensato l’amore come unità, come un incontro tra due vite che si scelgono per diventare una cosa sola. Gesù ci invita a fare un passaggio dalla logica del possesso a quella del dono.
L’amore vero, sorelle e fratelli, non è trattenere, non è avere l’altro sotto controllo, non è dire “tu mi appartieni”, ma piuttosto: "io ti accolgo, io ti riconosco come dono, io mi dono a te." È un amore che non si misura sui diritti e doveri scritti, ma sulla capacità di fare spazio dentro di sé.
E allora, questo Vangelo non parla solo di matrimonio, ma di ogni relazione umana.
Quanto spazio lasciamo all’altro nella nostra vita? Lo accogliamo per quello che è o vogliamo plasmarlo a nostra immagine e somiglianza?
Il nostro cuore è un cuore abitabile o una fortezza chiusa?
Ecco, Gesù ci chiede di tornare al progetto iniziale di Dio: un amore che non calcola, un amore che non scarta, un amore che non ripudia, un amore che non è contratto ma cammino, che non è diritto ma dono.
Solo un cuore accogliente può viverlo davvero. Questo è l’amore di cui il mondo ha bisogno: un amore che non sia fatto di contratti da rispettare o di scadenze da onorare, ma di cuori che si
aprono e si fanno casa l’uno per l’altro.
Perché il problema non è solo il matrimonio e il ripudio, ma le relazioni in generale. Se qualcosa non funziona, se qualcuno ci delude, lo si manda via dalla propria vita, dai propri affetti. Se un legame diventa scomodo, lo si rompe. È la logica del ripudio che continua ad attraversare la storia.
Ma Gesù ci chiama a qualcosa di più grande: ci chiede di costruire relazioni che siano dono, non possesso; che siano ospitalità, fedeltà autentica, accoglienza profonda dell’altro.
Questo non vale solo per la coppia, ma per tutta la comunità di discepoli. Vale per la Chiesa.
Perché la Chiesa di Cristo è segno di quell’amore originario che Dio ha sognato per l’umanità: un amore che unisce, accoglie, tiene insieme.
Abbiamo bisogno di una Chiesa che sappia mostrarsi per ciò che è:
una madre che accarezza, che accoglie, premurosa, attenta, una Chiesa che abbraccia.
Ma attenzione! Questo vale non solo per la Chiesa, ma anche per il nostro atteggiamento verso di lei.
In un certo senso, il Vangelo di oggi ci dice anche questo: non ripudiare la Chiesa.
Anche quando ti delude, non voltarle le spalle. Anche quando ti sembra distante, è madre. E le madri non si scelgono, si amano.
Non è un’assemblea di perfetti, ma una comunità di fragili, che insieme inciampano e si rialzano.
Se ti scandalizza la sua miseria, resta e aiutala a diventare più bella.
Resta e contribuisci al suo cammino, facendo vibrare tra le sue braccia la tenerezza del Vangelo attraverso la testimonianza della tua vita.
Chiesa mia, oggi voglio parlarti con il cuore in mano.
Voglio dirti grazie.
Grazie perché, prima ancora che pastore, io sono tuo figlio.
Mi hai accolto, mi hai cresciuto nella fede, mi hai insegnato il Vangelo, non solo con le parole, ma con la vita di chi ha saputo amarmi ed accompagnarmi.
E anche se oggi il Signore mi ha chiesto di servire altrove, dentro di me resto sempre parte di te.
Tu mi hai donato tanto.
Oggi voglio restituirti almeno una parola: amore.
L’amore di cui parla Gesù nel Vangelo di oggi.
Un amore che non è possesso, ma dono; che non è calcolo, ma accoglienza; che non separa,
non esclude, non scarta, ma ricuce, rialza, riabbraccia.
È questo l’amore di cui ha bisogno il mondo.
È questo l’amore che deve brillare nella nostra Chiesa.
Chiesa mia, custodisci l’unità.
Non c’è Chiesa senza comunione, non c’è comunità senza legami vivi e autentici.
E affidiamo questo nostro sogno a Maria, Madre Immacolata, custode del sogno di Dio.
Maria, donna di pace, sognatrice d’unità,
Prendici per mano e non stancarti mai di ripeterci le parole di tuo Figlio.
Fa’ che possiamo guardare al futuro con audacia, sapendo che insieme si può fare la differenza.
Amen.