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ISTANBUL, 20 OTTOBRE – Gli investigatori turchi, coordinati dalle autorità di polizia di Ankara, stanno compiendo significativi passi avanti nell’inchiesta sulla sparizione e probabile morte dello scrittore e giornalista saudita Jamal Khashoggi. Sessantenne, da tempo considerato dissidente nei riguardi della famiglia reale saudita, Khashoggi si era autoesiliato negli Stati Uniti da più di un anno, temendo di essere arrestato dalle autorità del suo Paese a causa dei suoi pessimi rapporti con il principe ereditario Mohammed bin Salman, tuttavia aveva deciso di recarsi in Turchia circa un mese fa per ottenere dal consolato saudita ad Istanbul alcuni documenti necessari per contrarre matrimonio con una cittadina turca, Hatice Cengiz. Le tracce del giornalista si sono però completamente perse nel momento in cui, dopo le ore 13 locali del 2 ottobre, ha varcato la soglia della porta principale del consolato di Riad.
Secondo la versione fornita da Hatice Cengiz, non essendo ufficialmente ricercato per alcun reato, Khashoggi avrebbe fissato un appuntamento con alcuni funzionari del consolato, dai quali avrebbe dovuto ricevere semplici documenti che certificassero il suo stato civile. Nel giro di poche ore, però, la preoccupazione della donna è salita al punto da chiedere disperatamente notizie direttamente alle autorità di Istanbul (essendo peraltro cittadina turca). Il Ministero degli Esteri locale si sarebbe subito attivato per fare luce sulla vicenda, ma in base alle primissime informazioni raccolte Khashoggi si sarebbe dovuto trovare ancora all’interno dell’edificio; l’ambasciatore saudita, però, convocato nella stessa giornata presso il medesimo Ministero, fornì una versione differente, sostenendo che lo scrittore sarebbe uscito dal consolato dopo pochi minuti, forse passando per una porta secondaria.
Il mistero s’è iniziato ad infittire dopo che il Washington Post, con il quale Khashoggi collaborava attivamente da alcuni mesi negli USA, ha diffuso online alcuni fotogrammi tratti dalle telecamere di sorveglianza dello stesso consolato, dai quali è emerso che il 60enne sarebbe entrato in una stanza dell’edificio ma non ne sarebbe più uscito. Nei giorni successivi, le indagini delle autorità locali si sono infittite, giungendo ad una svolta, almeno presunta, quando si è scoperta la coincidenza tra il giorno della sparizione di Khashoggi e l’arrivo di due jet privati all’aeroporto Atatürk provenienti da Riad e tra i cui passeggeri vi sarebbero stati vari ufficiali delle forze speciali e funzionari dell’intelligence saudita, nonché uno specialista in medicina legale. I media turchi sono in effetti riusciti a mandare in onda anche una foto catturata dalle telecamere CCTV dell’aeroporto, nella quale appariva l’intera squadra di 15 uomini appena sbarcati. Questi ultimi, in base alle informazioni della polizia, avrebbero poi trovato alloggio in due alberghi che si trovano proprio nel quartiere Levent, lo stesso del consolato di Riad; infine, il fatto che alcuni di loro siano stati visti incamminarsi verso l’edificio diplomatico saudita ha dato definitivamente adito all’idea che possa essersi trattato di un collegamento non casuale.
Gli investigatori locali hanno raccolto anche ulteriori elementi che potrebbero essere rilevanti: mezz’ora prima che Khashoggi arrivasse al consolato, all’intero personale turco è stato chiesto di prendere il resto della giornata libera in maniera apparentemente inspiegabile e lo stesso trattamento sarebbe stato riservato ai governanti della casa del console generale in Meselik Street, sempre nel quartiere Levent; nel frattempo, un misterioso furgoncino nero sarebbe stato parcheggiato davanti ad un’uscita nascosta, mentre sei auto con targhe diplomatiche avrebbero affollato il garage privato del console. Inoltre, pur avendo prenotato le stanze ad Istanbul per tre notti, tutti i 15 cittadini sauditi sono improvvisamente tornati in patria ripartendo con lo stesso jet privato con cui erano sbarcati.
È stato proprio il van, scomparso nel giro di poche ore, a far pensare dapprima ad un rapimento del giornalista dissidente, poi ad un omicidio. Lo stesso Washington Post ha citato una propria fonte interna al consolato che avrebbe assistito al trasporto di alcune casse all’esterno dell’edificio, lanciando dunque l’ipotesi che Khashoggi sia stato squartato e fatto sparire; ulteriore supposizione del quotidiano della Capitale statunitense è che i servizi segreti americani sapessero dell’esistenza di un progetto saudita per attirare il giornalista in una trappola e catturarlo od ucciderlo, congettura però smentita ufficialmente dal Dipartimento di Stato USA.
Nel frattempo, Riad ha sempre continuato a negare ogni coinvolgimento nella faccenda legata allo scrittore 60enne, ma la situazione diplomatica, soprattutto nei rapporti con la Turchia, è sostanzialmente precipitata nel momento in cui la polizia di Istanbul ha scoperto che i filmati della videosorveglianza interna al consolato sarebbero stati manomessi volontariamente da ignoti e nel contempo le autorità saudite hanno negato agli investigatori ogni accesso ulteriore all’edificio. Dopo varie minacce di sanzioni e pene severe, anche da parte degli Stati Uniti – con la discesa in campo in prima persona di Donald Trump – soprattutto sul piano dei rapporti economici, che hanno fatto praticamente crollare la Ryad Stock Exchange nel giro di poche ore, Re Salman ha quindi deciso di riprendere a collaborare nelle indagini, concedendo nuovamente l’accesso al suo consolato.
Tra il 15 e il 16 ottobre, tuttavia, la posizione ufficiale dell’Arabia Saudita è nuovamente cambiata: dopo un colloquio telefonico privato fra Salman e Trump, infatti, la CNN ha diffuso la notizia secondo cui le autorità di Riad sarebbero state pronte a redigere un rapporto diplomatico in cui ammettere la morte di Khashoggi, ma continuando a respingere le accuse di premeditazione dell’omicidio. Si è sostenuto, cioè, che il dissidente sarebbe stato semplicemente interrogato negli uffici del console ma la situazione sarebbe precipitata a causa di una discussione con i funzionari; lo stesso Presidente degli Stati Uniti ha iniziato ad ipotizzare il coinvolgimento di “delinquenti fuori controllo” e di “cani sciolti”, senza alcun legame con la famiglia reale saudita, ma è stato incalzato però ben presto dalle opposizioni democratiche che hanno ricordato gli stretti rapporti tra i due Paesi relativi al commercio di armi da fuoco.
Le indagini ad Istanbul sono comunque proseguite, fino a giungere alla svolta probabilmente definitiva, legata all’acquisizione di alcune registrazioni audio (non è ancora chiaro se si tratti di quelle della sorveglianza interna al palazzo o dei suoni captati dallo smart-watch al polso di Khashoggi). Secondo i media turchi, infatti, dalle registrazioni in questione sarebbe stato possibile risalire al punto esatto in cui si sarebbe tenuto l’interrogatorio e nel quale Khashoggi avrebbe perso la vita dopo essere stato torturato per almeno 7 minuti. La testata Yeni Safak ha scritto che gli investigatori avrebbero captato i momenti salienti dell’intervento dell’esperto di autopsie giunto da Riad, comprendendo che il corpo sarebbe stato fatto a pezzi con una musica in sottofondo; infine, sarebbero riusciti a distinguere anche la voce del console Mohammad al-Otaibi.
Il Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha infatti dichiarato che la polizia ha raccolto sufficienti informazioni e prove sul caso del giornalista scomparso, affermando che i risultati dell’inchiesta verranno a breve resi pubblici. Da chiarire ancora chi possano essere stati i reali mandanti dell’omicidio, ma il Washington Post ed altre testate internazionali hanno ipotizzato che le varie piste portino proprio al Principe ereditario saudita, Mohammad bin Salman, che era stato aspramente criticato da Khashoggi per mezzo di articoli giornalistici e libri d’inchiesta, soprattutto per le azioni militari in Yemen. Nel suo ultimo editoriale pubblicato sul quotidiano americano, si può leggere una forte invettiva contro “la cortina di ferro imperante nel mondo arabo”, che impedirebbe all’opinione pubblica di comprendere i problemi della propria società, legati a povertà, mala amministrazione e bassa educazione, nonché di far sentire la propria voce al di là dell’unica “piattaforma governativa, con cui si diffonde l’odio attraverso la propaganda nazionalista”.
Francesco Gagliardi
Fonte immagine: bbc.com