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Cosa dobbiamo fare? È la domanda che ognuno di noi dovrebbe pronunciare dinnanzi al bisogno di rivedere la propria vita e di cambiare registro. Il Battista al popolo che attendeva delle indicazioni, per trovare la strada maestra, rispondeva a questa domanda con la sollecitazione ad ognuno di entrare con semplicità nel pieno miracolo della condivisione. Fare, condividere, camminare assieme. La fede non fantastica le cose, ma dona, offre, cede, fa. Vale anche per noi! Ritrovare il gusto della condivisione non è facile in una società dove la politica spesso agita le paure per raccogliere il consenso e la finta unità del popolo.
È sempre facile, ma senza un risultato di sostanza, mettere assieme per unire sfoderando la spada di Damocle della paura. Unire non è solo sommare delle diversità nel disagio sociale, ma saper stimolare come stile permanente di vita quelle capacità e carismi interiori che hanno la radice eterna in comune. Se richiesti quest’ultimi possono all’esterno creare comunione, unità essenziale. La condivisione aiuta un popolo a camminare assieme in modo ordinato e visibile e quindi a bene operare nella fede.
La salvezza è la meta finale di ogni uomo e non solo di coloro che da subito abbiano trovano la strada per la conversione del cuore. Anche i pubblicani possono e devono salvarsi, quelli antichi come quelli moderni. Giovanni li invita a non chiedere più del giusto; a non esigere nulla che non rientri in ciò che sia stato fissato. Fare bene in poche parole il proprio lavoro, sempre secondo giustizia. Messaggi chiari, semplici, ma di una attualità che rompe la saccenteria odierna di chi partendo da sé stesso pensa di poter migliorare tutto ciò che ha di fronte.
Ai soldati colui che battezza con l’acqua raccomanda di usare le armi della guerra nella guerra. Nel corso naturale della vita non bisogna estorcere, né maltrattare alcuno specie se più debole e indifeso. Deve di continuo emergere la legge della pace. Non si può, contesta il re Davide ad un suo importante ufficiale, uccidere chi viene in nome della pace. Il sovrano lo considera un atto sacrilego e traditore e chiunque lo avesse compiuto, anche se superiore in grado, avrebbe pagato con la sua stessa vita.
Giovanni aggiunge che bisogna anche accontentarsi delle proprie paghe, non per invitare ad una passività permanente dinnanzi a dei possibili ingiusti emolumenti, ma per fare emergere il valore della felicità del cuore al di là del valore materiale dei beni materiali posseduti. Evitare quindi sempre i soprusi, grandi o piccoli che siano, e servire con costanza il senso alto della giustizia e della carità.
Il Battista poi battezzava con acqua e purificava chi volesse entrare in cammino e tutto procedeva nel nome di Dio. Oggi noi che siamo battezzati non solo con l’acqua, ma anche nello Spirito e nel fuoco che purifica, brucia e monda l’uomo vecchio, dobbiamo fare nostre le risposte di colui che preparava la via del Signore. Dobbiamo renderle attive con una fede che fa e non dice, sapendo che il Messia annunciato dal Battista ci ha rigenerati e messi nelle condizioni di ritornare ad essere uomini veri e liberi dal peccato originale.
Nel battesimo si crema infatti la natura vecchia dell’uomo per far nascere la natura nuova. L’uomo non ha più motivi per non seguire la Parola. Dio sarà Giudice giusto e irremovibile quando alla fine di tutto dovrà per ognuno far emergere ciò che sia stato fatto secondo il suo insegnamento e quanto sia stato eseguito contro di esso. L’aia sarà ripulita. Il frumento andrà nel granaio; la paglia nel fuoco. Bisogna perciò aprirsi alla preghiera sicuri che anche nella peggiore delle situazioni Dio, se invocato senza reticenze del cuore, sarà presente e come dice San Paolo calmerà la tempesta.
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