Boris Brott al Petruzzelli dirige un secolo di musica: da Brahms a Ligeti
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BARI, 8 NOVEMBRE 2011 - Se uno sguardo diretto divarica il raggio di osservazione e punta ad abbracciare l’oggetto nella sua ampiezza, lo sguardo obliquo sceglie di essere eccentrico per mirare al centro. La visuale dall’alto rende invece la figura assoluta, intera. Allo stesso modo in cui il pubblico è portato ad osservare il palco da punti differenti, la musica di ieri al Teatro Petruzzelli ha potuto inglobare diverse prospettive sonore passando dal diretto Rachmaninov all’eccentrico Ligeti fino alla musica assoluta di Brahms, sfiorando quasi un secolo di storia e non a caso il tempo delle contraddizioni e delle coesistenze non troppo pacifiche.[MORE]
Il Concert Românesc, composto nel 1951, anno della morte di Schönberg, inquietò infatti la censura comunista in un’epoca di grande tensione sociale alla vigilia della rivolta d’Ungheria e dovette attendere il 1971 per la sua prima esecuzione pubblica. Un Ligeti diverso dal solito, a tratti furiosa danza al limite tra spettacolo e realtà folkloristica, che ha visto solista il primo violino dell’Orchestra della Fondazione Petruzzelli, Paçalin Pavaci.
Ma ad aprire la serata è stata la Rapsodia sopra un tema di Paganini per pianoforte e orchestra in la minore op.43. Un’opera quasi cinematografica, eseguita con l’Orchestra del Petruzzelli dal pianista solista Benedetto Lupo, che ha reso possibile una musica "da contemplare", una sorta di montaggio di variazioni, che obbligano lo spettatore a guardare la melodia con un distacco dovuto alle continue interruzioni tra una parte e l’altra. Era questo il principio a cui negli stessi anni si ispirava il teatro epico di Brecht. (Secondo Bertolt Brecht il pubblico non dove essere spinto a pensare che ciò che vede sul palco sia la vita reale, ma gli si deve ricordare che si tratta sempre di un'opera d'arte e quindi mera finzione.).
Esso <<si comporta nei confronti della trama come il maestro di ballo nei confronti dell’allieva: la prima cosa da fare è snodarle le articolazioni fino al limite estremo>> scriveva a proposito Walter Benjamin, poiché <<la tensione non è tanto legata all’esito quanto alle vicende>>. Allo stesso modo, il concerto di Rachmaninov impressiona il pubblico non attraverso la catarsi, che vede la conclusione epica dell’opera, ma attraverso l’interruzione che lo riporta sempre ad una dimensione terrena e critica simile ad un montaggio cinematografico già notabile sulla carta dall’architettura della rapsodia, con ventiquattro brevi variazioni, che non danno il tempo all’ascoltatore, a causa della loro fugacità, di immedesimarsi a pieno.
A conclusione della serata, la Sinfonia n.4 in mi minore op. 98 di Brahms e un bis frizzante e vivace con la Danza Ungherese n. 5 dello stesso compositore, eseguita in un mondo teatrale e molto piacevole. Il tutto diretto da uno splendido Boris Brott, direttore d’orchestra canadese tra i più celebri al mondo.
Roberta Lamaddalena
In foto il compositore canadese Boris Brott. Immagine tratta dal sito http://alexromanelli.blogspot.com/2010_10_01_archive.html