"Blue Jasmine" di Woody Allen, depressione da Tiffany
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BLUE JASMINE DI WOODY ALLEN, LA RECENSIONE. La Blanchett diventa l’epicentro d'un terremoto di nervi a San Francisco, con una condensazione drammatica che era mancata ad altri film di Allen, più inclini ai palliativi. Ma resta, di Woody, un’irresistibile ironia anche nei momenti più clamorosamente disperati.
Blue moon, una canzone per sempre: Jasmine (Cate Blanchett) la ricorderà in eterno, fece da colonna sonora all’incontro col marito Hal (Alec Baldwin), presunto genio della finanza, che “cambia nome a quella società”, “liquida quell’altra”, è arrivato a permettersi una super-villa con piscina ed una collezione d’auto d’epoca. Ma l’honeymoon, la luna di miele, per quanto duratura, ha un termine: Hal è un magheggiatore, più che un mago, e quando i nodi vengono al pettine, la carrozza dorata si trasforma in zucca, la colazione da Tiffany diventa un’indigestione, ma soprattutto da Park Avenue Jasmine piomba a San Francisco, dalla sorellastra Ginger (Sally Hawkins), inserviente di supermercato, quella “coi geni sbagliati”, che si sceglie mezzi trogloditi, come l’impomatato Chili dalla canotta bisunta (Bobby Cannavale). Sull’orlo di una crisi di nervi, Jasmine proverà a rimettere insieme i cocci della propria esistenza – e magari i pezzi d’un set di valigie Louis Vitton. Dura passare dai Martini per aperitivo ai Martini per antidepressivo. [MORE]
BLANCHE AND BLUE - “Woody è sempre Woody” è una frase che si ripete da tempo, ma più per l’amichevole prolificità, per cui quasi ogni anno ci si ritrova con qualche gradevole tragicommedia romantica in jazz, che per vero entusiasmo rispetto ad una filmografia spesso di buon livello, ma a cui pare mancare – lo ammette lo stesso Allen – il capolavoro. Blue Jasmine non s’iscriverà, forse, all’albo degli imprescindibili, ma è perlomeno una zampata matura, un ace che va a segno con ben altra schiantante capacità d’urto rispetto alla parabola della produzione recente, da Match Point in avanti, pur assestata con buon polso. Serviva probabilmente far spostare la bilancia dalla commedia al dramma, dal cinema come terapia al cinema come malattia, dalla piccola psicanalisi privata al gigantismo d’un personaggio dal tormento credibile. Si capisce, allora, che Blue Jasmine fida soprattutto sulla propria attrice protagonista: una Blanchett versione Blanche, con più di un’assonanza con la protagonista di Un tram chiamato desiderio, nel triangolo di nervi tra l’alcolizzata in visone, la sorella buona e un po’ succube ed il ragazzaccio birraiolo.
Tutta tic post-trauma, soliloqui ed occhi lucidi, l’attrice attraversa disinvoltamente le sfumature d’una nevrosi abilmente diagnosticata, tra flashback d’anamnesi, velenose recriminazioni sul passato e dejà-vu con qualche fantasma, in modo che Jasmine non appaia solo vittima d'un rovescio d'esistenza, ma anche in parte responsabile del proprio destino. “Si è sempre girata di spalle”, dice la sorella Ginger: quando il denaro spuntava come cavoli, nonostante la puzza d’illegalità la vista era offuscata dagli occhiali scuri sulla sdraio in piscina. Per non parlare, poi, della snobistica incontentabilità, per cui lavori e pretendenti non sono all’altezza della vita precedente, e l’unico appiglio resta un ambasciatore viennese, un principe con la villa al mare: col corollario che tutto il resto del mondo, sorella compresa, si relega naturalmente al rango di “suddito plebeo”. Un lusso di troppo, per nobili decaduti - e abbandonati.
CONFESSIONI DI UNA MASCHERA - Le assonanze, però, non sono somiglianze strette. E, ancora, Woody è sempre Woody: Bobby Cannavale dà a Chili qualche fattezza in versione latina di Stanley Kowalsky\Marlon Brando ma di là della rozzezza è un innocuo romantico, che versa pure la lacrimuccia se a Ginger passa per la testa di assecondare bollori con qualcun altro. Il mondo attorno a Jasmine è ancora alleniano, è un basta che funzioni, con la solita girandola di comprimari che superano più o meno bene certe crisi (il figlio di Jasmine).
La Blanchett diventa l’epicentro del terremoto di nervi a San Francisco, con una condensazione drammatica che era mancata ad altri film di Allen, più inclini ai palliativi. Ma resta, di Woody, un’irresistibile ironia anche nei momenti più clamorosamente disperati, brani di scrittura cinematografica di ficcante autorialità, di destabilizzante frustrazione emotiva: Jasmine che fa da baby-sitter a due nipotastri, raccontando crudamente il senso della propria crisi, mentre i due frugoletti la incalzano spifferandole le critiche della madre; le avance del dentista, da mio dio come sono caduta in basso, in cui vien da pensare alternativamente che lui è troppo mollicone (bravissimo Michael Stuhlbarg nello spezzone riservatogli) e che lei è distinta\distante; l’antipatia per le bugie patologiche che sanno di gatta morta, di maschera incapace di struccarsi, e l’empatia per quegli sfoghi solitari, come nel prologo già desolato, già graffiante, in cui Jasmine assorda di confessioni una vecchietta (Joy Carlin), entrambe appena sbarcate a San Francisco, mentre aspetta i bagagli di pregio con l’anziana che cerca di darsi alla macchia.
In Blue Jasmine, Woody Allen ha ridistribuito la mappa emotiva del proprio stile, mentre Cate Blanchett si è fatta carico d’essere un forziere sentimentale, una fortissima debole, destinata darwinianamente ad essere spazzata via per mancata evoluzione, anzi, mancata involuzione: dis-adattata, destinata ad una panchina, all’ennesimo, imperdibile soliloquio.
USCITA CINEMA: 05/12/2013
GENERE: Commedia
REGIA: Woody Allen
SCENEGGIATURA: Woody Allen
ATTORI: Cate Blanchett, Alec Baldwin, Peter Sarsgaard, Alden Ehrenreich, Michael Stuhlbarg, Bobby Cannavale, Louis C.K., Sally Hawkins, Max Casella, Charlie Tahan, Steven Wiig, Andrew Dice Clay, Tammy Blanchard, Vanessa Ross, Tom Kemp, Catherine MacNeal, Glenn Fleshler
tiFOTOGRAFIA: Javier Aguirresarobe
PRODUZIONE: Perdido Productions
DISTRIBUZIONE: Warner Bros.
PAESE: USA 2013
DURATA: 98 Min
FORMATO: Colore
Antonio Maiorino
Critico cinematografico e d'arte - on Twitter
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