Bigas Luna, un omaggio: "Prosciutto, prosciutto", la recensione - 2° TEMPO
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Prosciutto, prosciutto di Bigas Luna - la recensione. (qui la prima parte) È proprio questa tensione dei sensi a fare da tramite tra pellicola materica e pellicola erotica. Il trait d’union è questa onnipresenza dell’animalesco, per cui tanto i padroni quanto gli operai, tanto i ricconi quanto i proletari, tanto le gran dame – la madre puta – che le mamme bariste – la puta madre – sono agitati da impulsi viscerali, anziché dall’etica e del buonsenso, col rischio di autodistruggersi per troppa voglia di vivere. [MORE]Forse memore del fatto che la Spagna è la patria del caravaggesco Jusepe de Ribera, animalesco in pittura per eccellenza, Bigas Luna dissemina ovunque il suo bestiario: Javier Bardem\Raul gonfia i bicipiti sullo sfondo di una parete di prosciutti; il close up sulle labbra della madre spogliarellista è montato in alternanza con il becco di un pappagallo; in casa di Penélope Cruz\Silvia c’è un quadro con dei cani, e la stessa ragazza viene definita “jamona” da Raul (è un gioco di parole, perché “jamon” vuol dire prosciutto, ma si usa in spagnolo anche in relazione a belle ragazze, tipo “manza”); Raul e Conchita (Stefania Sandrelli) fanno sesso in un motel tappezzato da una sorta di pelliccia chiazzata che ricorda il manto di una mucca; né last, né least, è sotto l’enorme effigie pubblicitaria di un toro che Josè Luis cerca di possedere Silvia.
Eppure, in tanta materia e tanta carnalità, un sottofondo drammatico, senza mélo, esiste. Da un lato, le donne sono combattute tra il cedere al potere del sesso maschile e la tentazione di prendere il comando, evirando l’uomo; dall’altro gli uomini soffrono il contrasto tra bestialità degli istinti e necessità di fare da rispettabili patriarchi. Una sottigliezza non da poco, perché Bigas Luna la introduce sotto forma di un tono surreale, a tratti persino onirico. Sul versante femminile, Silvia fa un sogno in cui taglia un corno di toro, evidente rimando all’amputazione del fallo e della mascolinità; Conchita chiede a Raul di strappargli la collana di perle, simbolo di quella gabbia sociale, borghese, che la inchioderebbe a fare da brava moglie e non cedere al desiderio (sarà invece il marito, biasimandola, a strappargliela, nel finale); ancora Silvia, corre sotto la pioggia coprendosi con l’enorme testicolo del toro pubblicitario, come a dire che quella mascolinità è in qualche modo protettiva. Sulla sponda maschile, è lo stesso Josè Luis a strappare il testicolo del toro, come auto-evirandosi, rinunciando al desiderio per la ragazza; è lui a voler sposare Silvia, da bravo borghese, ma nel frattempo a non riuscire a moderare i propri istinti con la futura suocera; è lui a lottare contro Raul con dei prosciutti a mo’ di clave, come due cavernicoli, privi della ragione perché ridotti alla primordialità del proprio istinto. E a sua volta, Raul lotta contro il toro, nudo: una corrida per dominare se stesso, in realtà, che finisce con la ricerca di rifugio presso Silvia. Anche quando passa dal toro alla motocicletta, regalatale da Conchita, il fisicissimo Bardem è un feticcio sessuale: è ancora il selvaggio, ma alla Marlon Brando. Spagnolo nell'anima, Bigas Luna sembra non ignorare nè certe paranoie genitali di Dalì, nè il totem ricorrente del toro picassiano.
Prosciutto, prosciutto è dunque un film densissimo, in cui tutto si tiene: un finto machismo ed una velleità femminista di castrazione, che rivelano da una parte e dall’altra nient’altro che una fondamentale fragilità (l’ossessione per i maschi nel leccare i seni, come ritornando piccoli; il continuo con-cedersi delle donne, come a cercare la protezione dell’uomo forte); un animalismo senza sentimenti, che è in realtà un sentimentalismo – ben venga il melodramma, appunto! – che si esaspera proprio per ritrovare un fondo umano in tanta bestialità. È un coito così colto, che Bigas Luna sa perfettamente quando interromperlo: le battute finali sono organizzate dal punto di vista visivo a mo’ di tableaux vivant di una pietà, con la madre che piange il corpo del figlio – agnello sacrificale di tanta dis-umanità – ma soprattutto con l’accorrere della Maddalena di turno, la puttana redenta. È la madre di Silvia (Anna Galiena), infatti, a costituire l’emblema di un percorso di “civiltà ritrovata”, non più borghese – ossia insanamente repressa – ma genuina: quando Josè Luis le chiede di fare l’amore per la seconda volta, prima di sfidare Raul, lei non cede al desiderio nei confronti del genero. Ora è ex-puttana in tutti i sensi, è una brava madre che può fare davvero da esempio alla figlia. Significativo che la sequenza suddetta in cui viene tentata da Josè Luis si apra con il close-up di un barbecue: “dov’è Carmen?”, chiede il ragazzo, “sta mangiando fuori, come i cannibali”, le risponde la donna al bancone. Ma in realtà, il fatto stesso che il cibo venga cotto, che l’animale venga riportato al rango culinario della civilizzazione, fa capire come Carmen sia l’unica ad aver superato la propria bestialità istintuale: impossibile non pensare a Il crudo ed il cotto di Lévi-Strauss.
A molti, dunque, Prosciutto Prosciutto sarà apparso nient’altro che un film di donne che fanno conoscenza con uomini in senso biblico. In realtà si tratta di una riscoperta, biblica davvero, della fondamentale pietà umana: una storia di passione che diventa di Passione. Una pietanza cotta porta alla redenzione: non ci sembra casuale che il film titoli, a livello internazionale, A tale of ham and passion. Hai un Sansone dentro è inoltre il motto della compagnia che produce mutande, gabbie genitali per controllare l’uomo-animale (ad un certo punto, la compagnia medita di produrre una linea di mutande per cani…); ma Sansone è proprio un evirato, un uomo che perde la propria forza perché una donna, Dalila, gli fa tagliare i capelli. E come Sansone aveva lottato con una mascella d’asino, adesso i due machi lottano con dei prosciutti. La forza del sesso maschile, dunque, porta all’accecamento e alla distruzione: la Carmen\Maddalena è il primo germoglio di una nuova umanità, in cui la donna non è né castratrice, né puttana, ma fertile madre. Il ritmo naturale sembra così ristabilito, nello splendido tramonto finale, che rischiara il campo da guerra con le rovine della lotta e gli astanti immobili.
Prosciutto prosciutto (A tale di Bigas Luna riesce a compenetrare miracolosamente la dimensione cinematografica della pellicola fatta pelle, pulsante di sensazioni, odori, fremiti; con quella simbolica e surrealista, disseminata di parallelismi interni, evocazioni, sottotesti. Tanto meglio, poi, se questo cinema così denso, ma anche così epidermico, sia fruibile innanzitutto nella dimensione d’immediatezza del melodramma: ogni film, prima di tutto, è una storia. Anche tra genitali e prosciutti ci sono neuroni e cuori.
Clicca qui per la prima parte della recensione
Antonio Maiorino
Critico d'arte e di cinema
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"Jamon jamon " - official film trailer - 1992.