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ROMA, 19 MAGGIO – Si è aperta stamane, alle 10.30 all'Hotel Ergife di Roma, l'assemblea del Pd.
All’ordine del giorno ci sono le le dimissioni del segretario uscente del partito, Matteo Renzi e i relativi adempimenti conseguenti, con il rischio concreto di una drammatica conta tra i renziani e il resto del partito, sullo sfondo di una nuova paventata scissione.[MORE]
Il PD è attualmente diviso in due campi principali. Quello maggioritario, formato dai sostenitori dell’ex segretario Matteo Renzi, che nonostante la sconfitta del 4 marzo continua a esercitare una forte influenza sul partito, e quello minoritario dei suoi rivali, formato sia da alcuni dei suoi ex alleati, come l’attuale segretario Maurizio Martina e il ministro della Cultura Dario Franceschini, sia dalla minoranza interna che gli si oppone sin dal congresso del 2017 e i cui leader sono il ministro della Giustizia Andrea Orlando e il presidente della Puglia Michele Emiliano.
I “renziani” al momento chiedono che l’assemblea nazionale sciolga tutti gli organi del partito e che dia il via al congresso. Se passasse la loro linea, le primarie si svolgerebbero probabilmente all’inizio dell’autunno e a ottobre ci sarebbe il nuovo segretario. A sostenere apertamente questa posizione è il vicepresidente della camera Rosati, che ha detto: “ Le strade sono 2: o si fa subito il congresso o si vota il segretario che completa il suo mandato. Il congresso è la strada più naturale”.
Se si sceglierà di eleggere un nuovo segretario, l’ala renziana intende comunque proporre un proprio candidato: si tratterebbe di Lorenzo Guerini, ex vicesegretario.
Questo scenario, in cui le due principali fazioni del PD arrivano allo scontro diretto, è quello che su giornali spesso viene definito “andare alla conta” e che molti considerano la situazione peggiore in cui potrebbe trovarsi il PD.
Finora Renzi si è dimostrato molto abile a mantenere il controllo del partito nonostante la sconfitta subita il 4 marzo. Fin dal giorno delle sue dimissioni ha imposto come principale tema di dibattito all’interno del PD la possibilità o meno di allearsi con il Movimento 5 Stelle, scegliendo di schierarsi con i contrari all’accordo, invece delle ragioni della sconfitta. Nelle settimane successive è riuscito a far avanzare la sua linea, anche se il segretario Martina e gran parte dell’opposizione interna erano favorevoli almeno a iniziare le trattative con il Movimento 5 Stelle. Renzi ha detto che non intende candidarsi per una terza volta alla segreteria del partito, ma non ha specificato quali siano le sue intenzioni per il futuro.
L’opposizione interna, invece, per il momento si è schierata quasi tutta con il segretario “reggente” Martina, che ha chiesto all’assemblea di eleggerlo formalmente segretario. Martina vorrebbe guidare il partito per un anno attraverso una fase di discussione e confronto che termini con un congresso “rifondativo”, cioè un congresso che non si limiti a nominare un nuovo segretario ma che porti anche a profondi cambiamenti nella struttura del partito. Martina desidera essere eletto segretario perché attualmente non è davvero “il segretario del PD”, nonostante sia spesso identificato con questo incarico: è solo il vicesegretario, a cui la direzione nazionale – un altro organo del PD, ma meno importante dell’assemblea – ha affidato l’incarico di gestire il partito dopo le dimissioni di Renzi. Il ruolo che sta svolgendo in questi giorni non è codificato dallo statuto e costituisce una sorta di rimedio improvvisato: questo contribuisce a rendere Martina politicamente molto debole. Per questo chiede l’assemblea lo elegga segretario con pieni poteri.
A oggi, infatti, nessuno ha chiaro chi abbia la maggioranza nell’assemblea nazionale, un organo composto da circa duemila persone elette durante il congresso del 2017. I membri dell’assemblea nazionale sono stati eletti in proporzione ai voti raccolti dai tre candidati segretario. Il 70 per cento circa, quindi, sono stati eletti con Renzi, il 20 con Orlando, il 10 con Emiliano. Nell’anno che è trascorso dalle primarie, però, molte cose sono cambiate all’interno del PD: vecchi alleati di Renzi come Franceschini e il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, per esempio, hanno cambiato posizione rendendo difficile interpretare i rapporti di forza all’interno dell’assemblea. Quello che è chiaro è che difficilmente un’eventuale “conta” produrrebbe un risultato netto e, con ogni probabilità, contribuirebbe ad inasprire lo scontro nel partito.
Fonte immagine:targatocn.it
Alessia Panariello