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Nocera Terinese, (CZ) 17 aprile 2011 - Anche quest’anno, a Nocera Tirinese continueranno a ripetersi, come del resto ormai da tempo immemorabile, gli antichi riti della Settimana Santa, che preludono a quello più singolare del Sabato Santo con la solenne Processione dell’Addolorata ed il concomitante rito di sangue dei Vattienti.[MORE]
Al visitatore che, uscito dall’autostrada Salerno-Reggio Calabria allo svincolo di Falerna, si addentra tra le ridenti colline coperte di ulivi, appare, dopo pochi chilometri, adagiata tra il verde dei boschi, Nocera Terinese, paese ricco di storia, di tradizioni e di monumenti.
All’approssimarsi della Pasqua, questa ridente cittadina, diviene meta di gente desiderosa di assistere al secolare rito dei Vattienti, penitenti che si battono a sangue alcuni il Venerdì Santo sera e altri nel corso del Sabato Santo.
Ma chi sono questi Vattienti?: “Sono uomini – dice il Prof. Ernesto Pontieri, illustre storico, due volte Rettore dell’Università di Napoli e nativo di Nocera Terinese – che adempiono il voto o praticano la devozione, una volta tramandata da padre in figlio, di flagellarsi pubblicamente, a ciò mossi dall’intento di castigare la carne, strumento del peccato, ed unirsi spiritualmente e sensibilmente a Cristo nelle sofferenze che precedettero la sua Crocifissione”.
Per una maggiore comprensione osserviamo dettagliatamente come si svolge il rito. Mentre per le strade del paese si svolge la Processione della Madonna Addolorata, opera di pregevole scuola napoletana del secolo XVI, alcune persone, che intendono battersi, si allontanano dalla processione.
Raggiunti in fretta i locali adibiti alla preparazione, si dà luogo alla vestizione. Il Vattente si avvolge il capo con un drappo nero detto “mannile”, antico copricapo usato dalle donne maritate noceresi, indossa una maglietta ed un paio di pantaloni corti neri. Il Vattente si cinge il capo con una corona di spine fatta di “sparacogna”, asparago selvatico, che cresce spontaneo nei luoghi ombrosi delle campagne noceresi. Al Vattente si aggiunge un altro personaggio, che lo accompagnerà lungo tutto il suo pellegrinaggio: l’Acciomu, ossia l’Ecce Homo che indossa un lungo drappo rosso. Porta una croce, avvolta con un panno rosso, che egli stringe tra le braccia. E’ scalzo, come il Vattente, ed il suo capo è coronato con la “spina santa” , dai rami lunghi ed aculei. Dopo aver iperemizzato o “arrosato”, come si suole dire in gergo, le cosce e i polpacci con le mani e poi con la “rosa”, un disco di sughero, il Vattente inizia a battersi con il “cardu”, altro disco di sughero su cui sono infissi tredici acuminati pezzetti di vetro, detti “lanze”. Il sangue comincia a sgorgare abbondantemente, ed il vattiente inizia la corsa che lo porterà a battersi sul sagrato delle Chiese, vicino alle edicole dei Santi, passando dalla case degli amici e degli ammalati. Quando incontra la statua della Madonna Addolorata, genuflette davanti ad essa, fa il segno della croce, si percuote e versa il suo sangue ai piedi della Vergine e termina dando un bacio alla sacra effige, in segno di devozione. Il Vattente, completato il giro, ritorna nei locali della preparazione, si deterge le ferite con un infuso di acqua e rosmarino e si unisce al corteo dei fedeli.
Questo il rito. Ma le origini? Il Prof. Ernesto Pontieri, sostiene che “probabilmente l’introduzione dei vattienti a Nocera Terinese avvenne nel corso del secolo XIV, per la presenza in tale epoca di Compagnie di Flagellanti in diversi centri dell’Italia meridionale; ma – continua l’illustre storico - può discendere anche al secolo successivo, periodo per Nocera di particolare fervore religioso, come testimoniano l’arrivo nel suo territorio degli Agostiniani e dei Minori Conventuali, che educati all’ascetica medioevale, vedevano nella violenza mortificatrice della carne una purificazione”.
Il Prof. Antonino Basile, fondatore del Museo Etnografico di Palmi e della rivista “Folklore di Calabria”, sostiene che la cerimonia che si svolge a Nocera nella Settimana Santa, risente della concezione medioevale e della partecipazione alle sofferenze di Cristo, ma le origini di essa non sono cristiane né medioevali ma rimandano ai riti propiziazione della fecondità della terra, per la morte di Attis, Adone e di altre divinità della vegetazione, destinata a rinascere e risorgere attraverso l’offerta del sangue da parte del sacerdote o del fedele.
Don Pino