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26 OTTOBRE 2015 - La società odierna ci ha ormai plagiati, ben modellati, trasformati in veri uomini obbedienti, non certo della sapiente parola evangelica, ma di una nuova visione del mondo, dove arrivare al secondo posto significa a volte aver fallito. Si corre, si corre, si corre e dopo un istante si continua a correre. [MORE]
Dove andremo? Si confonde ormai il progresso e la giusta dimensione scientifica dell’essere umano, volti a migliorare la qualità della vita nell’equilibrio generale, con la preoccupazione di essere sempre dinamici, con un passo avanti e in continua trasformazione. L’ansia è diventata la compagna ideale; l’elemento che ci tiene in vita; il termometro per misurare la validità delle nostre azioni. Paradossale, ma è così! Da una parte la si cura con una miriadi di ritrovati in voga, dall’altra la si giustifica con la difficoltà dell’azione da compiere. Si tratta in fondo, molti dicono, di un’ansia da prestazione, destinata a scomparire con la fine della corsa, salvo poi di riapparire sulla nuova linea di partenza.
La sconfitta, in questo processo così contorto, è oggi un simulacro che indica la fine di ogni cosa. Non si capisce, ed è pericoloso per le nuove generazioni, che perdere può significare invece diventare più forti; saper riflettere con più tensione ideale; predisporsi all’ascolto, alla meditazione e perché no, alla preghiera. In molti rifiutano questa impostazione, soprattutto se convinti che pregare non porti mai i risultati voluti, ma solo una dipendenza psicologica da un qualcosa che mai nessuno potrà verificare. Spesso anche il credente è pronto ad “inveire” contro il Signore, in presenza di battaglie perdute o violenti accadimenti nella sua famiglia o nella comunità in cui vive. Ma anche se c’è una guerra; se muoiono persone indifese e innocenti. Si vuole sempre cercare un responsabile, lontano dagli errori degli uomini. Non si capisce che il vissuto storico di un singolo o di un gruppo sociale determina gli effetti di ogni cosa che ruota attorno ad una qualsiasi collettività.
Nessuna preghiera sarà ascoltata, se priva di uno stile di vita che nella Parola sappia trovare le fondamenta solide e necessarie per la costruzione di un mondo migliore. Necessita perciò partire dalla verità di ognuno, avendo l’umiltà di camminare dietro a chi sapremo riconoscere come nostro maestro di vita, senza più convivere con il pur gettonato totem dell’ansia e l’abituale terrore dell’ultimo posto. Le ansie e le paure della sconfitta prendono il sopravvento quando si cade in tentazione, volendo diventare a tutti i costi ed in ogni situazione i primi della classe, magari facendoci maestri di chi ci dovrebbe guidare. Nella vita non si cammina né davanti, né ai lati, ma solo dietro alla fonte sapienziale individuata. Nel vangelo vi sono esempi molto chiari e attuali.
Pietro cade in tentazione perché vuole farsi Maestro di Gesù. Vuole porsi avanti. Gesù lo respinge, chiamandolo Satana. Giacomo e Giovanni vogliono vivere accanto, ai fianchi di Gesù. Anche loro non sanno quello che chiedono. Si sono dimenticati che essi sono discepoli, non ministri. Loro devono camminare sempre dietro Gesù Signore. Venire dopo qui significa fortificarsi, per poi essere in grado di guidare altri verso la conquista della propria verità, senza ansie e conflitti interiori e senza il terrore di perdere una battaglia o comunque di rimanere ai margini del contesto in cui si opera. La fede è l’unico strumento da utilizzare per riuscire a contestualizzare il messaggio evangelico nel tempo in cui si è chiamati a svolgere delle funzioni personali e sociali. L’ultimo posto in questa direzione non è altro che la pietra d’angolo da cui far partire un solido sereno futuro.
Egidio Chiarella
www.egidiochiarella.it
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