Entra nel nostro Canale Telegram!
Ricevi tutte le notizie in tempo reale direttamente sul tuo smartphone!
ROMA, 03 DIC - La campagna di guerra contro il “nemico invisibile”, il Covid-19, sembra essere ormai in dirittura d’arrivo. Ormai contiamo i giorni e le ore che ci separano dall’arrivo ufficiale dell’arma letale (per il Covid, ovviamente!) che dovrebbe metterci al riparo da ogni ulteriore suo attacco o colpo di coda. Nel frattempo, come in uno scenario di guerra, facciamo i conti con i danni causati: migliaia di persone decedute, strutture sanitarie allo stremo e divenute nel frattempo insufficienti, regioni e città alle prese con ristrettezze e misure paragonabili ad un vero coprifuoco, fatica immane per trovare un vaccino che sia idoneo a neutralizzarlo in via definitiva. In questo clima di pandemia mondiale, sono state tante le testimonianze di persone affette dal virus che hanno voluto raccontare la loro spiacevole esperienza al fine di mettere in guardia l’intera umanità. Tra queste, oggi raccontiamo quella molto toccante pubblicata sul proprio profilo Facebok da Annarita Gullaci.
“Sento il dovere e la necessità di raccontare quanto vissuto nelle scorse settimane.
Mi chiamo Anna Rita Gullaci, ho 32 anni. Conduco uno stile di vita sano e pratico sport regolarmente.
Queste foto testimoniano come “l’esserino” non ha pietà per nessuno. S’insinua dove meno te l’aspetti e ti colpisce quando meno te l’immagini. Ho rispettato scrupolosamente tutte le norme e questo ha permesso che non contagiassi nessuno. Il giorno precedente al mio primo tampone positivo mi sono allenata al parco con il Personal Trainer, ho accompagnato un’amica a casa con la macchina, ho lavorato in una classe con venti bambini e incontrato i rispettivi genitori. Nonostante la mia carica virale fosse alta, tutti i miei contatti sono risultati negativi. Questo dimostra che rispettando meticolosamente le regole non avviene il contagio.
La mia prudenza e le mie attenzioni verso il prossimo non sono bastate a proteggermi.
Isolamento: 26 giorni, 26 notti, 624 ore su un letto, su una sedia, su una barella, su un’ambulanza. Che cosa succede? Piedi. Gambe. Bacino. Pancia. Petto. Schiena. Braccia. Occhi. Respiro. Non vi riconosco più. Tic-tac-Tic-Tac-Tic-Tac Le lancette dell’orologio segnano il mio nuovo tempo, in uno spazio circoscritto da quattro mura rosa, una porta marrone e una finestra bianca che affaccia su una strada semi-alberata. Non mi muovo. Improvvisamente le mie forze si consumano come brace. Dove sei coraggio? Dove sei lucidità? vi invoco, ho paura, tremo. Sono sola. Zia Laura infila le immagini dei Santi sotto la fessura della porta, “preghiamo insieme?” Prego con le pupille degli occhi, “Devi mangiare!” Lascia il cibo su un vassoio rosso dietro la porta marrone. Ogni volta si allontana mascherata sulla punta dei piedi. Prega ogni giorno per me, la sento con le mie orecchie. Io invece prego per lei. Ho paura di farle del male, vorrei proteggerla.
Non sento i sapori. Niente. Tu sai che cos’è la mancanza di sapore? Io ora lo so. Niente. Ho provato anche ad odorarmi le mutandine, non sanno di niente. Neanche gli odori sento più. Ora so per davvero cosa vuol dire la parola “niente”. Mi cola il naso, mi fanno male gli occhi. Possono far male gli occhi? Si. Devi scegliere! Le palpebre: le tieni aperte o chiuse? il movimento provoca bruciore e dolore. E’ come se ti crescessero le spine di una rosa bianca dentro gli occhi. Tutto bene? Sono tappata, gonfia, le guance in fiamme. Vado in apnea, non c’è aria. Dov’è l’aria? Ho caldo, ho le vampate in tutto il corpo. Mi strappo il pigiama di dosso. Formicolio alle mani, ai piedi. Ti cerco,
Non ti trovo, dove sei ossigeno? Non riesco ad arrivare alla finestra, “Stanno arrivando, siediti! non stare in piedi respira profondamente” Il dottor Loris e la dottoressa Leandra mi assistono costantemente mediante un telefono cellulare. Il saturimetro nel dito, il numero 77 lampeggia, è di colore rosso. Sola. Sirene. Tic-Tac-Tic-Tac-Tic-Tac, le lancette dell’orologio segnano il mio nuovo tempo. Corpi mascherati. Pronto soccorso. Calma. Ossigeno. Siamo in tanti, troppi. Non ci sono abbastanza posti letto. Stai piangendo! Perché piangi? Tu non piangi mai. Perché piangi? Silenzio. Una dottoressa mi coccola come se fossi sua figlia. I miei occhi mi svelano quello che non vedono in Tv. Corpi malati ovunque: sul pavimento, sulle barelle, sulle sedie: Ma che posto è questo? I lamenti rimbombano ora e sempre nelle mie orecchie. Non c’è spazio qui. Dormo in ambulanza con due angeli bardati. Dietro le loro armature occhi stanchi, sfatti, nervosi e tristi. Pronti ad intervenire. Dottori? Macchine ad alta cilindrata in corsa, senza sosta.
Tutto apposto torno a casa. “Ti abbasso il finestrino, oggi c’è il sole”. Scorgo il sorriso della vittoria dietro il corpo mascherato dell’infermiere che mi riaccompagna a casa in ambulanza. Ma sta facendo il giro più lungo? Gli voglio bene, anche se non lo conosco. Il sole si stampa sulla mia pelle. Sono felice. Mia zia per festeggiare prepara una crostata di arance e poggia un pezzettino sul vassoio rosso dietro la porta marrone. “Grazie Madonnina mia”. Accende una candela per lei. Sto meglio. Sto bene. Il mio respiro profuma di buono, ora. Sono tornata bambina senza saperlo. Sono diventata madre di me stessa senza saperlo. Mi ritengo fortunata. A differenza di altri, ho vinto questa battaglia senza subirne le più gravi conseguenze.
Ho vinto questa battaglia grazie ai dottori, agli infermieri, ai volontari, alla mia psicologa, alla mia famiglia, ai miei zii, alle mie zie, ai miei cugini e ai miei amici. Nei momenti di cedimento, di paura, di dolore e di rabbia ero da sola, ma immaginavo di averli tutti accanto a me, come una grande famiglia. Immaginavo i sorrisi, gli abbracci e le carezze di ognuno di loro. Ho ricevuto “a distanza” un’amore incondizionato che non scorderò mai. Mi sento in dovere di ringraziarli tutti, ad uno ad uno, dal profondo del mio cuore.
Mi sento in dovere di dire che per vincere questo maledetto nemico dobbiamo “scendere in campo” armati di una grande dose di responsabilità. Mettiamoci una mano sulla coscienza, bagniamoci di umanità e uniamoci in questa difficile missione. Il comportamento dei singoli è fondamentale per aiutare medici ed infermieri a svolgere il loro lavoro per tutelare la salute dei nostri cari e per limitare il contagio di tutta la comunità.
Per vincere dobbiamo guardare tutti insieme nella stessa direzione: Indossiamo la mascherina; evitiamo i contatti troppo ravvicinati; evitiamo i luoghi affollati; disinfettiamo spesso le mani; incrementiamo il livello di igiene delle nostre case; non tocchiamoci la faccia; tossiamo e starnutiamo nell’incavo del gomito; non ci abbracciamo (lo so…lo so, è da folli. Ma pensiamo che è solo PROVVISORIAMENTE)
Misure inedite per la storia del nostro paese e per la nostra generazione. Misure che nessuno di noi avrebbe mai immaginato di dover prendere. Misure che ognuno di noi detesta e non vorrebbe accettare, ma che dobbiamo ASSOLUTAMENTE mettere in atto per proteggere la nostra comunità dall’ “esserino” invisibile. Non mandiamo a rotoli il lavoro di tutte quelle persone che si stanno impegnando a trovare una soluzione per l’intera comunità. Non spariamo CAZZATE: il virus esiste. La gente muore e non torna più indietro. I bambini hanno bisogno di giocare. I giovani hanno bisogno di scoprire. I grandi hanno bisogno di imparare. Gli anziani hanno bisogno di vivere. Stringiamoci in un patto di rinnovata alleanza. Ognuno di noi deve fare la propria parte per i propri cari, per sè, per tutti. Proteggiamo e proteggiamoci! Solo così potremo tornare ad abbracciarci e a raggiungere la piena libertà. Grazie a Loris e a Leandra. Un uomo e una donna prima di essere un dottore e una dottoressa. Mi avete protetta con la vostra umanità e professionalità. Grazie a voi mi sono sentita al sicuro. Grazie a tutta la mia famiglia che a 600 km di distanza ha seminato nelle mie quattro mura forza, coraggio e lucidità.
Pasquale Rosaci