Agropirateria e "Italian sounding", due dei "cancri" del Made in Italy
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MILANO, 01 FEBBRAIO 2012- In base a quanto stimato da Coldiretti, a livello nazionale, la contraffazione dei prodotti agroalimentari provoca un danno al "Made in Italy" pari a circa 164 milioni di euro al giorno. Come ha sottolineto la Cia, Confederazione Italiana Agricoltori, l’agropirateria internazionale, genera un giro di affari illegale di 60 miliardi di euro l’anno, una cifra pari a quasi due volte e mezzo il valore complessivo dell’export agroalimentare italiano che, nel 2010, si è attestato a 25 miliardi di euro. Un'attività parallela che sottrae trecento mila nuovi posti di lavoro e taglia di due terzi l'export.
Il made in Italy, da tempo, rappresenta il simbolo del modello di industria all'italiana. Grazie a ciò, il nostro paese è riuscito a mantenere una posizione di rilievo sul fronte degli scambi internazionali. Negli ultimi tempi, però, sembra che il made in Italy stia facendo sempre più fatica ad allinearsi alla nuova e tenace concorrenza. A complicare la situazione italiana: l'alto debito pubblico, la disoccupazione ( pari all'8,9% a dicembre 2011, mentre il tasso di disoccupazione giovanile si assesta al 31%), l'alta tassazione, le preoccupanti carenze di infrastrutture, la bassa spesa in ricerca, importanti settori industriali come la chimica, l’elettronica, la farmaceutica, in mano estera. [MORE]
Ecco perché occorre fare qualcosa di più per tutelare il made in Italy agroalimentare che, come sottolinea la Cia, "è un settore economicamente strategico oltre a rappresentare un patrimonio culturale e culinario che è l’immagine stessa dell’Italia fuori dai confini nazionali. Adesso servono misure ad hoc come l’istituzione di una task-force in ambito Ue per contrastare truffe e falsificazioni alimentari; sanzioni più severe contro chiunque imiti prodotti a denominazione d’origine; un’azione più decisa da parte dell’Europa nel negoziato Wto per un’effettiva difesa delle certificazioni Ue; interventi finanziari, sia a livello nazionale che comunitario, per l’assistenza legale a chi promuove cause (in particolare ai consorzi di tutela) contro chi falsifica prodotti alimentari".
Per arginare alcune delle suddette problematiche, nel 2009 è stata emanata una legge: Il D.L. 135 del 25 settembre 2009, convertito dalla legge 166/2009, contenente l'art.16 dal titolo "Made in Italy e prodotti interamente italiani". La suddetta normativa si propone di garantire controlli più mirati da parte delle autorità competenti nella lotta alla contraffazione. A tal proposito, fondamentale è la “tracciabilità di filiera”, ossia la capacità di ricostruire la storia di un prodotto. Quest’ultima dovrebbe consentire di distinguere i prodotti “made in Italy”, da quelli che non lo sono.
A ciò si deve aggiungere anche un altro fenomeno che, soprattutto nel settore agroalimentare, sta sfortunatamente conquistando sempre più terreno: "L'Italian Sounding", ovverosia che “suona italiano”. Tale effetto è ottenuto attraverso l’uso di parole italiane, immagini, packaging che emulano alla perfezione i prodotti italiani. Infiniti e fantasiosi sono i “cloni” del prodotto italiano di qualità: Parmezan e Mozzarella Napolact prodotti in Romania, il Parmi olandese, la Fontina svedese, la PastaMilaneza portoghese, il Lasandwich inglese, il formaggio Reggianito ed i sughi sudamericani DaVinci e CocoPazzo, i pelati SanMarzano argentini, il ParmaHam ed il Romano Cheese nordamericani, il Cambozola – imitato Gorgonzola tedesco – o ancora il californiano Barbera Cà di Solo.
Attenzione, qui non si parla di “contraffazione “, ma di imitazioni, delle nostre eccellenze. La differenza è sostanziale, visto che nel primo caso si tratta di un reato perseguibile penalmente, legato all'etichettatura erronea, o falsata di prodotti che non hanno diritto al marchio ma che vengono comunque etichettate Made in Italy, impossessandosi indebitamente di quel valore aggiunto proprio della filiera italiana. L’imitazione invece è una copia low-cost dei prodotti nostrani, per i quali è specificata la provenienza d’origine diversa da quella italiana. Forse qualcosa di più subdolo della stessa contraffazione.
Come evidenzia sempre la Cia, "In Italia ci sono oltre il 22% dei prodotti certificati registrati complessivamente a livello europeo. A questi vanno aggiunti gli oltre 400 vini Doc, Docg e Igt e gli oltre 4.000 prodotti tradizionali censiti dalle Regioni e inseriti nell’Albo nazionale. Una lunghissima lista di prodotti che ogni giorno, però, rischia il "taroccamento". Si stima che solo all’agricoltura, per esempio, il fenomeno della contraffazione, determina un danno di oltre 3 miliardi di euro l’anno, colpendo l’intera filiera alimentare, dai campi all’industria di trasformazione.
Oltre all’italian sounding, bisogna tenere presente il falso vero e proprio del made in Italy, che vale 7 miliardi di euro l’anno, due terzi dei quali vengono sottratti al solo settore agroalimentare. In pratica, "Siamo di fronte ad un immenso supermarket del “‘bidone alimentare”, dove a pagare è solo il nostro Paese", aggiunge amaramente la Cia. Come si può immaginare, tutto ciò ha inferto un durissimo colpo alla nostra economia. Infatti, oltre al fatturato sottratto alle aziende, si devono stimare anche i danni provocati ai lavoratori, alla competitività, alla redditività degl’investimenti in ricerca, innovazione e marketing. Sta di fatto che, molte delle cose che il Belpaese produceva bene, adesso altri le realizzano meglio e a più basso costo. Il made in Italy non è sufficiente da solo a sostenere l’economia di un intera nazione. Ecco perché diventa prioritaria la ricerca di una soluzione.
A tal proposito, il ministro delle Politiche Agricole, Mario Catania, ha accennato ad un "ddl a tutto tondo per la tutela del Made in Italy: uno strumento per affrontare questioni che passano anche dalle modifiche della normativa in materia penale, o come nel caso di Simest per gli investimenti all'estero e altri temi". Per Catania "è necessario trovare strumenti nuovi per la lotta alla contraffazione. Quello che abbiamo fatto fino ad ora è importante, ma non è sufficiente. La relazione della Commissione Parlamentare contiene indicazioni utili. Ci sono problematiche che possono essere affrontate solo con normative nazionali, ma altre cose devono passare necessariamente attraverso un accordo internazionale in sede comunitaria o in sede di Wto per quanto riguarda il mercato mondiale".
Siamo, quindi, in una fase di riorganizzazione. Se si vuole salvare il made in Italy dalla concorrenza dei paesi emergenti bisogna diventare gli specialisti dell’innovazione. Ciò deve essere perseguito, in modo particolare, in quei settori e specializzazioni produttive, dove il nostro Paese eccelle. Queste nicchie produttive sono quelle che gli economisti definiscono le “Quattro A del made in Italy”, cioè Abbigliamento-moda, Arredo-casa, Alimentari-vini e Automazione-meccanica. Settori che, fino ad ora, hanno sostenuto la bilancia commerciale italiana. Se l’Italia non imparerà, ancora di più, a valorizzare e ad ottimizzare i beni a disposizione, cercando di fare sistema per sviluppare sinergie fra i vari settori e prodotti, favorendo la ricerca e l’innovazione, difficilmente riuscirà a tenere il passo nei confronti, non solo dei suoi competitor storici, ma anche nei confronti delle economie emergenti.
(Fotoimmagine: conipiediperterra.com)
Rosy Merola