Agricoltura 2.0: Il Workshop del Gal "Serre Calabresi" a Borgia. I dettagli
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Gal “Serre Calabresi”: dai mestieri dell’agricoltura del passato all’approccio multifuzionale e sostenibile dei nostri giorni, per creare opportunità di lavoro e sviluppo. Tematica affrontata in un workshop a Borgia
Di ritorno dei giovani all’agricoltura, di multifunzionalità, di politiche agricole sostenibili, di buone prassi, di misure volte a frenare lo spopolamento delle aree rurali si è parlato nel corso del workshop “I mestieri dell’agricoltura 2.0 – Il futuro ha radici antiche”, tenutosi a Borgia.
Un’iniziativa, seconda tappa di un ciclo di incontri organizzati dal Gal “Serre Calabresi”, nell’ambito del Psr Calabria 2014/2020, misura 1.1.1 relativa al sostegno alla formazione professionale.
In apertura dei lavori della sessione mattutina, il sindaco di Borgia, Elisabeth Sacco, ha evidenziato il ruolo importante del Gal a sostegno di enti pubblici e di soggetti privati e in particolare quanto fondamentale si riveli il sostegno ai tanti giovani che ritornano alla terra e vogliono investire in agricoltura, anche in ragione dei cambiamenti climatici e della necessità di puntare sull’innovazione per fronteggiarne le conseguenze.
Da Carolina Scicchitano, responsabile amministrativo del Gal “Serre Calabresi”, focus sul ruolo del Gal quale ente formativo, accreditato nel 2016 e operativo come tale dal 2018. Quasi 205 mila euro sono stati investiti sinora in questa misura che ha lasciato molto sul territorio, aprendo nuovi orizzonti occupazionali. Quale funzione primaria il Gal continua, inoltre, a dare sostegno alle aziende. In venticinque anni di attività sono state finanziate circa 400 tra nuove imprese e nuove idee.
Nathalie Iofrida, dottore di ricerca in Economia e Politica agraria, ha tracciato un quadro dell’evoluzione dell’agricoltura negli ultimi cento anni: dalla meccanizzazione, alla rivoluzione verde con un aumento elevato di produttività, con impatti diretti ed allora imprevedibili sull’ambiente, per sopperire alla necessità di beni alimentari del secondo dopoguerra, all’agricoltura di precisione, all’agricoltura digitale.
Ha edotto come la sostenibilità ambientale dell’agricoltura rappresenti una delle principali sfide da affrontare, come il legame tra intensificazione sostenibile della produzione e innovazione rappresenti un caposaldo della Politica agricola comunitaria (Pac) post 2020. Tra le sfide da affrontare anche la riduzione delle emissioni climalteranti ed azioni di adattamento per aumentare la resilienza ai cambiamenti.
Ha edotto, ancora, riguardo le potenzialità di un’agricoltura multifunzionale che oltre ad assolvere alla propria funzione primaria, la produzione dei beni alimentari, è in grado di fornire servizi secondari, utili alla collettività: disegnare il paesaggio, proteggere l’ambiente e il territorio, conservare la biodiversità, gestire in maniera sostenibile le risorse, contribuire alla sopravvivenza socio-economica delle aree rurali. Un nuovo concetto che si sposa con l’evoluzione del rapporto tra società e agricoltura connotata da maggiore attenzione alla qualità piuttosto che alla quantità, ai prodotti tipici e all’origine geografica dei cibi, alla sicurezza alimentare, dall’aumento dei beni e servizi non food (tra questi ad esempio turismo, didattica, servizi educativi, terapeutici e produzione di energia).
Se si registra un ritorno all’agricoltura con nuovi mestieri, c’è anche una legislazione fiscale di favore che si è andata evolvendo. Una normativa fiscale che favorisce ora anche i prodotti “connessi” all’attività agricola. Argomento che è stato affrontato da Massimo Rotiroti, dottore in Economia e Commercio. Partendo dalla definizione di imprenditore agricolo, vale a dire «chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse», evidenziando come «le attività connesse costituiscano spesso una parte importante di un’attività agricola. Ci si riferisce alle attività portate avanti dallo stesso imprenditore agricolo che rientrano nelle categorie di: manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti del terreno o derivati dall’allevamento di bestiame. Le liste di attività ammesse in questa categoria sono state recentemente aggiornate».
Giovanna Fusto, imprenditrice del settore oleario e vicepresidente per la Calabria dell’Associazione “Donne in Campo”, la quale ha frequentato il corso per l’etichettatura dell’olio organizzato dal Gal, ha espresso il proprio plauso per la qualità della formazione, ha sottolineato come la Calabria abbia la fortuna di possedere un settore agroalimentare molto diversificato e come le occasioni utili per valorizzarlo vadano colte al balzo.
La sessione pomeridiana che ha preso il via con il saluto del vicesindaco Irene Conforto, la quale ha evidenziato il ruolo fondamentale dell’agricoltura per la società e come chi opera in agricoltura oggi presti maggiore attenzione ai territori, anche grazie al supporto della tecnologia. L’evoluzione dell’agricoltura ancora nel saluto di Francesco Cristofaro, consigliere del Gal delegato al Pal “Spes – Stategie per restare”.
L’agronomo Rosario Previtera ha sottolineato come i cambiamenti climatici nei prossimi anni determineranno l’emigrazione interna verse le altitudini e la necessità di amplificare i servizi per restare nelle aree rurali, per creare opportunità di lavoro e di crescita. «Le montagne e le campagne sono le aree per eccellenza della transizione». Lo stesso ha aggiunto «Le aree agricole, rurali e montane con i loro valori antichi e i loro servizi eco-sistemici diventeranno la camera di compensazione sociale ed economica per le popolazioni che dalle città si riverseranno nelle cosiddette “Terre Alte” a causa degli effetti diretti e indiretti del cambiamento climatico e della necessità di una nuova economia e stile di vita sostenibili e “green”».
Le buone prassi: storie da raccontare
L’esperto in sviluppo locale, Gregorio Muzzì ha posto l’accento sull’importanza del confronto tra le buone prassi finalizzate allo sviluppo rurale. In tale senso sono state raccontate le esperienze di idee progettuali finanziate dal Gal, a partire da Antonio Tropiano, scultore di Santa Caterina, le cui opere sono apprezzate in Italia ed all’estero. Alle spalle un’esperienza accademica, la collaborazione come saggista per una nota casa editrice nel campo della storia dell’arte e delle lettere umanistiche, la passione per la scultura nel frattempo mai sopita, decide di tornare in Calabria, «innamorato della dimensione del tempo di questo luogo, nella quale gli accadimenti avvengono più lentamente. Per la produzione questo è un dramma, ma non per l’arte», come ha espresso. Il finanziamento del Gal gli ha consentito di avere un laboratorio più grande, nel quale realizzare opere di maggiore volume, che è diventato luogo di incontro, di interazione ed integrazione sociale.
Domenico Vivino ha portato l’esperienza della Cooperativa “Nido di seta” di San Floro, nei giorni scorsi insignita del primo posto del “Premio Best Practice dell’Italia rurale”, in particolare grazie al laboratorio di tintura naturale realizzato con il finanziamento del Gal. Vivino si è soffermato sull’approccio multifinzionale che da subito l’azienda si è data, privilegiando l’attività didattica e divulgativa legata alla filiera serica. «Rimanere qui è stata una grande sfida, in ciò ha inciso la variabile dell’incoscienza dell’essere giovani nel voler riprendere una tradizione totalmente dimenticata». Ha evidenziato la valenza dell’agricoltura per riportare in auge i paesi dell’entroterra. Oggi “Nido di seta” conta otto unità lavorative, accanto all’agricoltura c’è l’artigianato legato alla lavorazione serica e alla tessitura che coinvolge diverse figure sul territorio calabrese, ha avviato una collaborazione con una start up del Lazio per la realizzazione di un filato da destinare alle case di moda. È ancora museo, fattoria didattica, offre servizio di ristorazione, escursioni eco-esperienziali e la produzione di confetture e prodotti alimentari che hanno come ingrediente le more di gelso.
Rosaria Brancati, amministratore delegato di Bruvera Design, ha portato l’esperienza di una start up innovativa ideata e pensata da due giovani che hanno voluto coniugare competenze artistiche e informatiche. «Un’impresa – ha osservato – che sarebbe già fallita alla nascita», ciò per la crisi che durante la pandemia ha colpito anche l’industria tessile. Da lì la caparbietà di questi imprenditori di reperire l’attrezzatura e macchinari da varie parti del mondo. Bruvera Design, che si trova a Squillace, si rivolge ad un mercato di nicchia. Alle creazioni artigianali di accessori, per la persona e per la casa, in pelle e tessuto, si affiancano attività di studio e ricerca per la prototipizzazione di modelli e disegni per ricami digitali che vengono realizzati con tecniche sperimentali e con l’ausilio delle più avanzate tecnologie di settore. Si ispira a forme, modelli, decori, stili del patrimonio storico-artistico e culturale locale.