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Arriva "Womb", Eva Green inimitabile tra i cloni
NAPOLI, 25 AGOSTO 2012 - Anche se Dolly è un po' invecchiata, il tema della clonazione in ambito cinematografico dà la sensazione di non aver esaurito ancora le proprie possibilità creative. Non lasciarmi di Mark Romanek aveva avuto il pregio di sviluppare nel vitro di un soggetto ricco di potenzialità – cloni ideati per donare gli organi, come polli da batteria – una sorta di psicologia del replicante, di lirica malinconia ma anche di complessità tematica degna della science fiction sociologica di Frederik Pohl. Con Womb, l'ungherese Benedek Fliegauf batte lo stesso territorio, ma più a nord: sbilanciandosi in direzione del gelo scandinavo, anche creativo, fatto di ellissi, orizzonti emotivi di ghiaccio, silenzi e paesaggi (dell'anima) ingrigiti. Perfino nello sguardo, sempre caldo, di Eva Green.
Rebecca (Eva Green) e Thomas (Matt Smith) si conoscono da pre-adolescenti: un'amicizia, tendente alla cotta, bruscamente interrotta dalla partenza di lei per il Giappone. Quando Rebecca torna, sono entrambe cresciuti, ed entrambe pronti ad amarsi, ma un incidente toglie la vita a Thomas. L'amante, che si sente in parte colpevole, decide di farsi impiantare nell'utero un piccolo Thomas, da crescere come figlio amatissimo. Ma l'amore ha più di un volto.
Che la piena comprensione del "genere" fantascientifico dell'opera avvenga solo a narrazione inoltrata, è sintomatico di una scelta artistica che punta a fare del contesto immaginifico lo spunto di una situazione drammatica. Che decolla, invero, con lentezza ostinata, trascinandosi nella stasi di un racconto congelato per larghi tratti, per poi slanciarsi in avanti con strappi improvvisi. Capita perfino di venir sorpresi da svolte capitali, rispetto al senso della storia, da rapidi passaggi dialogici. L'anemia diegetica, però, tesa a scambiare i paesaggi di ghiaccio con quelli dell'anima, finisce per rendere esangue i gangli vitali vicenda: il grembo del titolo (womb) finisce per diventare, paradossalmente, la cifra metaforica dello stesso film, ossia un'attesa prolungata, anche adagiante, ma fin troppo logorante anche per l'utero recitante di un'Eva Green sofferente più per innata iconicità, che per sobbalzi della sceneggiatura.[MORE]
Mentre Fliegauf resta convenzionale in una narrazione dilatata fino a diventare innaturalmente pausata, è proprio sulle spalle dell'attrice francese che si regge tutta la profondità delle omissioni: sterili come finiscono per essere, piuttosto, i duetti con l'acerbo Matt Smith, teletrasportato sulle coste del Mare del Nord direttamente dalla serie tv del Doctor Who: e "who?" resta la domanda principale sulla sua identità. Più che dell'ambìto cammino dell'inesorabilità genetica, a cui il regista dichiarava di aspirare, risalta per merito della Green l'implicito trapasso al tema dell'elaborazione del lutto, ed ancor di più della solitudine: quello di Rebecca è un personaggio di stentoreo fuori sincrono, costretto a sperimentare tutte le forme della lontananza da Thomas: da quella fisica, a quella esistenziale, a quella anagrafica. È l'Euridice forzata al ruolo della prima moglie: ma, con sua malinconica consapevolezza, non l'ultima.
Presentato al Festival di Locarno del 2010 e giunto nelle sale italiane a fine agosto di due anni dopo, Womb è un'opera di fantascienza invernale, fin troppo compiaciuta della propria gravitas, fino a diventare letargica. Con Eva Green - almeno - regina dei ghiacci.
Titolo originale: id.
Interpreti: Eva Green, Matt Smith, Lesley Manville, Peter Wight, Istvàn Lénart, Hannah Murray, Natalia Tena
Origine: Germania, Ungheria, Francia, 2010
Distribuzione: Bolero Film (in Italia dal 31 agosto)
Durata: 111'
Trailer
(in foto: una scena del film)
Antonio Maiorino