Cronaca
"Vita da scorta", in ricordo di chi ha dato la vita assolvendo il proprio compito con coraggio
PALERMO, 23 MAGGIO 2013 - Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, morirono il 23 maggio 1992. Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, invece, il 19 luglio dello stesso anno. Sono questi i nomi degli agenti della scorta caduti in servizio nelle stragi di Capaci e via D’Amelio, ordite ai danni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Uomini al lavoro, che hanno sacrificato la propria vita per proteggere chi si è battuto fino alla fine nella lotta alla mafia. Un lavoro difficile, quello degli uomini di scorta, fatto di sacrifici e privazioni, e sicuramente di grandissima responsabilità.
Nella motivazione della medaglia d’oro al valore civile concessa agli agenti morti nelle stragi di Capaci e via D’Amelio si legge: “pur consapevole dei gravi rischi cui si esponeva a causa della recrudescenza degli attentati contro rappresentanti dell'ordine giudiziario e delle Forze di Polizia, assolveva il proprio compito con grande coraggio e assoluta dedizione al dovere”.
Ed in effetti gli agenti di scorta lavorano giorno dopo giorno, facendo turni lunghissimi, a seconda delle esigenze della personalità protetta, in condizioni di grande stress, rinunciando al quotidiano poiché costretti a trascorrere molte ore lontano da casa. L’unica grande soddisfazione è quella di godere della stima di chi affida completamente nelle loro mani la propria vita. Tanti i pericoli che si corrono in virtù di una grande passione che spinge ad una tale abnegazione. Grande la responsabilità anche per chi sta alla guida delle auto blu, sempre in corsa, per ovvi motivi e, per questo, causa di apprensione per la massima cautela che occorre prestare sulla strada.
Il lavoro di gruppo e lo spirito di squadra sono valori fondamentali, perno dell’incarico assunto dagli agenti di scorta, che fanno sì che si creino forti legami su cui si basa il lavoro stesso di “protezione altrui”. In un’intervista rilasciata a Marcelle Padovani, Giovanni Falcone disse: “Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.”
Eppure a proteggerli qualcuno c’era, c’erano quei ragazzi che, nonostante tutto, erano lì pronti a dare la propria vita a quei magistrati che credevano davvero in una rinascita della Sicilia. Oggi come allora sono tantissimi gli agenti di scorta che operano nel nostro paese e che non esitano un attimo a mettersi a disposizione della legge, a costo anche della loro stessa esistenza, trepidando ogni qual volta vedono sulla strada un’auto in sosta, in ansia mentre schizzano sulle carreggiate per ottemperare ai propri obblighi, ma mai dubbiosi sulla scelta fatta che li rende comunque così orgogliosi. [MORE]
Katia Portovenero