Cultura e Spettacolo
Vincenzo Ursini, “Fine cesellatore della parola” di Francesca Misasi
Dopo la lettura di “Eravamo comunisti”
Vincenzo Ursini, “Fine cesellatore della parola”
È l’Amore il grande solco che attraversa questo prezioso libro di Vincenzo Ursini (“Eravamo comunisti”) e ne segna l’essenza e la purezza; amore intenso, febbrile, deus ex machina che muove i fili e tesse la trama di queste stupende pagine.
Un amore, quello del poeta, sublimato dalle note magiche della giovinezza ed attraversato dai chiaroscuri del cuore ma che resta topos indiscusso su cui depositare le più intime vibrazioni di un’anima che vuole accasarsi tra i ricordi per svelare se stessa !
Nelle poesie di Vincenzo Ursini l’amore assume forme e sembianze diverse, sfiora le atmosfere della sua coscienza, affinché ciò che si è amato diventi memoria, diventi calco di ciò che è l’oggi in bene o in male. Le sue sono poesie vissute che svelano, pagina dopo pagina, una profonda anamnesi esistenziale, una dissezione dolorosa della parte più intima di se stesso, un voler dare le giuste risposte alla sua anima ribelle, assetata di giustizia e pronta a battersi contro le aporie di una società iniqua e statica, un’anima disposta a credere, a difendere e perseguire i propri ideali. Versi forbiti ed espressivi, intrisi di una interiorità sofferta, accompagnano ed acclarano la percezione del suo vivere, del suo firmamento emozionale e riecheggiano le vibrazioni della sua voce che a volte si leva possente ed indefettibile, a volte dolcissima ed euritmica. Magistrale ed efficace “l’inclito verso” che esalta e sviscera l’amore del poeta per la propria terra, una Calabria ancora crocifissa al palo delle sue endemiche contraddizioni tra il riverbero di una natura incantata e primitiva che “…è tutta uno schianto di verde…” (Cfr Mio Sud) vissuta “… sotto un cielo/che sa di pane e di vino …/ e di Dio…” ( cfr Andate) e la maledizione di mani sacrileghe che hanno reciso, ancora una volta, “…l’ultimo figlio crocifisso/dal colpo di lupara dentro al petto/ mentre “…volti indifferenti dalle case/sposate da secoli alla piazza/nulla hanno visto e nulla hanno sentito”.(cfr Figliuolo)
Versi dolorosi, pregnanti, incisivi, che se pur declinati con magistrale finezza, pesano come macigni sulle coscienze di tutti. Ursini in questo libro ci consegna una terra amara, fatta di treni senza ritorno, di singulti che non hanno lacrime e di ragazzi spenti, inermi, sui gradini muti di una chiesa…. ma la sua è anche terra di gente forte, rude e determinata, dal viso assorto e “la fame di sempre,” dalle mani callose e disossate dalla fatica, perché il Nostro sa che i calabresi, “sono gente dal carattere temprato come l’acciaio” (Antonio Gramsci, dai Quaderni del Carcere). Vivide, accorate e fervidi le immagini scaturite dai versi in cui emerge la struggente malinconia di chi è lontano da quel Mar Jonio di “tenero cristallo” dove “…Fata Morgana specchia la malia” (cfr Ora che l’incanto è finito) poesie nelle quali spira un vento caldo intriso dell’afrore intenso delle zagare e delle ginestre, stigma, radici e sangue di una terra antica e mai dimenticata.
Un libro avvincente in cui aleggia, con disarmante e rara finezza, una poetica nuda, sorretta da una interiorità rivelata e da uno stile personale aduso alla ricercatezza e corroborato da una solida grammatura intellettuale. Nelle liriche dedicate al padre, affiora, oltre alla consapevolezza del suo malcelato affetto, una interiorità sofferente dove l’amore sembra dissolversi tra la bruma delle inquietudini proprie della giovinezza, in quella contrapposizione generazionale che poi si trasforma, attraverso la deflegmazione dei sentimenti, in rimpianto, in rammarico, soppiantato nel tempo, dalla vividezza pregnante e dolce dei ricordi. Poesie in cui l’amore di figlio, si dibatte, come nel carme di Catullo, in quei sentimenti alterni e contrastanti di “Odi et Amo… Nescio, sed fieri sentio et excrucio” (Carme LXXXV), di cui non si conosce la ragione ma che lasciano ferite profonde, laceranti, fratture emozionali e catartiche risanate, alfine, dal rimpianto e dal profondo e ritrovato affetto. Versi in cui il cuore e la ragione si flettono ai sentimenti e deflagrano nel profondo lasciando il calco di quell’ethos morale che ha segnato l’abbrivio di una condotta di vita esemplare che riverbera nella pienezza di un oggi appagante e sereno.
Un libro in cui il poeta diventa fine cesellatore della parola che riveste della sua intimità per svelare la sua anima di creatura di pace e di grande umanità. Un libro toccante, ricco di rara ed elegante poesia, dai toni garbati e ricercati che acclarano il suo universo emozionale. Non da meno i testi delle sue canzoni, testi che diventano poesia melica, specchio di una realtà che purtroppo, ancora oggi, deve fare i conti con se stessa.
Per Vincenzo Ursini la poesia è un crogiolo di emozioni che scrollano la polvere dell’abitudine e scivolano sul cuore come il Jakamoz, ovvero, come il riflesso della luna sull’acqua ! E noi forse, dopo la lettura, sogneremo ancora di essere comunisti, protagonisti di un vecchio ed illusorio romanzo popolare.
Francesca Misasi
Dirigente scolastico, Vicenza