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Vettel, Schumi e una Ferrari in trasformazione
MILANO, 3 DICEMBRE 2014 - Anno di grazia 1996, Maranello, terra di motori, quasi venti gli anni e i campionati trascorsi. Luca di Montezemolo e Jean Todt impostavano già da tre anni il lavoro per tornare al vertice della F1. Mancava però il finalizzatore, un goleador capace di metterla dentro e scaldare i milioni di tifosi ormai a bocca asciutta dal 1979, quando Jody Scheckter regalò l’ultimo titolo piloti. Il resto lo conosciamo. L’approdo del tedesco Michael Schumacher, la risalita, podi iridati e titoli che tutti ricordiamo. [MORE]
Il parallelismo con l’arrivo di un altro tedesco titolato come Sebastian Vettel è facile, fin troppo forse. A ben guardare infatti, il quadro in cui s’inserisce il quattro volte campione del Mondo è molto diverso da allora. Al vertice dell’azienda del Cavallino il cambio alla presidenza non è stato indolore; in fondo, è anche il cambio di un’epoca. Da un manager “di famiglia” – già direttore sportivo Ferrari nei Settanta, il legame con gli Agnelli, la Fiat, la Juve etc. – ad un altro, Marchionne, che interpreta il ruolo presidenziale in un modo più consueto rispetto ai tempi e ai modi di questo impegno – ha già preannunciato che nel 2018 potrebbe lasciare Fca (Fiat Chrysler Automobiles) – e che ha la visione che si può avere dal ponte di comando di una multinazionale come la Fca odierna divisa tra Detroit e Torino. Quindi, forse, con un po’ meno romanticismo rispetto al predecessore e maggiore, e legittima, attenzione al business e all'aspetto finanziario.
Però la possibile assenza di una figura in grado di polarizzare l’attenzione oltre il prodotto, cosa in cui Montezemolo riusciva piuttosto bene e con carisma, è un rischio per l’immagine dell’azienda. Così come lo può diventare per la squadra di F1.
Passando al team, appunto, il caos regna piuttosto sovranamente. Da Domenicali a Mattiacci e da questo ad Arrivabene (neo responsabile della Gestione sportiva), l’annaspare tra i regolamenti e i risultati deludenti, consegna al nuovo arrivato Sebastian un quadro forse meno nitido del previsto e segnato da pennellate magari di qualità, ma senza un disegno complessivo dell’opera. Un quadro in cui Vettel rischia la fine di Alonso, il miglior pilota in circolazione qualifica a parte, diventando l’eroe di qualche gara senza però portare a compimento l’epica sfida nella sua interezza. Sfida al momento dominata da un gigante, non buono, come la Mercedes e da altri colossi non certo disposti a fare i comprimari.
L’altra figura da valutare in questo quadro è proprio Seb. Pilota veloce e vincente. Le statistiche parlano chiaro, nessun dubbio. Di sicuro era la scelta ovvia e migliore da fare per rimpiazzare lo spagnolo, ormai giustamente demotivato, Fernando. Vincente dicevamo, anche se con l’astronave Red Bull di Newey e Co. è stato tutto un po’ più scorrevole e, a differenza del suo mito Michael, in Ferrari uomo squadra solido e paziente – ha dovuto attendere tre quattro anni prima di avere una monoposto in grado di primeggiare – forse meno maturo e un pò troppo incline allo sconforto e ai nervi quando si trova nelle retrovie. E di sicuro, almeno prossimamente, da lì dovrà ripartire la Ferrari insieme al suo nuovo scudiero. Un quattro volte quattro campione, nella strana condizione di dovere ancora dimostrare di essersela meritata tanta gloria, in una squadra – mito che a volte, proprio come la Medea della tragedia greca, rischia di annullare i propri figli.
Marcello Onéri