Va dichiarata la separazione con addebito alla moglie affetta da "shopping compulsivo"
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LECCE, 20 NOVEMBRE 2013 - Non è un fenomeno raro quello dello “shopping compulsivo” che afflige donne ma non di rado anche uomini. Il problema che questa vera e propria patologia può essere considerata sì un disturbo della personalità, ma non ai fini di una vera e propria incapacità d’interere e volere no.
Almeno è questo il risultato di una causa matrimoniale arrivata sino alla Cassazione che ha confermato l’addebito della separazione nei confronti della moglie affetta dalla sindrome da “shopping compulsivo” facendole perdere il diritto al mantenimento. A riferire dell’interessante sentenza è Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”.
La Ctu ordinata dal giudice di merito aveva evidenziato che la donna pur essendo ben presente a sé stessa e curata nell’aspetto risultava perfettamente consapevole della propria patologia, che l’aveva indotta sino a farle carpire somme di denaro a familiari (e anche a terzi), pur di comprare vestiti, borse e gioielli. In tale fattispecie, il giudice di primo grado aveva evidenziato che anche se il disturbo della personalità che è acclarato, tuttavia non esclude l’addebito della colpa alla donna in termini dell’intollerabilità della convivenza.
E la prima sezione civile della Cassazione con la sentenza 25843/13, pubblicata il 18 Novembre, ha confermato la decisione della Corte di Appello che le aveva addebitato la colpa della separazione e revocato l’assegno di 2 mila euro al mese che le era stato riconosciuto dal giudice di primo grado.
È stata quindi, la consulenza tecnica d’ufficio un elemento fondamentale al fine della decisione, che aveva evidenziato l’istinto irrefrenabile della signora a comprare mobilio, capi di abbigliamento e accessori, oltre che monili, con una tensione crescente alleviata soltanto dall’acquisto di beni mobili. Anche perché è pacificamente accertata la circostanza che la stessa rubasse ai familiari e a terzi pur di soddisfare questa bramosia.
Peraltro, la donna risulta essere in possesso di tutte le facoltà mentali e non ha nessun problema a relazionarsi con il prossimo e a orientarsi nel tempo e nello spazio. Ed anzi si era presentata al colloquio innanzi al CTU lucida ed orientata nei parametri spazio temporali, curata nell’aspetto e nell’abbigliamento, adeguata nel comportamento.
Essendo stata quindi, affermata la piena imputabilità della donna, gli ermellini hanno ritenuto che i comportamenti tenuti dalla stessa si configurano senz’altro come violazione dei doveri matrimoniali secondo quanto stabilito dall’articolo 143 del codice civile. [MORE]
(notizia segnalata da Giovanni D'Agata)