Cultura e Spettacolo
Una rapsodia che si rinnova nel tempo: tributo a Freddie Mercury
ROMA, 05 SETTEMBRE 2011 – “…Anyway the wind blows, doesn’t really matter to me”. Così cantava più di trent’anni fa Farrokh Bulsara, in arte Freddie Mercury, che proprio oggi avrebbe compiuto il suo sessantacinquesimo compleanno.[MORE]
“Nothing really matters to me”, ripeteva in uno dei suoi brani di maggiore successo: Bohemian Rhapsody. Ma era davvero così? Non gli importava proprio nulla di niente e di nessuno? Beh, a giudicare proprio da questa memorabile canzone, non si direbbe. Le contraddizioni, i cambiamenti, i rimpianti e i sogni infranti, le paure, il coraggio, l’aggressività…Tante fasi di un’anima tormentata nelle quali chiunque potrebbe riconoscersi; fasi che chiunque potrebbe fare proprie ricollegandole ad un particolare momento della propria vita, o ad un ricordo indelebile, o ad un sentimento ben radicato.
La struttura di questa canzone è una combinazione ammaliante di generi e ritmi diversi, una vera e propria rapsodia, appunto, da cui deriva il titolo stesso del brano. Musica, arrangiamenti e parole si legano coerentemente in una confessione tormentata e un dramma interiore che coinvolge e commuove chi l'ascolta. I primi 48 secondi sono dominati dalla sola voce a cappella di Mercury: “Is this the real life, is this just fantasy?...No escape from reality”: chi racconta è in preda al panico, si chiede se quella sia la realtà o fantasia, realizzando che dalla realtà, purtroppo, non si scappa. E allora alza gli occhi al cielo cercando una speranza, un’alternativa, una via di fuga…”Open your eyes, look up to the skies and see…” .
Ed ecco che inizia la ballata, la parte debole dell’uomo e il bambino che è in lui che si rivolge alla mamma, confessandosi , autocommiserandosi e chiedendo un disperato e invano aiuto: “Mama, life had just begun, but now I've gone and thrown it all away", “Mama, ooh, Didn't mean to make you cry. If I'm not back again this time tomorrow…carry on, carry on, as if nothing really matters”. La paura e il terrore lasciano spazio alla preoccupazione per il dolore che causerà ai suoi cari, più che a se stesso, al punto di arrivare a desiderare di non essere mai nato "I sometimes wish I'd never been born at all”.
Ecco che entra in scena l’opera, e il tono supplichevole e autocommiserativo viene bruscamente sovrastato da voci angeliche e demoniache allo stesso tempo, che dibattono su come accogliere questa anima che si accinge ad oltrepassare la vita terrena. Il ritmo è incalzante, le voci si sovrappongono, si deformano, trasmettendo un senso di inquietudine. L’anima fragile, difronte alla minacciosa prospettiva della morte, si fa coraggio, affronta con spavalderia e aggressività le entità extra terrene che lo affrontano “So you think you can stone me and spit in my eye?", "So you think you can love me and leave me to die?".
L’affronto è accompagnato da un rock sfrenato adesso, il pianto del bambino indifeso è ora un grido di rivalza, un ultimo appello a difendere, anche negli ultimi istanti, il proprio valore e la propria dignità. Ma dopo essersi sfogato, i toni si riabbassano e le note si riaddolciscono, e la risposta alla sconfitta, comunque certa, è “nothing really matters to me”.
Ascoltare questa canzone significa ascoltare un turbine di sentimenti ed emozioni, che ci coinvolgono, ci fanno riflettere e ci fanno sperare di poter essere sempre nella condizione di avere un’altra chance, a differenza del protagonista di questa drammatica rapsodia, condannato a morte. Da chi? Per quale motivo? Storia vera, inventata, o una metafora della (sua) vita? Il significato del testo si apre a diverse interpretazioni.
Ciò che è certo, è che questo singolo ha riscosso un incredibile successo nel corso di tutti questi anni, e, ascoltandolo, rimane difficile trovare un brano nella storia della musica internazionale, degno di paragone per la straordinaria ed eccellente combinazione di generi musicali così diversi che esplodono armoniosamente in un crescendo che lascia i brividi.
Antonella Bova