InfoOggi Cinema
"Una película sobre parejas" alla Festa del Cinema di Roma, l'intervista a Oriol Estrada: "Io e Natalia Cabral: registi, persone e personaggi"
Per la rubrica UNCUT GEMS – diamanti grezzi, Una película sobre parejas di Natalia Cabral e Oriol Estrada: le interviste di Antonio Maiorino sui migliori film d’autore del cinema contemporaneo mondiale. Spesso, inediti (in Italia), non ancora “sgrezzati” dallo sguardo dello spettatore; spesso, autentici gioielli nascosti.
Tra moglie e marito puoi mettere una macchina da presa. Anzi, due. In concorso alla Festa del Cinema di Roma, Una película sobre parejas è stato uno dei film più godibili e sorprendenti. A girarlo, compagni nella vita, i registi Natalia Cabral (dominicana) e Oriol Estrada (catalano), autori indipendenti, ma a quanto pare piacevolmente dipendenti l’uno dall’altro quando si tratti di girare fare cinema. Inclini soprattutto al documentario e già selezionati in diverse delle più quotate kermesse internazionali – tra tutte, il Visions du Réel nel 2014 con You and me e l’IDFA di Amsterdam ne 2016 con Site of sites – i due realizzano stavolta, ancora in tandem, un film di finzione. Che sa molto di falso documentario, meta-cinema, terapia di coppia, terapia del fare cinema in coppia. I protagonisti sono proprio loro: coi rispettivi nomi; con la sfida di dover girare un documentario; con problemi affettivi e professionali. Vero, verissimo: praticamente falso. Ma molto divertente, con le riflessioni, spesso spiritose, sulla settima arte. Il backstage del documentario che fingono di girare diventa il fronte per ragionare di frontiera tra finzione e reale, di confine tra vita artistica e vita privata. Abbiamo contattato i due registi: Natalia ha accettato la nostra intervista; Oriol ha risposto alle domande (perché Natalia è nel mezzo delle riprese di un altro film). Se non è lavoro di squadra questo…
IL TRAILER DI UNA PELÍCULA SOBRE PAREJAS
L'INTERVISTA: ORIOL ESTRADA RACCONTA UNA PELÍCULA SOBRE PAREJAS
ANTONIO MAIORINO: Il film è una finzione, anche se con molti elementi che lo avvicinano alla realtà. Tu e Natalia vi siete sentiti integralmente come personaggi o ci sono state anche delle parti in cui avete avvertito un coinvolgimento da persone, come accade nei documentari?
ORIOL ESTRADA: in ogni momento ci trattiamo come personaggi di fantasia, e mentre ovviamente molti dei momenti che ricreiamo nel film erano momenti vissuti in precedenza, ce ne sono molti altri che non sono mai accaduti nelle nostre vite. Era un gioco, recitavamo in ogni momento. È stato fantastico perché era un film sui nostri alter ego, che ci ha permesso di ribaltare i nostri demoni interiori senza il peso della realtà sulle nostre spalle. Al contrario di quanto suggerivi, curiosamente, nei mesi successivi alle riprese è successo che quando abbiamo avuto una discussione tra di noi, a volte dubitavamo reciprocamente se l'altro stesse recitando o no, e se il litigio fosse, o stava finendo pe diventare, la scena di un film. è stato un modo curioso di vederci dall'esterno. Più volte abbiamo finito per ridere dell'assurdità di tutto questo. Penso che girare il film ci dia la possibilità di affrontare, canalizzare ed evidenziare questioni che prima era difficile per noi sollevare. C'è sicuramente un po' di terapia nel film! (ride, n.d.R.).
A.M: a proposito di documentari, c'è una scena in cui il tuo personaggio dice: "Noi raccontiamo storie". È proprio per questo aspetto comune tra finzione e documentario, lo storytelling, che secondo te, come sostengono molti critici e registi, non c'è più un confine tra i due formati? Oppure è importante mantenere una distinzione tra finzione e documentario, per dichiarare allo spettatore il dispositivo del linguaggio utilizzato?
O.E: credo che lo spettatore abbia una grande capacità di lasciarsi trasportare da una storia. Quando vediamo un film di finzione, pur essendo pienamente consapevoli dell'artificio che suppone, ci lasciamo trasportare come se fosse la verità. Nel documentario, come nella fiction, c'è una costruzione narrativa completa: è un artificio. Il potere dell'autore di decidere cosa debba esserci dentro e fuori dall'inquadratura, o la manipolazione del tempo cinematografico tramite il montaggio, costituiscono un discorso che non ha nulla a che fare con la realtà. In altre parole, né il documentario né la finzione sono realtà, bensì qualcosa che esteticamente vogliono farti credere che sia vero. Il documentario è finzione nello stesso modo in cui la finzione cerca di assomigliare alla realtà. Penso che l'unica differenza che di solito esiste tra i due generi siano i diversi codici estetici che gestiscono. Perché mai è considerato documentario un reportage sugli animali in cui la narrazione è raccontata come una favola, le immagini vengono registrate molte volte in spazi dove gli animali non vivono nemmeno in libertà e anche i suoni sono ricreati al 100% dall'uomo negli studi di post-produzione? Alla fine, si tratta di convenzioni estetiche. Penso che contribuire alla rottura di queste false convenzioni possa solo contribuire ad aprire porte e finestre e alla lunga lo spettatore lo apprezzerà.
A.M: la prima scena di Una película sobre parejas vede un dibattito - o un tentativo di dibattito - con i pochi spettatori che hanno partecipato a una proiezione in un festival. Natalia dice: "Ci piace sapere cosa pensino gli spettatori del nostro film". Ti chiedo se questa è un’opinione di Natalia e Oriol come personaggio se davvero ci credete così nella realtà. Di recente ho intervistato il regista boliviano Kiro Russo, premiato a Venezia per il film El gran movimiento, e lui, ad esempio, è tra coloro che credono che sia più importante fare la propria ricerca che interessarsi all'opinione dello spettatore.
O.E: è vero che al momento del processo creativo non pensi tanto al pubblico, pensi di più a te stesso, a cosa ti piace, cosa funziona e cosa no, in base ai tuoi criteri. Nel nostro caso, intuitivamente ci lasciamo trasportare durante tutto il processo creativo, molte volte senza ascoltare troppe opinioni esterne, o solo quelle giuste. La parte in cui il film è ancora in fase di creazione è la parte migliore, la parte in cui lo sogni, la parte più emozionante e più divertente. Una volta che il film è pronto, con i suoi successi e i suoi errori, con cui dovrai vivere tutta la tua vita, è il momento di ascoltare il pubblico con le sue opinioni contrastanti. A questo punto è meglio se stai pensando al prossimo film, altrimenti finisci per ossessionarti su ciò che non hai ottenuto nel precedente ed è terribile (ride, n.d.R.). Anche quando il film è un successo, ti senti molto suscettibile rispetto all'opinione degli altri, persino debole. È molto comune per gli autori dire che non si preoccupano affatto dell'opinione degli spettatori, ma penso che sia una corazza, una forma di protezione. Io personalmente, poi, sono particolarmente colpito dall’opinione del pubblico, più di quanto vorrei.
A.M: il cinema quasi vuoto della stessa scena si unisce anche alle critiche del tuo personaggio a Netflix e ai social network che hanno cambiato le abitudini degli spettatori. Ci spieghi un po' meglio la tua opinione su questo, cioè sul rapporto tra piattaforme streaming e cinema del terzo millennio?
O.E: in quella scena Natalia e Oriol hanno un punto di vista molto pessimista condizionato dal brutto momento che stanno attraversando. Non siamo sempre così negativi, dipende dal momento. Da una parte penso che ci sia una sovrabbondanza di tutto; ma non solo nel cinema, in tutto. L'eccesso di informazioni è così grande che a volte ci si chiede che senso abbia fare un film quando proprio in quel momento ne vengono sicuramente girati migliaia in tutto il mondo. Per di più, il cinema convive con centinaia di lavoretti e hobby, alcuni dei quali, come i social network, sono così potenti e machiavellici che non possiamo controllarli. Da un altro punto di vista, non è mai stato così facile realizzare un film, esprimendosi in modo creativo e trascendendo da qualsiasi forma prestabilita. Quante persone, poi, hanno trovato la loro ispirazione diventando youtuber? Al giorno d'oggi, è una meraviglia entrare su YouTube e scoprire contenuti che 15 anni fa sarebbero stati di impossibile fruizione. L'altro giorno ho scoperto un canale di un giovane architetto che parla di architettura a partire dall'analisi cinematografica ed è una vera chicca. Fino a poco tempo fa si aveva bisogno di molti soldi, attrezzature, persone e influenza per essere in grado di fare qualcosa del genere. Ora hai solo bisogno di entusiasmo e dedizione.
A.M: so che vi è stato chiesto spesso come sia lavorare in coppia e questo film, con la sua ironia, è una specie di risposta. Quello che vorrei chiedere è se nel lavoro di coppia serve sempre un totale accordo su tutto, o se uno di voi deve rinunciare a qualcosa a volte.
O.E: penso che nel cinema in generale si debba sempre imparare ad arrendersi. La verità è che le cose non vanno mai esattamente come si pianifica. Quindi questa domanda può essere fatta a tutti i registi, non solo a quelli che lavorano in coppia. Solitamente il denaro è il fattore che implica la maggior rinuncia alle idee e agli obiettivi che ci si era prefissati. Se ti abitui a rinunciare, impari ad assaporare meglio il momento in cui trovi una soluzione più semplice e creativa per raccontare una scena impossibile da girare come avevi inizialmente previsto. Sono note le storie delle difficoltà che i mitici registi della Hollywood classica hanno attraversato per realizzare la loro visione artistica. A Nicholas Ray, per esempio, non lo lasciavano nemmeno entrare nella sala di montaggio dei suoi film! Quella era ordinaria amministrazione, quindi se il problema più grande che ci si pone quando si fa un film è dover raggiungere un accordo con il proprio partner quando si prendono decisioni... allora, che gioia! Credo che la chiave per lavorare con la tua compagna, da un lato, sia saper riconoscere quando da lei arriva un'idea migliore della tua, e dall'altro, non meno importante, che nei titoli di coda nessuno dei due sembra migliore dell’altro (ride, n.d.R.).
A.M: come sono state girate le parti "documentarie" del film? Come un falso documentario, cioè come una finzione, o sono davvero dei piccoli documentari? E come sono cambiati lo stile e l’estetica in quelle scene?
O.E: le persone che i nostri personaggi di Natalia e Oriol intervistano nel documentario non erano a conoscenza del film che stavamo realizzando. Tutti loro hanno sempre creduto che il film fosse in definitiva un documentario sulle coppie, non una finzione su Natalia e Oriol che realizzano un documentario sulle coppie. Forse è un po' crudele, ma i registi, specialmente i documentaristi, sono un po' crudeli ed egocentrici, e penso che il film ne parli. In ogni caso, questo meccanismo era essenziale per ottenere da loro la naturalezza e la spontaneità di cui avevamo bisogno. Poiché provochiamo e modifichiamo gli eventi dall'interno della scena, in nessun momento abbiamo considerato questi momenti come "documentari". In realtà consideriamo tutte le persone nel film come attori, a volte accidentali, a volte inconsapevoli, ma pur sempre attori. In realtà, nei film di finzione con attori professionisti, si tentano anche mille trucchi per estrarre la veridicità degli attori; quindi, non siamo così lontani dalle forme più standardizzate di cinema.
A.M: c'è una scena in cui dopo aver trovato i finanziamenti per il film, tu e Natalia vi chiedete quale dovrebbe essere il soggetto e tu fai diverse ipotesi: un film sulle persone con cani, sulle persone con bambini, su vostra figlia Lía. In altre parole, citi tutto ciò che vedi intorno. Alla fine, poi, scegliete un film sulle coppie. Per un documentarista in cerca del soggetto per il suo film, pensi che sia più efficace trovare ispirazione tra le cose che lo circondano, le più immediate, o diventare esploratori di realtà sconosciute?
O.E: penso che non ci sia una risposta certa per questo. Anche se ormai è molto diffuso, o va più di moda, il cosiddetto documentario autoreferenziale. Se mettiamo in discussione il genere, disprezzeremmo un film meraviglioso come News From Home di Chantal Akerman, per fare solo un esempio. Dall'altra parte ci sono molti casi di film incredibili che sono stati realizzati dallo sguardo di una persona esterna al soggetto in questione, lo sguardo dell'altro. Cosa sarebbe successo se Raymond Depardon non fosse entrato in un ospedale psichiatrico per denunciare le condizioni dei malati nel film San Clemente? Ricordo di aver visto di recente una mostra temporanea sulle opere di Picasso che era stata ispirata da paesi in cui non aveva mai messo piede. Alla fine, il punto è che l'arte non ha limiti, allora perché li mettiamo noi stessi?
A.M: Nel film Natalia dice: “abbiamo bisogno di un conflitto. Il cinema è conflitto”. Pensi che questo sia valido solo per la fiction o anche per i documentari?
O.E: non avevo mai sentito Natalia dirlo prima del film, quindi come puoi vedere, è tutta finzione! (ride, n.d.R.) In realtà, l'idea di interpretare e montare quel dialogo è nata come opposizione al fatto che quello che stiamo vedendo è un documentario. In altre parole, volevamo mostrare la costruzione della storia al di sopra della nozione di realtà, per evidenziare le cuciture della finzione. Personalmente, una delle parti del film che mi piace di più è quando, al culmine del conflitto tra Natalia e Oriol, il personaggio di Natalia in off inizia a narrare come potrebbe essere assemblato il film che stiamo vedendo. Mi piace molto quel momento perché quello che fa è anche far emergere quelle che ho definito “cuciture della finzione”. Per tutto il tempo, come spettatori abbiamo visto la falsità del cinema partecipando al dietro le quinte del documentario sulle coppie, ma improvvisamente, in un batter d'occhio, la sensazione di realtà del film che stiamo vedendo è rotta. Penso che la frase "il cinema è conflitto" appena prima dell'escalation del conflitto tra di noi giochi un po' su questa linea. E tornando alla frase stessa su cosa sia il cinema, se chiedi a me, e non al mio personaggio, ti direi che il cinema è un mistero. Su cosa direbbe Natalia della vita reale, non personaggio del film, non sono sicuro. Stanotte glielo lo chiederò prima di andare a dormire.
A.M: come avete costruito il vostro conflitto in maniera che apparisse progressivo, e non un improvviso trucco di sceneggiatura della seconda parte?
O.E: costruire la progressione drammatica è stato frutto di un duro lavoro di assemblaggio. Sul set abbiamo lavorato con molta libertà, siamo stati in grado di improvvisare molto e generare molto materiale ricco e vario, è stato incredibile. Solo quando siamo arrivati al montaggio, si è reso necessario ristrutturare il film. Per fortuna lavoriamo con un'altra coppia di montatori straordinari: Aina Calleja e Javier G. Lerín. Penso che per loro sia stata una bella sfida dal momento che non avevano mai lavorato insieme a quattro mani prima di montare un film. Hanno anche avuto i loro momenti di conflitto in cui sono diventati lo specchio del film che stavano montando. Fortunatamente alla fine, come Natalia e Oriol nel film, sono rimasti felici e ora aspettano un figlio! Congratulazioni! (ride, n.d.R.)
A.M: un aspetto che attira molto l'attenzione quando si vede come lavorano Natalia e Oriol nel film è la grande mole di lavoro svolto al computer: analisi delle riprese, montaggio, editing. C'è, per esempio, una parte in cui Oriol parla di una ragazza che non dice nulla, ma che ha uno sguardo straordinario ("Guarda gli occhi"). È qualcosa che è successo anche durante le riprese del tuo film? In altri termini, rivedendo i filmati, avete modificato i piani iniziali?
O.E: ci piace molto uscire dalla sceneggiatura principale, per esplorare percorsi che prima delle riprese non avremmo potuto immaginare. È meraviglioso perché le riprese diventano uniche e irripetibili. Ad esempio, c’è una scena in cui appare una ragazza e le do la possibilità di fare l'intervista al posto di Natalia; ebbene, non si trattava di qualcosa di previsto. La ragazza è davvero apparsa per caso nella realtà, e ho colto l'occasione per improvvisare quel momento che poi diventa un innesco molto importante del conflitto principale. Questo modo di lavorare è molto attraente, ma è vero che la sala di montaggio acquista un'importanza capitale, perché non si tratta più di trovare le inquadrature migliori, ma di trovare il film.
A.M: alla fine, cosa devono evitare due registi che lavorano in coppia come voi per non essere solo un marchio per i titoli di coda - Cabral e Estrada, o Estrada e Cabral - e generare un cinema capace di reinventarsi?
O.E. è una domanda difficile. Credo che ogni persona, a seconda di come viva ogni momento, debba trovare la propria risposta a questa domanda. Ricordo una scena di Taxi Teheran in cui un giovane studente di cinema chiede a Jafar Panahi come potesse trovare un soggetto interessante per un film. Panahi, col suo alone di saggezza orientale, gli risponde in modo molto bello, ma anche diretto, dicendogli che lui e solo lui deve trovare quella risposta. Aggiungerei forse che la risposta definitiva potrebbe non essere mai trovata e che il nocciolo della questione stia nella ricerca. Dunque: continuiamo a cercare.
SCHEDA DEL FILM
TITOLO ORIGINALE: Una película sobre parejas
TITOLO INTERNAZIONALE: A film about couples
PAESE: Repubblica Dominicana
DURATA: 89'
GENERE: fiction, commedia
REGIA: Natalia Cabral, Oriol Estrada
CAST: Natalia Cabral, Oriol Estrada, Lia Estrada Cabral, Carlos M. Matos, Cristina Violines, Alex Saint-Hilaire
SCENEGGIATURA: Natalia Cabral, Oriol Estrada
FOTOGRAFIA: Nicolás Ordóñez
MONTAGGIO: Aina Calleja, Javier García Lerín
SCENOGRAFIA: Yin-lai Trinidad Ng
SUONO: José Homer Mora Acosta
PRODUTTORE: Natalia Cabral, Oriol Estrada
CO-PRODUTTORE: Pablo Mustonen
PRODUZIONE: Faula Films
DISTRIBUZIONE ITALIANA: Fandango
(immagini: fotogrammi dal film Una película sobre parejas. In copertina dettaglio di fotogramma con Natalia Cabral e Oriol Estrada. Si ringrazia Daniela Staffa)
Antonio Maiorino