Di tutto un po'
Un'utopia realizzata: studiare musica da adulti?
Studiare musica una volta compiuti gli "enta" o gli "anta"? Da noi appare un'utopia. Se per insegnare la musica ai figli nella scuola pubblica mancano al nostro paese risorse e volontà politica, come potrebbero apprenderla i padri o i nonni? Peggio ancora: gli stregoni della neuroscienza insinuano che sarebbe solo fatica sprecata. [MORE]
Tiene oggi il campo la Music Learning Theory di Edwin E. Gordon, arzillo docente della Michigan University, secondo cui l'attitudine musicale, innata in ogni individuo, fiorirebbe in età neonatale. La qualità dell'ambiente di vita influenza il potenziale di apprendimento musicale in modo evidente nei primi tre anni e poi in misura decrescente fino ai nove anni circa, età in cui si stabilizza. E va bene, dopo i tre anni è già troppo tardi per fabbricare un Grieg o una Clara Shumann, figli d'arte col DNA giusto e lo strumento in salotto, pronti ad esibirsi in un concerto a un'età in cui di solito gli altri bambini canticchiano, perlopiù stonando, le canzoncine apprese all'asilo. Pazienza.
Eppure un altro professore, Hans Gunther Bastian di Francoforte, ci assicura però che cantare il Requiem di Mozart in un coro amatoriale aumenta il tasso di immunoglobulina “A” e di cortisolo (protettori del sistema immunitario) oltre a beneficare il sistema nervoso autonomo. Dunque: dilettanti si, ma più sani e meno depressi.
Roberta Lamaddalena