Un terzo dei medicinali antimalarici è contraffatto. Pagano i poveri del mondo, non Big Pharma
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LONDRA, 24 GIUGNO 2012 – Secondo uno studio realizzato dai ricercatori del Fogarty International Center e del National Institute of Health ci sarebbero migliaia di campioni di medicinali antimalaria falsi. I ricercatori si sono basati sullo studio di 1.500 campioni relativi a sette antimalarici in sette stati del Sud Est asiatico e su 2.500 campioni prelevati in 21 stati dell'Africa sub-sahariana. Nessuno studio, invece arriva da Cina e India, paesi che sommano insieme circa un terzo della popolazione mondiale e dalla quale sembrano provenire molti dei medicinali contraffatti.
I ricercatori americani, inoltre, dichiarano come questi dati potrebbero dover essere ritoccati verso l'alto, in quanto potrebbero esserci casi non riportati per errore o non divulgati dalle compagnie farmaceutiche.
I dati, oggi, parlano di 3,3 miliardi di persone che rischiano di contrarre la malaria, una malattia considerata endemica in 106 paesi nonostante dal 2000 – stando a quanto dichiara l'Organizzazione mondiale della sanità – il rischio mortalità nel mondo si sia ridotto di un quarto (del 33% nei paesi africani che fanno parte dell'Organizzazione). Numeri che, come evidenziava a maggio Gaurvika Nayyar – a capo della ricerca – a Michelle Roberts della BBC, potrebbero essere ben diversi qualora «i medicinali messi a disposizione dei pazienti fossero efficaci, di alta qualità ed usati correttamente».[MORE]
Lo studio evidenzia come sia più che carente la rete di strutture necessarie al monitoraggio della qualità dei medicinali somministrati, alla quale si aggiunge una scarsa consapevolezza del comparto medico riguardo le terapie nonché la facilità di aggiramento delle norme vigenti da parte delle organizzazioni criminali che hanno fiutato da tempo il business, come evidenzia un lungo articolo del Malaria Journal pubblicato lo scorso anno.
I medicinali contraffatti, denuncia lo studio, contengono una quantità estremamente ridotta di artemisina (l'anti-malarico considerato attualmente più efficace), cosa che permette solamente di alleviare i primi sintomi della malattia e di passare alcuni test di base per l'autenticazione. La presenza di ingredienti sbagliati nei farmaci contraffatti, peraltro, può portare anche a gravi effetti collaterali qualora questi vengano assunti assieme ad altri medicinali quali quelli per il trattamento dell'Aids, ancora presente in molti dei paesi sottoposti allo studio.
Quello del mercato dei medicinali contraffatti è, però, un business consolidato delle reti criminali internazionali. Già nel 2001, infatti, la polizia di Guangzhou, in Cina, sgominò un gruppo criminale formato da cittadini cinesi e nigeriani – due delle più potenti mafie sul piano internazionale – che si era reso responsabile di un traffico di alofantrina (uno dei principi attivi anti-malaria) contraffatta. Intercettare quelle partite di medicinali fu possibile solo in quanto alcuni ricercatori trovarono del polline all'interno delle confezioni, permettendo così l'identificazione geografica della località di partenza del traffico.
Tra gli organismi internazionali che dovrebbero combattere la diffusione della malaria nel mondo c'è il Global Fund, il Fondo Globale contro Aids, malaria e tubercolosi (che insieme costituiscono la prima causa di morte nei paesi non occidentali) istituito dal G8 nel 2002 su sollecitazione dell'allora segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ed accusato più volte di corruzione attraverso il classico espediente delle sovrafatturazioni e degli appalti fasulli http://www.dazebaonews.it/economia/item/1586-the-global-fund-una-miniera-per-i-corrotti-di-ogni-latitudine, portando un ulteriore esempio a quella “carità che uccide” di cui parla l'economista zambiana Dambisa Moyo nel suo primo libro, pubblicato nel 2010.
Per aumentare ancora di più il numero delle persone non più a rischio malaria, come evidenzia Enrico Crespi su Ecoinchiesta, è necessario ampliare la diffusione delle zanzariere, «magari prodotte sul posto» così da poter iniziare anche quel processo di vera e propria emancipazione necessaria ai paesi del Sud del mondo (“Sud” da intendersi in chiave politico-economica più che geografica, naturalmente) per non dipendere più dall'umanitarismo del Nord del mondo.
In tutto questo, naturalmente, non va dimenticata quella politica – che molti commentatori definiscono di vero e proprio imperialismo farmaceutico – relativa all'uso per certi versi geopolitico dei brevetti delle medicine, come denunciò alcuni anni fa il giornalista Paolo Barnard ne “il marketing del farmaco” (qui e qui le due parti che interessano questo articolo) analizzando il caso di Santo Domingo, laddove le cure mediche venivano rese impossibili alle classi povere dagli alti costi che queste avevano in proporzione al denaro a disposizione delle classi popolari e da una legislazione internazionale che vietava di copiare le medicine sottoposte a brevetto per venti anni, cosa che era stata permessa per molto tempo nei paesi poveri.
Oggi, si obietterà, è ormai entrato nell'immaginario comune il cosiddetto “farmaco generico” (un farmaco cioè non protetto da brevetto). Ma perché aspettare la scadenza dei brevetti – vent'anni, appunto – per mettere a disposizione della maggior parte della popolazione mondiale un farmaco che in quel lasso di tempo verrà sicuramente superato e, si spera, migliorato?
Avrebbe molto più senso, dando per impossibile la cancellazione della politica dei brevetti, fare in modo che i medicinali vengano messi a disposizione delle popolazioni povere con modalità differenti, così da poter curare una più ampia fetta della popolazione mondiale che ancora oggi non ha accesso alle medicine, erodendo così le forme di mercato nero in cui sguazzano le organizzazioni criminali.
(foto: lifemarketing.wordpress.com)
Andrea Intonti [http://senorbabylon.blogspot.it]