Cronaca

Un giornalista con il pregio dell'onestà. Intervista a Danilo Chirico

FORLI', 16 0TTOBRE 2012 - Danilo Chirico è un giornalista calabrese che vive a Roma. Coordina la redazione di Paese Sera ed è presidente dell’associazione daSud. Ha scritto, con Alessio Magro, “Dimenticati. Vittime della ‘Ndrangheta”, vincitore 2011 del Montanelli. La Calabria non ha avuto una classe dirigente degna di questo nome, quest’ultima è stata compiacente e complice della ‘Ndrangheta. Tutto ciò che è accaduto in Calabria ora sta accadendo al Nord, la criminalità organizzata si sta impossessando di pezzi interi della vita delle persone.

Quando e perché nasce l’interesse per la criminalità organizzata?[MORE]

Quando nasci e vivi in un posto in cui la criminalità organizzata ha un impatto così grande, così importante te ne devi occupare per forza, perché, vivendoci, provi a capire quali sono le dinamiche che regolano il funzionamento della tua vita. Ho iniziato a occuparmene dal 2004 - 2005, quando abbiamo dato vita all’associazione daSud. In realtà, facendo il giornalista dal 1998, ho cominciato ad occuparmi di cronaca nera e cronaca giudiziaria. Mi sono capitati degli omicidi, delle estorsioni, dei fatti di intimidazione e soprattutto processi che derivavano da storie di ‘Ndrangheta, per cui ho cominciato a studiare la criminalità organizzata. Me ne sono occupato sia come giornalista sia come cittadino, oltre come attivista di questa associazione a cui abbiamo dato vita nel 2005, quando ci siamo resi conto che ci mancava un pezzo fondamentale di conoscenza della nostra storia. Sapevamo che le nostre vite erano segnate dalla ’Ndrangheta, ma non ce ne rendevamo conto fino in fondo, abbiamo capito che dovevamo cominciare a comprendere quali fossero gli strumenti che la ’Ndrangheta utilizzava. Abbiamo deciso di dare vita all’associazione perché la ’Ndrangheta, nonostante fosse così importante nel nostro territorio, era una mafia che non veniva raccontata. Noi stessi che svolgiamo la professione giornalistica, scriviamo sì sui giornali, ma dovremmo anche leggerli. Il racconto era insufficiente, ecco che ci siamo messi a studiare e a raccontare.

Sei di Reggio Calabria, ma vivi a Roma. Nonostante questo, continui a scrivere di mafia e di Calabria, perché hai deciso di lasciare la tua terra?

Per varie ragioni. Credo che ognuno debba avere il diritto di vita che vuole. Per una persona che abita al Sud c’è anche l’opportunità di cambiare città, di andare a vedere quello che succede lontano dal proprio territorio, per me è un diritto. Io ho sempre avuto voglia di andare a vedere come funzionava il mondo in un altro posto ma, nonostante questo, ho sempre tentato di tornare, anche più di una volta. Ho anche lasciato dei posti di lavoro sicuri per fare esperienze in Calabria che poi non sono andate a buon fine. La vita mi ha portato a vivere fuori perché ho trovato un lavoro, dopo l’ultimo tentativo che ho fatto nel 2006. Ciò nonostante mi sono sempre occupato di Calabria, ho molto a cuore le sue sorti , continuo a scrivere e raccontare della mia terra perché penso di poter dare un contributo. La Calabria non la conosce nessuno, è sempre stata raccontata con pregiudizi. E’ un posto meraviglioso che ha tanti problemi, i quali sono stati raccontati con falsità, conflitti falsi, facendo battaglie che di fatto non lo erano. Noi abbiamo avuto la possibilità di incidere molto sulle dinamiche calabresi dal punto di vista dell’informazione e del racconto; abbiamo potuto coinvolgere tante persone che si sono misurate per la prima volta sul racconto delle mafie. E’ come se nella classe dirigente nazionale si fosse stipulato una sorta di patto tacito in cui la Calabria veniva data per persa, penso invece che dobbiamo tenerla agganciata con il resto del Paese, ma per far ciò è necessario che i calabresi se ne facciano carico e che il Paese si faccia carico dei calabresi raccontando la verità. Una verità che in tutti questi anni non è stata raccontata né dai giornalisti, né dalla classe politica che ha speculato, ha vinto e perso le elezioni utilizzando i mezzi peggiori. E’ necessario che ce ne facciamo carico soprattutto noi cittadini.

La Calabria viene considerata il cono d’ombra dell’informazione. Ancora adesso?

Sì, assolutamente si. E’ il motivo per cui è nata daSud, il motivo per cui abbiamo ritenuto recuperare pezzi dell’informazione e di diffonderli giornalisticamente grazie al contributo di artisti, scrittori, registi, musicisti, ecc che avevano provato a raccontare. L’ex procuratore della repubblica di Reggio Calabria Pignatone ha affermato che per molto tempo non è esistito un vero e proprio giornale. Anche quando le grandi emittenti, televisioni e giornali, si sono occupati della Calabria se ne sono occupati male. Bisogna scardinare pregiudizi e cattivi racconti. Ma, per farlo, è necessario che tutti quanti si facciano carico del racconto giusto, onesto e vero. Bisogna rompere il pregiudizio di chi ci racconta, essere noi in grado di raccontarci. Partendo dalla verità. Fino ad oggi, i calabresi hanno fatto finta che i problemi non esistessero. Dobbiamo rompere le certezze che ci sono state fino ad ora, fare un altro racconto. Ci hanno consegnato un giornalismo e un mondo di informazione in un Paese inadeguato, ricette poi rivelatesi fallimentari. Dobbiamo inventarci nuove ricette.

Cosa pensi della situazione politica calabrese?

Penso che non esista una classe degna di questo nome in Calabria, penso che la classe dirigente sia screditata dai fatti, penso che non esista un’idea di quello che deve essere il futuro dei nostri territorio e penso che, in maniera colpevole, la classe dirigente abbia creato le condizioni per cui un’intera generazione vada via. Tutte le volte in cui una persona se ne va perché costretta, non per scelta, è un danno che sta facendo al territorio; tutte le volte in cui le migliori menti se ne vanno si perde l’occasione di costruire qualcosa di buono in Calabria. I numeri dell'emigrazione sono spaventosi. Nessuno se n'è mai fatto carico.
Tutte le classi dirigenti di questi anni hanno questa responsabilità. Ci sono volte in cui pezzi interi della politica, dell’imprenditoria, di magistratura, di professioni sono collusi con la criminalità organizzata. La ’Ndrangheta ha la grande responsabilità, quella di tenere sotto controllo un’intera regione. Ciò non significa che i cittadini non abbiano una responsabilità perché andando a votare difendono questo status quo, ma devono assumersi le responsabilità perché altrimenti è troppo facile scaricare su altri la responsabilità del cambiamento, dicendo dei si e dei no.

Esiste ancora la libera informazione secondo te?

Esistono degli spazi di libera informazione. Oggi esistono tanti mezzi di informazione, i nuovi media rendono più difficile nascondere certe notizie. In Calabria sono stati passi in avanti. Una decina di anni fa in Calabria esisteva solo un quotidiano, siciliano, adesso esistono diverse testate. Bisogna fare un ulteriore passo sulla qualità di queste testate. Esiste una nuova generazione di giornalisti onesti e competenti, mentre altri hanno gli stessi difetti di anni fa, cioè sono servitori dei poteri. Le notizie calabresi replicano le guerre di potere che ci sono nella società. Tutte le volte che si verifica un cambiamento di fase, ci sono le bombe, gli omicidi, denunce, arresti. I mezzi di informazione scelgono una parte e si prestano a seguire questa parte. Questa per me non vera libertà di informazione. E un ragionamento andrebbe fatto sulla qualità e la trasparenza degli editori dei giornali, delle radio, delle tv.

La ’Ndrangheta è considerata la mafia più potente ma anche la meno conosciuta, perché?

Per diversi motivi. Per tanti anni non c’è stato un vero giornale calabrese, nessun giornale nazionale ha una redazione in Calabria, per molto tempo non è esistita una classe di artisti, intellettuali che si occupassero di criminalità organizzata. La Calabria ha sempre avuto una classe politica molto scadente. La ’Ndrangheta ha rifiutato di essere coinvolta nelle stragi perché non ha voluto alzare il livello di attenzione su di sé, ha agito indisturbata. La classe dirigente, invece di occuparsi dello sviluppo del territorio, del futuro, di un’idea politica, si è preoccupata di difendere il presunto buon nome della Calabria; il silenzio che c’è stato in tutti questi anni ha fatto sì che la ’Ndrangheta diventasse la mafia più potente. In Italia la 'ndrangheta sbagliano persino a pronunciarla, figuriamoci se possono capirla. Il silenzio che si è perpetrato con la complicità delle classi dirigenti calabresi e con l’apatia da parte dei calabresi ha determinato la sua forza. Ha aggredito e ucciso, ma lo Stato non ha saputo dare una soluzione. I morti ammazzati in Calabria non hanno un colpevole, le persone hanno perso fiducia e questo senso di abbandono ha permesso di diventare ciò che è diventata oggi. Quello che si è verificato in Calabria negli anni 80 ora sta succedendo al nord, le persone non capiscono e fanno finta di non capire che la ’Ndrangheta si sta prendendo pezzi interi della loro vita. Quando la situazione sarà insopportabile, non ci sarà più la possibilità di reagire.

Per combattere il silenzio e l’omertà?

Raccontare, raccontare, raccontare. Bisogna raccontare le cose per quelle che sono. La ’Ndrangheta è dentro lo Stato, ha i suoi chiaroscuri che devono essere capiti sino in fondo. E’ l’unico modo per sconfiggerla. Questa cosa si può fare soltanto se c’è una profonda conoscenza e consapevolezza.

Hai mai avuto paura?

Fare il giornalista o lavorare con un'associazione antimafia ha una componente di rischio. Quando si attua il comportamento di rottura nei confronti di una piccola realtà, la strategia è quella di non creare isolamento, fare dell’antimafia una cosa popolare. Con una dinamica collettiva, il pericolo si abbassa drasticamente. Quando si compie un passo un po’ più lungo degli altri, si capisce che nasce una situazione di pericolo che può affievolirsi e anche venir meno tutte le volte che si crea una situazione collettiva.

Hai scritto, con Alessio Magro, “Dimenticati. Vittime della ’Ndrangheta” per denunciare. Cosa ti ha spinto?

Abbiamo cominciato a occuparci di mafia e, ben presto, abbiamo capito che ci mancava un pezzo di conoscenza della nostra storia molto forte, abbiamo sentito come una sorta di ineguatezza personale. Ci siamo resi conto che le storie delle tanti vittime aumentavano in continuazione, queste storie dovevano essere raccontate perché facevano parte del nostro bagaglio culturale migliore di calabresi, mancava un salto di qualità come cittadini. Le vittime non hanno avuto giustizia nei tribunali ed sono stati dimenticati da tutti e ci sembrava corretto restituire un po’ di ricordo, di memoria, di verità e di giustizia. Nel nostro libro, le tante storie le raccontiamo per come le abbiamo capite e arriviamo ad attribuire dei colpevoli cercando di attribuire delle responsabilità, cosa che lo Stato non ha fatto. In alcuni casi le Carte per scoprire chi fossero i colpevoli sono state messe da parte, in altri casi gli Organi deputati non stati in grado di farlo. Adesso l'associazione daSud pubblica un fumetto in cui racconta la storia di Roberta Lanzino, la quale non è una vittima della mafia in senso stretto, ma di una violenza sessuale: è la storia di una ragazza diciannovenne che con il motorino voleva raggiungere la casa al mare, viene fermata, aggredita, violentata e uccisa. I colpevoli di questo omicidio non vengono trovati per vent'anni e più perché i carabinieri sbagliano le indagini, sbagliano persino a prendere le impronte digitali. E' solo un esempio, ma emerge l'inadeguatezza che in un periodo c'è stato dell'apparato repressivo. Per lungo tempo ci sono stati anche strumenti giuridici inadeguati. Poi c'era la contiguità tra mafia e istituzioni che poteva determinare le assoluzioni e gli insabbiamenti. O anche il fatto che problemi della Calabria non venissero considerati una priorità. Se si mettono insieme centinaia di storie che non hanno avuto verità e giustizia, che hanno creato sfiducia da parte della gente che poi si è dimentica, capisci che è un territorio devastato. Molta gente non trova soddisfazione delle sue esigenze basilari, è come se non esistesse uno stato di diritto. Se io mi rompo un braccio, vado in ospedale da un ortopedico. Se l’ortopedico mi cura vado da lui, altrimenti se non mi cura, io vado da chi mi può curare perché il mio braccio vale più di tutto. In Calabria, c’è questa dinamica, chi garantisce la possibilità di farsi curare? Spesso soltanto i boss. Per me nell'analisi del fenomeno bisogna tenere presente l'elemento del bisogno e del consenso. Le mafie hanno anche consenso sociale perché sono in grado di intervenire sui bisogni delle persone che spesso le istituzioni non sono in grado di soddisfare. Su questo circuito vizioso, oltre che sull'elemento della violenza e della paura, e sulla corruzione si gioca la partita.

Scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria. Cosa ne pensi?

Guardo con favore allo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria. Con favore perché emerge finalmente in maniera chiara e netta che esiste la contiguità tra le cosche e il sistema politico-istituzionale ed economico che ha governato Reggio Calabria negli ultimi anni. Mette in campo un elemento di chiarezza necessario. L'illusione del Modello Reggio non esiste più. E non deve esserci più spazio per la classe dirigente compiacente e complice che ha tenuto in piedi questo sistema fino, addirittura, a sottoscrivere un manifesto pubblico per difendere il presunto buon nome della città. Come se il problema non fosse invece la massiccia presenza dei clan nella vita pubblica (e spesso privata). Si tratta di uno strabismo sospetto e comunque da rigettare. E apprezzo invece il contromanifesto che, pure se a tratti ingenuo, ha detto una cosa chiara: quella presunta classe dirigente non ci rappresenta. E' colpevole del disastro che s'è consumato finora ai danni dei reggini e dei calabresi e deve farsi da parte. E non esistono soltanto le responsabilità penali: esistono anche quelle politiche. Di cui deve farsi carico l'attuale amministrazione commissariata e anche l'attuale governatore della Calabria. Invece di avventurarsi in difese senza argomenti veri rilanciando improbabili sentimenti di rivolta a difesa del brutto. Fare finta è stata la regola fino a oggi. Non si può più. Adesso lo scioglimento e il commissariamento rappresentano una grande occasione per liberare finalmente Reggio. Cittadine e cittadini devono farsene carico. E anche l'opposizione – troppo spesso silente o ammiccante – deve ricostruire una modalità di azione. Quella di oggi ha fallito. Serve uno scatto in avanti di tutti. Ciascuno deve fare la sua parte. In questa occasione straordinaria forse è necessario assumersi qualche responsabilità in più. Non c'è un'altra strada per i reggini.

Giulia Farneti