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Un funerale lungo 216 km: l'omaggio del Giro a Weilandt
LIVORNO, 10 maggio 2011 - Esattamente un anno fa, vinse la sua unica tappa al Giro d'Italia. Oggi, per un terribile scherzo del destino, hanno tagliato il traguardo tutti i suoi colleghi ciclisti, senza Wouter Weilandt.
Un lunghissimo funerale nella tappa che doveva celebrare i 150 anni dell'Unità Nazionale, da Quarto dei Mille a Livorno, ha onorato la memoria di questo povero ragazzo, caduto ieri in discesa e deceduto sul colpo, come ha chiarito l'autopsia.
“Andate avanti, lui avrebbe voluto così” dice il papà del corridore belga, a breve nonno di un bimbo che la moglie di Wouter porterà alla luce a settembre: Fabio Casartelli morì nel 1995 senza poter vedere suo figlio. Coincidenze, terribili coincidenze.[MORE]
Trecentosessantacinque giorni fa, Weilandt alzava le braccia verso quel cielo che da ieri lo accoglie; oggi i suoi compagni di squadra si sono stretti per mano e – insieme – hanno pedalato fino alla fine, con il gruppo leggermente distante: un modo nobilissimo per salutarlo, umanamente.
Il ciclismo resta lo sport della gente che si esalta per le imprese dei campioni ma capisce i drammi, li fa propri e si accalca a bordo strada sotto il sole cocente per applaudire i ciclisti, per applaudire Weilandt. Non c'era battaglia, non c'era competizione, eppure tantissimi hanno voluto partecipare a questo immenso funerale laico, battendo le mani al passaggio dei corridori.
Duecentosedici chilometri pieni di facce, di volti, di bandiere, di bigliettini con su scritto “centootto” come il numero del povero ragazzo.
Spesso si butta fango sul ciclismo perchè spesso i ciclisti se la vanno a cercare ed è forse giusto dargli addosso; nonostante tutto resta lo sport più umano, nel senso cristiano del termine.
Non ci sono barriere tra pubblico e atleti, c'è la bicicletta e la strada. E un uomo a pedalare.
Non paghi un prezzo per metterti sul Gavia o sul Mortirolo: vai con il camper dalle 6 di mattina per una partita che ti dura – a voler esagerare – mezzora. C'è bisogno di aggiungere altro? No.
Un corridore, Tyler Farrar, è il miglior amico di Wouter ma corre in un'altra squadra. Oggi c'era anche lui, con i “legittimi” compagni di pedale di Weylandt: gli occhiali scuri non hanno impedito alle lacrime mosse dal vento di varcare le guance e cadere per terra.
Si sono abbracciati tutti mentre Tyler quasi voleva starsene da solo nel suo dolore. Lo han preso dalla schiena e condotto fin sotto al traguardo. C'è bisogno di aggiungere altro? No.
Tyler Farrar domani se ne tornerà a casa, abbandonando la corsa: vivevano nella stessa città, si allenavano insieme.
“...Grandi corridori di corse in salita che alzavano la testa dal manubrio per vedere se fosse finita,
allenati alla corsa allenati alla gara e preparati a cadere e a tutto quello che s'impara...”. Dice così Ivano Fossati, in un verso della sua “Naviganti”.
Non c'è differenza tra una strada e un oceano: che si pedalino o si navighino, sempre un uomo deve condurre la nave. O la bicicletta.
[foto da ansa.it]
Francesco Corallo