U(MA)NITÀ A DUE: alla scoperta del volto della vera umanità
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LAMEZIA TERME, 27 FEBBRAIO 2015 – L’adolescenza è una fase delicata per la vita dei giovani. Ci si chiede chi si è, cosa si farà da adulti, quale sarà la vita. Si immaginano le più svariate prospettive che assumono vesti e forme diverse anche in base ai modelli proposti dalla società in cui vivono e dai contesti culturali che assiduamente frequentano. Per meglio capire e approfondire i temi dell’identità dell’uomo, del genere e dell’essere donna o uomo in questo tempo abbiamo posto alcune domande alla prof.ssa Miriam Rocca, docente di Filosofia nelle scuole secondarie superiori di II grado, che li ha affrontati nella sua ultima trattazione filosofica: U(ma)nità a due. [MORE]
L’uomo è un mistero complesso; fatto di anima, di corpo, di spirito e, ciò nonostante, non può considerarsi la somma di più parti messe insieme. Non ve n’è uno uguale a un altro. Ancor più in rapporto alla femminilità. Uomo e donna non sono uguali bensì complementari. L’uno ontologicamente necessario all’altro per esser vita e dare vita. Perché è così difficile oggi considerare questa diversità sostanziale come ricchezza da riscoprire e valorizzare?
La ricerca filosofica scaturita nel libro ‘U(ma)nità a due’ è di chiara matrice aristotelica, in tal senso nella parte introduttiva del testo, riprendendo l’uomo come ‘sinolo’, ossia unità inscindibile di materia e forma (ciò che in termini religiosi tradurremmo come corpo e anima), ho voluto approfondire le posizioni tomiste sulle due dimensioni umane: corporale e spirituale, sviluppando in particolare la frase di San Tommaso “anima forma corporis” (anima forma del corpo). Ossia ho cercato di capire come l’anima, che è essenza spirituale, palesi se stessa nella corporeità. La chiave di volta di questo excursus è stata la frase di Edith Stein secondo cui “se l’anima è la forma del corpo, ad un corpo maschile corrisponderà un’anima maschile e ad un corpo femminile un’anima femminile”. Sessuando l’anima, la santa filosofa, mi ha permesso di superare la visione parziale di uomo e donna come identici nella loro umanità, per soffermarmi invece sulla loro differenza sessuale. Dire infatti che uomo e donna sono uguali in quanto persone, significa soffocarne ogni differenza nella genericità della parola ‘umano’. In realtà la sessualità, nell’essere-uomo come nell’essere-donna, si traduce in un modo differente di rapportarsi ‘al tutto’. Nelle relazioni amicali, negli affetti familiari, negli ambienti lavorativi, politici, culturali e sociali in genere. Ciascuno ha un proprio ethos, una sorta di vocazione determinata anche dal proprio genere sessuale.
Uomo e donna dunque hanno bisogno l’uno dell’altra proprio perché diversi. La differenza quindi non deve essere letta come divergenza ma come complementarietà. Per cui una società che privilegi un sesso a danno dell’altro, non fa che privarsi di quel contributo specifico che appartiene solo ed esclusivamente all’altro genere, si condanna da se stessa a godere di prospettive sempre e solo parziali.
La donna, pertanto, non è un accidente bensì un valido aiuto all’uomo. Non è un oggetto ma un altro da sé con cui mettersi a confronto in modo speculare. Perché, a suo avviso, è difficoltoso proporre e promuovere questa visione dell’universo femminile nella quotidianità del nostro tempo in cui, invece, sembra siano sempre più ricorrenti femminicidi e violenze domestiche?
L’uomo di oggi è un uomo che vive un profondo disagio esistenziale, è senza identità, non sa più chi è. La società odierna ne considera la sola dimensione materiale, finendo con l’identificare ‘essere’ e ‘avere’. Per cui se da una parte si valorizza l’uomo-sponsor, l’uomo prodotto del marketing e della finanza; dall’altra si crea l’anti-eroe: l’uomo della crisi economica, il disoccupato, lo sfruttato, il lavoratore che non arriva alla fine del mese, l’uomo il cui valore esistenziale è inversamente proporzionale alle cartelle esattoriali da pagare. Si sta perdendo la dimensione interiore, spirituale… si è solo materia, non più forma, essenza, anima. Vivendo unicamente la dimensione corporea, l‘uomo annichilisce l’anima. Il suo stesso rapporto col femminile si limita alla dimensione corporea, per cui la donna viene denudata della sua stessa personalità, giudicata per il suo aspetto fisico più che per le sue capacità e conoscenze. Non è un caso che quelle donne che riescono ad occupare posti ai vertici di società, aziende ed istituzioni tendano a rinunciare al loro aspetto femminile per assumerne uno più mascolino, nel taglio dei capelli o nello stesso vestiario. La visione materialistica dominante, fa sì che l’uomo guardi al femminile come solo corpo. Ma un corpo senza anima è pari ad un oggetto, e un oggetto lo si usa, e quando non serve più lo si getta o lo si rompe. Così sono i rapporti sociali, amicali e affettivi. In chiave aristotelica la parola accidente ha il significato di ciò che accompagna, per cui per sua natura è mutabile, contingente: un paio di scarpe è un accidente, un vestito è un accidente, ma la donna non è un accidente non la si può cambiare come si cambia un paio di scarpe. Se l’uomo cogliesse la donna come sostanza ontologicamente predisposta al suo completamento, non ci sarebbero più né femminicidi, né violenze domestiche, poiché capirebbe che far del male alla sua controparte femminile significherebbe far del male a se stesso.
Oggi si discute molto di problematiche afferenti l’identità di genere, di teoria del gender. Vi è grande confusione, in particolare tra gli adolescenti che devono ancora capire bene chi sono. Si parla di “dover decidere cosa e chi essere” e non “di scoprire chi e cosa si è”. Come affronta questo aspetto sociale e culturale della modernità nel suo lavoro filosofico?
Quella del gender è una teoria spaventosamente attuale, come ho già detto, l’uomo di oggi sta perdendo se stesso, non ha più identità, ha separato da sé la sua ‘essenza’. Considerandosi esclusivamente corpo si illude di poter essere ciò che vuole, agendo su se stesso con interventi chirurgici, terapie ormonali, protesi e quant’altro. Ma poi, una volta cambiato il suo aspetto fisico, riesce veramente ad essere felice? Il rischio del gender è pensare che la sessualità sia frutto dell’educazione che si riceve, della cultura e dell’ambiente in cui si vive. Negando che essa sia una struttura intrinseca alla persona, assurge a scelta personale, per cui ognuno è autorizzato a vivere il proprio genere sessuale come gli piace. Si sta distruggendo l’individuo. Il rischio? Creare individui che non hanno la consapevolezza di ciò che sono, dare ai giovani messaggi fuorvianti, che non l’aiutino a scoprire il proprio essere, a scoprire la missione che è inscritta nel loro stesso genere sessuale, perché come dirà Edith Stein, citazione che riporto anche nel libro: “C’è sempre una ragione nell’essere come si è”.
Nel mio lavoro dunque i pro e contro del gender, ovviamente è maggiormente esplicata la difesa della posizione tomistica anche perché più vicina al mio credo religioso, ma i riferimenti alla Genesi o al Catechismo della Chiesa Cattolica non sono mai scontati, anzi danno il fondamento teologico necessario per avere una visione a 360° gradi del problema. È uno studio, dunque, che non vuole avere altre pretese, se non quella di dare una ragione quanto più possibile credibile del genere sessuale, con un approdo a quella che chiamo ‘filosofia della complementarietà.
La differenza di genere, quindi, non è soltanto un aspetto prettamente biologico ma profondo, sostanziale della persona umana. Come si può pensare di condurre i giovani alla piena accoglienza e alla valorizzazione della loro vera essenza?
Il mondo adulto ha grandi responsabilità nei confronti dei giovani, deve dare dei punti fermi, dei riferimenti non solo culturali ma anche morali per tutelarli nella loro crescita. La fragilità di questa età li espone a scelte sbagliate, spesso determinanti per il loro avvenire. Invece, noto con allarmismo che la società di oggi, in maniera subdola, veicola l’informazione con messaggi che sono mine antiuomo. Far credere che si possa cambiare la propria sessualità come si cambia la residenza su una carta di identità, che sia tutto lecito, anche chi amare e come amare è qualcosa di irreale, utopistico. L’uomo si sta, in verità, spogliando della sua stessa umanità.
Simona Barberio