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Tutti pazzi per il corto Alike, i registi ce lo raccontano: "vinto il Goya, ma noti grazie al web"
Il cammino di Alike, ispiratissimo corto di Daniel Martínez Lara e Rafa Cano Méndez, è transitato dagli innumerevoli festival cinematografici, all’assegnazione del Premio Goya quale miglior corto, alla vagonata di like – non appena reso disponibile su Internet, s’intende. Anche in modalità "mordi e fuggi", sui social network, Alike è probabilmente riuscito ad emozionare lo spettatore distratto e a far riflettere l’utente compulsivo. L’ovvia conseguenza: è stato pluri-condiviso su bacheche e siti. Ma non bastava: volevamo condividere con i registi del corto il percorso di realizzazione di un’opera, come da titolo, con pochi eguali. Per farlo abbiamo raccolto dalle loro vive voci – in spagnolo – il racconto di un’esperienza artistica ricca di stimoli. E soprattutto, capace di parlare un linguaggio universale.
ANTONIO MAIORINO: Come è nata l’idea di realizzare Alike e come si è formata la squadra?
DANIEL E RAFA: L’idea originale nasce da Dani. Voleva un nuovo corto di animazione con Copi (il personaggio protagonista del suo precedente cortometraggio Changes), stavolta centrando la storia sulla relazione padre-figlio. Voleva dar forma alla sua esperienza di padre. Sin dall’inizio Dani mi ha proposto di lavorare con lui (Rafa) per sviluppare l’apparato artistico, la sceneggiatura e l’animazione. E abbiamo finito per dirigere Alike insieme.
Dopo un anno di sviluppo della sceneggiatura con diverse versioni della storia, abbiamo proposto ad un gruppo di ex allievi della scuola di animazione di Dani – la PepeSchoolLand – di collaborare alla produzione del cortometraggio. All’inizio eravamo in 10 per la pre-produzione del corto. Mentre lavoravamo al miglioramento della sceneggiatura, abbiamo sviluppato alcune prove di animazione. Questo ci ha aiutato a preparare i personaggi e a far sì che il team recepisse lo stile che cercavamo per il cortometraggio. Questa fase ci ha preso un anno di lavoro fino all’avvio della produzione, che poi ci ha preso altri tre anni. In questo lasso di tempo varie persone si sono avvicendate per portare a termine la produzione. In totale siamo stati in 15 durante 5 anni di lavoro intenso.
A.M: nella sinossi ufficiale del corto, si legge che Alike è la storia di un padre che cerca d’insegnare il giusto cammino al figlio. Vi faccio la stessa domanda con cui si chiude la sinossi: "che cos’è il giusto?"
D. & R: Uno dei grandi problemi che ci siamo posti nello sviluppare la sceneggiatura di Alike era che non volevamo indottrinare nessuno con il messaggio. Ognuno ha la propria forma di vedere e capire il mondo, e quello che cercavamo nel cortometraggio era una riflessione su quello che ci sembrava importante, ma mai per dire “bisogna educare così”. Discutevamo su ciò che era corretto e vedevamo che già tra di noi c’erano differenze su come avevamo vissuto la nostra infanzia, la nostra educazione e le nostre relazioni con gli altri. Alla fine, quello che realmente conta non è la forma in cui educhi tu figlio, bensì restare connesso a lui e capirne le necessità. Le riunioni di sceneggiatura sono state molto produttive perchè, oltre a lavorare alla storia, ci servivano da “terapia” portandoci a conoscerci molto meglio. [MORE]
A.M: quanto sono importanti i colori in Alike per tasmettere il senso e le sensazioni?
D. & R: l’uso del colore nel cortometraggio è stato molto importante ed allo stesso tempo complesso. Lo stile visivo di Alike è semplice, ma riuscire ad esprimersi con poco ha finito per essere un rompicapo.
Se analizziamo l’uso del colore nella fotografia del corto, a prima vista i personaggi non protagonisti e la città sono grigi, ed i protagonisti hanno colore (azzurro il padre, giallo il figlio, l’isola con l’albero è a colori ed il violinista è viola). Ma se facciamo ben attenzione, il grigio puro non esiste nel cortometraggio, la città ha colori pastello e man mano che si allontanano gli edifici si vanno raffreddando i toni dell’azzurro. Questo perchè il grigio puro “sporcava” l’immagine, sembrava che i contorni fossero scarni e fossero poco rifiniti. Abbiamo dovuto giocare col contrasto di colore affinchè il contesto, la città in senso psicologico ed i personaggi dessero la sensazione di tristezza sembrando grigi rispetto all’azzuro del padre e al giallo del bambino. Raggiungere l’equilibrio di immagini belle ma che trasmettessero ciò che volevamo ha costituito una delle sfide più importanti a livello artistico.
A.M: fare un cortometraggio muto vuol dire, di conseguenza, ispirarsi ai modelli del cinema muto? C'è una poesia quasi chapliniana in Alike. Ed a proposito, la musica di Oscar Araujo è di grande effetto...
D. & R: abbiamo gusti simili in fatto di cinema, e ci siamo mossi verso una realizzazione abbastanza classica. Uno dei nostri riferimenti è stato il lavoro del regista Chuck Jones, che con i suoi corti di animazione per la Warner riusciva a costruire personaggi molto complessi dalle apparenze molto semplici. Più che concentrarci sul cinema muto, cercavamo riferimenti in attori come Jack Lemmon o Walter Matthau, che anche se non appartengono all’epoca del cinema muto, facevano un lavoro spettacolare con espressioni del visto e del corpo, usando movimenti molto limpidi e diretti.
Lavorare con Oscar è stato uno spasso, non solo per la sua bravura da musicista, ma anche perché in ogni momento era pronto ad intenderci. Ci abbiamo messo un anno ad ottenere la musica finale di Alike e sappiamo che Oscar ha avuto molta pazienza con noi, visto che non smettevamo di fare correzioni della musica, non tanto melodiche quanto narrative. Per noi era molto importante che la musica fosse un personaggio aggiunto e non una melodia che accompagnasse o descrivesse quello che lo spettatore vede: doveva potenziare ciò che lo spettatore sente in ogni scena.
A.M: dal punto di vista tecnico, perchè avete scelto il software open source Blender ed in che modo è stato utile per il vostro progetto artistico?
D & R: la filosofia Open Source è qualcosa che attrae molto Dani. Da diversi anni aveva incluso nella propria scuola l’apprendimento del programma Blender per modellare ed animare (insieme al Maya che già c’era dall’inizio). Così ci è sembrato interessante realizzare il corto con Blender per poterne esplorare le possibilità e verificare che fosse adatto per la produzione o che avesse limiti. La nostra esperienza con Blender è stata molto positiva. La comunità che c’è dietro il programma e gli sviluppatori è molto ricettiva nell’apportare cambi e miglioramenti. Strumenti come lo “sculpt” per animare e migliorare le pose, così come Cycles per il rendering sono stati molto importanti nello sviluppo del progetto. Poter avere nello stesso programma strumenti di modelling, animazione, illuminazione, video editing e quant’altro, ha snellito molto la produzione.
Dopo Alike, Daniel sta lavorando con vari programmatori nello sviluppo di strumenti di Blender per facilitare il lavoro dell’animatore.
A.M: dopo la buona accoglienza in molti festival, Alike è stato reso disponibile online. Ritenete che Internet sia il principale mezzo di difussione per i cortometraggi? E perchè non la sala cinematografica?
D. & R: per noi Internet è il mezzo di diffusione che può far arrivare il nostro lavoro a più persone. Ci sono molte piattaforme specifiche di cinema e cortometraggi (a pagamento o gratuite) e poi piattaforme come Youtube, Vimeo e i social network. Nel nostro caso abbiamo avuto grande diffusione nei blog e nei social specializzati in educazione e psicologia. Piattaforme che non vengono solitamente pensate per la diffusione di un corto di animazione, ma in cui, in ragione della tematica, abbiamo avuto una grande accoglienza e migliaia di visualizzazioni. Il vantaggio di Internet è che può arrivare a molte persone indipendentemente dal loro gusto o profilo. Lo svantaggio è che vedere un corto di più di tre minuti su smartphone, tablet o pc non significa vederlo nel miglior contesto. Molte volte si consuma materiale rapidamente in piccoli frammenti di tempo o mentre si chatta con altre persone. Vale a dire, non si genera quello spazio di riflessione e concentrazione che richiede questo tipo di corto.
A.M: i festival sono un buon mezzo di diffusione della propria opera. Consentono di generare il miglior contesto per fruire dei cortometraggi nella miglior maniera possibile. Attrae gente al cinema o nei teatri per proiettare selezioni di corti. Il circuito dei festival è molto importante per un corto.
D. & R: per quanto riguarda le sale commerciali, ci piacerebbe che prima di una pellicola si potessero proiettare dei corti. La domanda che facciamo sempre è quale rendimento economico si possa trarre da un corto. È chiaro che la risposta più semplice è per diffondere la cultura e promuovere nuovi talenti, al tempo stesso potenziando il valore del cortometraggio presso lo spettatore. Questo ci porterebbe a dover definire cosa si considera cultura e che tipo di opere meritano di essere promosse.
A.M: il successo di Alike è stato coronato dalla vittoria del Goya. Giudizio dell'Accademia a parte, qual è stato il commento che vi ha maggiormente colpito o entusiasmato?
D. & R: è curioso, ma i commenti più belli sono arrivati dopo la pubblicazione del corto su internet. Certo, nel primo anno di distribuzione nei festival abbiamo ricevuto una grande accoglienza ed hanno parlato molto bene del nostro lavoro, ma quando abbiamo vinto il Goya molta poca gente aveva visto il corto, per cui si limitavano ad informarsi della nostra vittoria ed a congratularsi, senza sapere molto bene perchè fossimo riusciti a vincere, considerando che non avevano avuto possibilità di vederlo.
Dopo alcune settimane su Internet abbiamo ricevuto molti messaggi, di cui alcuni ci raccontavano storie personali molto belle e come li avesse fatti sentire Alike. Trovare il corto nelle reti educative di molti Paesi e scoprire che molti professori lo stavano proiettando in classe è ciò che ci sta entusiasmando di più. Significa che abbiamo lavorato 5 anni per un messaggio che la gente vuole trasmettere, nelle scuole e nella vita. Per noi è qualcosa che dà molto valore al nostro lavoro e che ci riempie d’orgoglio.
Il corto completo:
(in copertina: dettaglio immagine promozionale di Alike; all'interno, fotogramma del corto)
Antonio Maiorino