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Tribunale dell'Aja condanna caschi blu olandesi per il massacro di Srebrenica

 L'AJA 17 LUGLIO 2014- IL 13 luglio 1995 nei Balcani infuriava una guerra civile che avrebbe lasciato sul terreno centinaia di migliaia di vittime. La pulizia etnica era all’ordine del giorno e si sostituiva al desiderio di libertà sacrosanto per ogni popolo. Quel tragico giorno a Srebrenica si compì il più atroce dei crimini.[MORE] 

Trecento uomini, bosniaci di fede musulmana, furono trucidate dalle truppe del generale Mladic, condannato anni dopo dal Tribunale Internazionale dell’Aja. Il tutto avvenne sotto gli occhi dei caschi blu dell’ONU, precisamente sotto gli occhi del contingente olandese in missione in quelle lande insanguinate. A quasi vent’anni da quei tragici fatti, un tribunale al quale si sono rivolti i parenti delle vittime ha condannato anche i caschi blu olandesi che non fecero il proprio dovere.
Per di più, l'Olanda viene considerata complice in quei tragici fatti. Effettivamente il compito dei militari era quello di proteggere i 300 uomini che si erano rifugiati nella base ONU per campare alle milizie serbo-bosniache che aveva assediato la città e che stavano compiendo massacri per le strade. I militari invece li fecero uscire, consegnandoli nelle mani dei loro aguzzini. Per tale motivo, il tribunale ha ritenuto lo stato olandese civilmente responsabile per la morte di quegli uomini.
secondo la sentenza, lo stato olandese è responsabile per le perdite subite dai parenti degli uomini deportati dai serbo-bosniaci dal compound del battaglione olandese Dutchbat a Potocari (periferia di Srebrenica) nel pomeriggio del 13 luglio 1995.
Quel 13 luglio non sarà mai dimenticato dai bosniaci. Srebrenica è l’Auschwitz dei Bosniaci. Quel giorno l'enclave musulmana di Srebrenica, sotto protezione Onu, cadde nelle mani del generale Ratko Mladic e delle sue truppe. Subito si era dato inizio alla mattanza. Ottomila bosniaci musulmani di sesso maschile, adulti e ragazzi, furono uccisi e gettati in fosse comuni.
oggettivamente i caschi blu olandesi, e non solo loro, erano in numero inferiore e male equipaggiati. Evidentemente si era sottovalutata la situazione e le regole d’ingaggio non consentivano l’esposizione delle truppe ONU. Si faceva quel che si poteva, in primis cercando di salvare la propria vita. I militari olandesi si erano rinchiusi nella propria base alla periferia della città insieme a altri cinquemila musulmani dei villaggi vicini. Le truppe di Mladic rastrellarono i 300 uomini e gli olandesi non opposero resistenza. Questi, insieme agli altri ottomila, finì nelle fosse comuni.
Il giudice Larissa Elwin, nel dispositivo di sentenza, scrive che gli olandesi non avrebbero dovuto lasciare uscire quegli uomini. Facendoli restare, si sarebbero salvati. Facile a scriverlo oggi. Il rischio che anche gli olandesi finissero nelle fosse comuni era concreto. Il vero responsabile è chi li mandò in numero insufficiente e male equipaggiati in zona di guerra.

Soddisfazione ma anche lacrime hanno accolto il verdetto. Molte madri delle vittime non accettano l’assoluzione dei caschi blu olandesi che non fecero entrare nella base quanti cercavano rifugio. Sostengono che il compound fosse abbastanza grande da poter accogliere tutti coloro che volevano entrare.
I legali dello Stato non hanno commentato. Si riapre una ferita che da quasi 20 anni tormenta gli olandesi. I giudici olandesi stabilirono che i famigliari delle vittime non potessero avviare cause legali contro l’ONU, perché questa gode d’immunità internazionale, strumento indispensabile nelle operazioni di peace keeping in giro per il mondo.
Wim Kok, ex premier olandese, nel 2002 si dimise quando venne fuori un rapporto che accusava lo stato olandese di aver mandato in Bosnia soldati impreparati e male equipaggiati.

Giovanni Dimita