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Trattato di Maastricht, 20 anni di vita tra luci e (soprattutto) ombre

MILANO, 07 FEBBRAIO 2012- Era il 7 febbraio 1992 quando, gli allora 12 Stati membri (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna) della Comunità economica europea siglarono il Trattato di Maastricht (composto da 252 articoli nuovi, 17 protocolli e 31 dichiarazioni), entrato poi in vigore il primo novembre nel 1993. Venti anni che non hanno fatto altro che evidenziare tutti i punti d'ombra di quello che, nell'intenzioni degl'ideatori, sarebbe dovuto essere il "pilastro dell'euro", ma che ha finito per dimostrare tutta la sua ineguatezza nei confronti di un progetto così ambizioso, quale quello dell'Unione monetaria.

Il Trattato di Maastricht esprimeva il desiderio di procedere verso un’unione politica piu' forte, concentrandosi, in particolar modo, sul percorso da seguire per arrivare alla moneta unica, il 10 gennaio 1999 con una Banca Centrale Europea. Tracciava l'architettura dell'Unione europea edificata sui tre pilastri del progetto Santer: la politica comunitaria, la politica estera e di sicurezza e la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni. Una struttura anomala che, con il passare del tempo, si è rivelata essere claudicante, al punto tale da rendere necessario un restyling. [MORE]

Ed è così che, per cercare di rafforzare il pilastro della politica estera e quello della giustizia, quattro anni fa si è proceduto all'introduzione del Trattato di Lisbona, creando una politica estera comune e procedendo nella costituzione di un' Europa della giustizia. Tuttavia, a mio modesto parere, il suddetto Trattato comunque non è stato molto incisivo. Infatti, pur avendo previsto il voto a maggioranza qualificata anche in settori politici, su specifica richiesta del Consiglio europeo, questo può essere neutralizzato ritornando all’unanimità, in caso di opposizione di uno degli Stati membri che avanzi vitali ed espliciti motivi di interesse nazionale. Inoltre l’unanimità è esplicitamente riconfermata come regola generale per le decisioni in materia di politica estera e di sicurezza. Ciò significa che in futuro si potrebbero verificare di nuovo divisioni paralizzanti, perché come ha scritto Servan-Schreiber: «La regola dell’unanimità è la tecnica del rifiuto. La regola della maggioranza è una tecnica d’azione»[1].

Tuttavia, se su questo fronte si è cercato di fare qualcosa, solo con l'incalzare della crisi economica e dei rischi del debito sovrano di alcuni degli Stati membrei, si è preso coscienza delle consenguenze dovute alla mancanza di una politica economica e di bilancio unica. Ciò ha fatto correre ai ripari (sperando che non sia già troppo tardi), definendo un nuovo Trattato, che si candida quale sostituto di quello di Maastricht, ovvero il 'fiscal compact' o Patto di bilancio, approvato lo scorso 2 febbraio da 25 dei 27 paesi dell'Unione (mancano Gran Bretagna e Repubblica Ceca) e che dovrà essere ora ratificato dai vari parlamenti nazionali.

Con esso, i paesi firmatari mirano a colmare le lacune di un accordo nato monco, in quanto fissava vincoli economici comuni senza preoccuparsi di coordinare le politiche economiche. Come ha spiegato uno dei protagonisti della moneta unica, Jacques Delors, "Un errore che ha reso inevitabile l'attuale crisi dei debiti".

In particolare, se parallelamente all'ingresso dell'euro, si fosse realizzata anche l'unione di bilancio, l'euro avrebbe avuto una maggiore solidità e, forse, adesso lo scenario sarebbe meno critico, con l'Eurozona che rischia, a detta di alcuni esperti, di implodere. La mancanza di coraggio dei Paesi membri di fare scelte che avrebbero potuto intaccare completamente la loro sovranità di Stato, ha fatto sì che si preferisse lasciare al solo Patto di stabilità e di crescita il compito di vigilare sul rigore degli stati. Patto che, addirittura, venne riformato nel 2003, soprattutto per volere dell'asse franco-tedesco, all'epoca rea di presentare deficit eccessivi.

Adesso, che la Grecia è ad un passo dal default, si cerca di arginare la situazione con i il Patto di Bilancio, il quale dovrà costruire l'unione fiscale. Questo si poggia su due regole: la prima (golden rule) fissa il divieto per il deficit strutturale di superare lo 0,5 per cento del Pil nel corso di un ciclo economico, la la seconda prevede un percorso di riduzione del debito pubblico in rapporto al Pil: dovrà scendere ogni anno di 1/20 della distanza tra il suo livello effettivo e la soglia del 60 per cento.

Vedremo se tutto ciò consentirà all'Ue di superare il suo annus horribilis.

(Fonti: Ansa, Il Sole 24 Ore, [1]- Rosy Merola, Rivista di studi politici internazionali, RSPI - N° 299, 3/2008, pp. 461-463. Fotogramma: icbernareggio.it)

Rosy Merola