Tiroide: nuove tecniche diagnostiche riducono il ricorso alla chirurgia
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ROMA, 25 SETTEMBRE 2013 – Riceviamo e pubblichiamo. “Stiamo osservando un incremento delle malattie della tiroide: è un trend che vedrà, nei prossimi 20 anni, aumentare ulteriormente questi disturbi, che già oggi colpiscono oltre il 10% della popolazione femminile.
Le malattie più frequenti sono la tiroidite di Hashimoto, una patologia autoimmune che può progressivamente indurre l’ipotiroidismo, i noduli e i tumori alla tiroide che, grazie alla diagnosi precoce, vengono guariti nella maggioranza dei casi, afferma Enrico Papini, Responsabile scientifico Associazione Medici Endocrinologi (AME) e Direttore UOC Endocrinologia e Malattie Metaboliche dell’Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale. L’incremento di tali patologie è attribuibile sia all’inquinamento ambientale che a situazioni locali, come le radiazioni vulcaniche o la carenza iodica che caratterizza alcune aree del nostro territorio”.
L’accurata messa a punto dei temi più rilevanti e controversi della patologia tiroidea è l’obiettivo del Workshop ‘Thyroid UpToDate 2013 - Patologia tiroidea fra certezze e zone grigie’ che si terrà ad Ariccia (Roma) il 27 e il 28 settembre p.v. e al quale parteciperanno numerosi esperti italiani e internazionali. “Patologie così ‘comuni’ consentono, attraverso la revisione di ampie casistiche, l’ottimizzazione periodica delle pratiche mediche, prosegue Papini. I noduli della tiroide sono molto frequenti nella popolazione italiana e giungono ad interessare il 30-50% nelle donne in età fertile”.
L’uso combinato dell’ecografia e dell’esame citologico con ago sottile ha consentito di individuare le lesioni a rischio di malignità e di ridurre il numero degli interventi di tiroidectomia a scopo “diagnostico-precauzionale”. Tuttavia, le casistiche chirurgiche dimostrano che la maggioranza degli interventi di asportazione della tiroide è tuttora eseguito su casi che si rivelano benigni. Questo dato fa riflettere sull’opportunità di evitare ai pazienti interventi non necessari, e le conseguenze potenzialmente sfavorevoli che talora ne derivano.
L’obiettivo è quindi limitare gli interventi chirurgici, quando il nodulo alla tiroide è benigno, ai soli pazienti che presentino ipertiroidismo o sintomi compressivi non altrimenti gestibili. Allo scopo sono state recentemente impiegate varie tecniche mini-invasive, eseguibili senza ricovero né necessità di anestesia generale. Ciò consente di mantenere, anche se parzialmente, la funzione della tiroide evitando i costi sociali e sanitari della chirurgia e la necessità di una terapia sostitutiva per tutta la vita.
“Per questi motivi, un gruppo di lavoro formato dalle Società Italiane di Endocrinologia e dalla Società Italiana di Anatomia Patologica, spiega Papini, ha messo a punto una classificazione diagnostica più precisa. Vengono inoltre proposte tecniche bioptiche che, sotto guida ecografica, consentono di ottenere piccoli campioni di tessuto tiroideo (e non semplici cellule come avviene con il tradizionale agoaspirato) che permettono una più affidabile determinazione dei marcatori tumorali eliminando, anche se non del tutto, le “aree grigie” dell’agoaspirato”.
Il convegno tratterà anche dei più recenti aggiornamenti nella terapia dell’ipotiroidismo, sia dopo tiroidectomia, sia nei casi di tiroidite di Hashimoto. La terapia, che utilizza prevalentemente (ma non solo) la levotiroxina, deve essere seguita per tutta la vita e impone semplici ma precise regole per essere effettuata correttamente. Purtroppo, in alcuni casi, l’assorbimento del farmaco può non essere ottimale, per problemi digestivi o per il contemporaneo uso di altre medicine, e per tutti è necessario non assumere cibo, per almeno 30 minuti, dopo l’assunzione della levotiroxina.
Alcune persone, infine, non riescono a riacquistare un completo benessere anche dopo la normalizzazione delle loro analisi di laboratorio. Alcuni recenti contributi nel campo della farmacologia consentono ora di ricorrere ad un ventaglio più articolato di soluzioni terapeutiche e di soddisfare, almeno in parte, le esigenze finora irrisolte, ad esempio con l’impiego dell’ormone tiroideo in soluzione liquida che può garantire un migliore assorbimento del principio attivo.
I tumori della tiroide sono, in genere, dotati di moderata aggressività e l’atto chirurgico seguito dalla eventuale ablazione dei residui con radioiodio è nella maggioranza dei casi definitivamente curativo. In alcuni casi, purtroppo, hanno luogo recidive della malattia tumorale, soprattutto a livello dei linfonodi del collo. Varie armi sono a disposizione per gestirle: chirurgia, medicina nucleare e, molto recentemente, tecniche ablative mini-invasive e farmaci anti-tumorali.
E’ necessaria una precisa messa a fuoco delle indicazioni e dei limiti delle varie metodiche disponibili (soprattutto delle più recenti) e di come esse possano essere utilizzate, in successione o in modo combinato, per raggiungere la massima efficacia con il minimo rischio per il paziente.
Un’altra malattia della tiroide è l’ipertiroidismo che determina una profonda alterazione della qualità della vita ed è una condizione che può influenzare sfavorevolmente patologie coesistenti, soprattutto negli anziani e nei cardiopatici. Tuttora in Italia alcuni pazienti vengono trattati con terapia medica per periodi assai lunghi, senza ricorrere a una soluzione definitiva di questo problema.
La terapia con radioiodio può svolgere con sicurezza ed efficacia il ruolo di terapia definitiva ma è spesso procrastinata per dubbi e timori circa i possibili effetti collaterali. Le numerose evidenze a favore e le rare (anche se importanti) limitazioni di questa modalità di trattamento dell’eccesso di ormoni tiroidei devono essere ben presenti allo specialista che si trovi ad affrontare queste situazioni.
E’ evidente che, in una situazione così articolata, è importante affidarsi a centri ospedalieri che possano offrire una serie di procedure diagnostiche e di alternative terapeutiche adeguate alle diverse condizioni. “A questo fine, il convegno potrà avvalersi anche del contributo dei pazienti e delle loro associazioni il cui punto di vista è sempre più importante e determinante nella revisione dei protocolli clinici”, conclude Papini. [MORE]
Notizia segnalata da Maria D'Acquino