TabulaRasa Fesival 2013, destabilizzazione, senso di responsabilità e "buon" giornalismo
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TabulaRasa Fesival 2013, destabilizzazione, senso di responsabilità e "buon" giornalismo

martedì 23 luglio, 2013

REGGIO CALABRIA, 23 LUGLIO 2013 – Ancora grandi personaggi si sono alternati sul palcoscenico del TabulaRasa Festival 2013, e tantissimi sono stati questa settimana gli spunti di riflessione offerti dagli ospiti della manifestazione.

Il 16 luglio è stata la volta di Stefania Limiti, che attraverso l’analisi del suo testo “Doppio livello, come si organizza la destabilizzazione in Italia”, cerca di ricostruire una sorta di filo conduttore che lega vari episodi accaduti nel nostro Paese: dalla strage di piazza Fontana al rapimento di Aldo Moro, dalle stragi di mafia degli anni novanta finanche all'attentato di Luigi Preiti a Palazzo Chigi. Il tutto per arrivare a comprendere che “in realtà il tipo di impostazione che sta dietro la strategia della destabilizzazione non ha mai abbandonato il nostro Paese”. La giornalista ha spiegato il significato di quel “doppio livello che ci toglie la possibilità di ricostruire una verità univoca di ciò che è stato”, dicendo che “la strategia della tensione è stata un modo per evitare che l'Italia crescesse”.

La trattazione è avvenuta attraverso l’analisi di quasi mezzo secolo di storia italiana che, secondo la Limiti, ha prodotto questa destabilizzazione avvenuta attraverso la pianificazione di fatti “attorno a un tavolo ideale da soggetti di natura molto diversa, da una parte gli interessi criminali e dall'altra le motivazioni politiche”.
La giornalista ha anche messo in risalto come le stragi avvenute in Italia siano state non solo di grande peso ma anche di motivazioni spesso sconosciute, il tutto volto a bloccare un percorso di sviluppo del nostro Paese:

“E' vero che anche l'Irlanda ha le sue stragi ed i suoi morti, ma almeno li se ne conosce il motivo. Noi siamo ancora qui a chiedercelo e sappiamo che i responsabili reali di quei fatti non sono ancora stati puniti”.
Limiti ha concluso, poi, dicendo che si è trattato di “episodi che mi fanno pensare che c'è qualcuno che ci guarda attentamente e vuole impedire che l'Italia prenda un percorso di autodeterminazione del proprio futuro. La verità non ce la regala nessuno. Si tratta di domande che dobbiamo porre a noi stessi e alle quali speriamo si possa dare presto una risposta”.

Il 17 luglio la manifestazione è approdata a Lipari, dove sono stati premiati i vincitori della quarta edizione del premio Strillaerischia, rivolto ai giornalisti che osano, rischiano e si mettono in gioco al solo scopo di adempiere l’obbligo deontologico e morale della divulgazione delle notizie. Premiati quest’anno tre giornalisti di alto livello: Anna Migotto, inviata della trasmissione “Terra”, Susan Dabbous, giornalista free-lance, ed Eric Frattini, giornalista, professore e scrittore. In questa serata tantissime sono state le testimonianze di giornalisti, corrispondenti di guerra, che credono nel loro lavoro.

Anna Migotto ha dichiarato: “Io credo in un giornalismo che racconta le piccole storie. La nostra professione è diventata un percorso ad ostacoli e si investe sempre meno nell’informazione sul campo”. Susan Dabbous ha fatto riflettere sull’importanza delle notizie che riguardano i conflitti nel mondo: “Le guerre devono far parte della buona informazione come la buona alimentazione. Bisogna insegnare la buona informazione. Viviamo in un mondo globalizzato e quando ci sono grandi eventi come una guerra, la gente deve essere informata e deve imparare a conoscere quei luoghi”.

Interessante è stato anche l’intervento conclusivo di Eric Frattini che ha dichiarato che “i veri nemici che ostacolano l’informazione che riguarda i conflitti come quello in atto in Siria sono i direttori o i capo redattori che non finanziano un servizio sui luoghi di guerra. Utilizzare strumentalmente la crisi economica per non finanziare il viaggio di un giornalista è davvero inammissibile”.

Il 18 luglio ha visto come protagonista del TabulaRasa Umberto Ambrosoli, che ha trattato il tema del senso di responsabilità, riguardo al quale, ha detto, “abbiamo tutti bisogno di confronti seri per riflettere e poi impegnarsi, nei diversi contesti”. Esempio di grande senso del dovere sono stati, secondo Umberto Ambrosoli, due personaggi del nostro Paese: il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocato di Torino, Fulvio Croce, ucciso dalle Brigate Rosse e il Maresciallo Silvio Novembre, collaboratore di Giorgio Ambrosoli.

“Siamo tutti chiamati a vivere meglio la nostra responsabilità, al servizio degli altri, come senso dell’esistenza stessa. E qualche volta abbiamo il dovere di lanciarci anche in responsabilità diverse da quelle alle quali ci si è preparati per anni, da quelle messe in preventivo”, ha dichiarato Ambrosoli.
Importante anche il suo intervento sul concetto di intimidazione: “Io non mi permetto di giudicare la paura perché sarebbe inutile, come pretendere di valutare qualunque emozione, ma a me fa paura chi parte col principio di avere paura, perché questa diventa un alibi. L’intimidazione si combatte con gli esempi, di gente semplice, normale che ha affrontato la paura ed è riuscita a conviverci”.

Ambrosoli ha poi concluso dicendo che ognuno di noi ha il dovere di provare a vincere la paura “e guardate che non si tratta di semplice rispetto delle regole, ma di un qualcosa che è dentro di noi e che riguarda la nostra più intima sfera di dignità personale”.

Il 19 luglio Gioia Tauro ha visto cinque grandi dell’informazione affrontare il tema arduo del “Giornalismo in Calabria: quale futuro?”. Filippo Veltri ha spiegato che “Nel corso degli anni sono stato investito da un’amarezza assoluta relativa ad una prospettiva che immaginavo diversa per il giornalismo calabrese”. Veltri si è posto la domanda del perché, nonostante le nuove voci del panorama informativo calabrese, si sia poi in realtà finiti sempre meno sui giornali nazionali. Secondo “tutto il sistema informativo italiano” ha “delle deficienze”.

Anche Antonino Monteleone ha sottolineato la questione della mancanza di interesse per le “questioni” calabresi dicendo: “Ogni volta che propongo alle trasmissioni per cui lavoro o per le quali ho lavorato, di affrontare una problematica calabrese, l’entusiasmo non la fa da padrone. Nel nazionale, tutto ciò che riguarda Napoli in giù è difficile che trovi spazio perché, mi dicono i conduttori, ‘Non ci guarda nessuno là giù’. Ed è vero. I dati dicono che la Calabria ed altre regioni meridionali preferiscono le fiction all’approfondimento giornalistico”.

Ancor di più ha chiarito la cosa Giuseppe Baldessarro dichiarando: “Bisogna, in tutto questo fare i conti anche con i nuovi mezzi di comunicazione. Se l’argomento calabrese sul giornale online, anche nazionale, viene esaurito, il giorno dopo, sulla carta stampata, è difficile anche che ci sia il trafiletto dedicato all’argomento. Questo perché manca l’approfondimento e l’approfondimento non c’è perché la Calabria non conta nulla. Non abbiamo politici, imprenditori o intellettuali che abbiano un peso nel nostro Paese e la colpa è nostra. Noi non spostiamo l’economia, proprio qui a Gioia Tauro, abbiamo avuto un’occasione ed è stata sprecata perché noi e non gli altri, non abbiamo saputo costruirci intorno una realtà competitiva”.

Anche secondo Arcangelo Badolati “La Calabria è sempre stata ignorata. Mi viene da ridere quando penso che la ‘ndrangheta a livello internazionale è stata riconosciuta come esistente dalla stampa solo dopo la strage di Duisburg. Oppure quando sento Ilda Boccassini sorprendersi della ‘ndrangheta in Lombardia di cui ci si è resi conto con l’inchiesta "Crimine". In tutto ciò, però, la colpa è la nostra. Ricordiamo Pasolini e ‘La lunga strada di sabbia’, lui voleva raccontare la verità su quello che aveva visto in Calabria e noi, invece di sostenerlo, lo accusammo, lo insultammo perché osò scrivere la verità. Basta con i piagnistei”, ha concluso Badolati.

A seguito di una inadeguatezza giornalistica poi, sottolineata da Baldessarro, esiste anche una manchevolezza editoriale messa in evidenza da Lucio Musolino: “Aprire un giornale non ti rende editore. L’editore deve concentrarsi sul suo lavoro e non cercare di arricchire, come succede spesso in Calabria, il proprio patrimonio preesistente con il giornale, il più delle volte in danno alla realtà editoriale. Gli editori seri sono pochi e di conseguenza sono pochi i giornali seri che hanno una autorevolezza tale da legittimare la testata nei confronti del lettore. Qui da noi conta la firma, il nome e non la testata”.

Monteleone conclude poi dicendo: “se io che ho gestito o mal gestito una qualunque regione, ne gestisco l’informazione, all’elettore medio, che vuole sapere cosa succede dai giornali, che vuole informarsi sul mio operato, non arriverà che la verità che io voglio arrivi”.

(Foto dalla pagina facebook Tabularasa Strillit)

Katia Portovenero[MORE] 


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