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Sziget 2014: numeri da capogiro per un festival che fa girare la testa, anche agli italiani

BUDAPEST, 3 SETTEMBRE 2014 - La grande giostra dello Sziget Festival 2014 si è chiusa oramai da due settimane. Scriverne adesso, di primo acchito, potrebbe sembrare una perdita di tempo o, peggio, il risultato di un tempo perso, oramai fuggito.

Ma per chi, come me, ha preso parte e per l’intero “giro”, ovvero dall’11 al 18 agosto scorso con incluso campeggio, ad uno dei festival musicali più in auge nel panorama internazionale, tali giorni di ritardo sono frutto di ragioni differenti. Innanzitutto di una necessaria fase di “rehab”, ovvero riabilitazione. Un periodo indispensabile che non necessita di particolari spiegazioni o di fervida immaginazione per essere compreso. In secundis, tornare sul posto di lavoro, dopo una settimana di ferie, impone il rispetto di differenti scadenze. Ed infine, ma per la scrittura di tale articolo è momento imprescindibile, la metabolizzazione di quanto vissuto. Gli innumerevoli concerti visti, con l’annessa abnorme quantità di musica ascoltata, e la frastornante ma arricchente routine quotidiana, capace di farti vivere per sette giorni in una sorta di globo alternativo, dove musica, colori, luci e differenti lingue, determinano confini e contenuti insoliti, sono componenti di una esperienza ir-ripetibile, ovvero unica e quindi da ripetere.

Umori e sensazioni che valgono in particolar modo per questa edizione: la 22esima nella storia del festival. D’altronde, come più volte sottolineato dagli stessi organizzatori, questo è stato lo Sziget dei record. Sono state ben 415 mila le presenze complessivamente registrate al termine dell’evento, con il picco massimo registratosi giovedì 14 agosto con 85.000 visitatori. Per la cronaca, l’ultimo record risaliva al 2009 con 390.000 presenze totali. Numeri dunque da capogiro che confermano la qualità e l’eccellente organizzazione che da sempre contraddistinguono il festival ungherese. E giusto per mantenere sempre alte le ambizioni, non è nemmeno un caso se, quest’anno, la capacità giornaliera di accogliere nuovi visitatori sull’isola è stata incrementata da 70 a 85 mila ingressi. Una cifra non indifferente se si considera che gli affezionati residenti, ovvero i campeggiatori, sono stati tra i 32 e i 35 mila. Una scelta proficua dato che, come riferiscono sempre gli organizzatori, a fronte dei circa 300mila fiorini spesi in più rispetto alle precedenti edizioni, il guadagno è arrivato puntuale. E siccome “diamo i numeri” è bene notare come sulla Obudai Sziget, ovvero sulla vecchia isola di Buda (“sziget” in ungherese significa per l’appunto isola) siano sbarcati visitatori provenienti da ben 87 nazioni differenti. Una sorta di moderna e psichedelica Babilonia dove l’integrazione è sancita da 3 semplici elementi: dall’inglese, dalla musica e soprattutto dalla voglia di divertirsi tutti insieme più o meno san(t)amente.

Tutto ciò e tant’altro è la “giostra” dello Sziget. Sì, perché quella che nello slogan viene denominata in maniera onirica “Island of Freedom”, ovvero l’isola della libertà, si rivela soprattutto un’isola felice, non soltanto per gli spensierati e ludici giorni dei visitatori, ma in special modo per le tasche del governo magiaro. Quest’ultimo, a ragion veduta, investe circa 415 milioni di fiorini, ovvero più di un milione di euro, per supportare quello che è stato ribattezzato il “turismo del festival”. Oltre allo Sziget, infatti, l’Ungheria offre altri tre importanti festival musicali: Balaton Sound, Volt ed il Nagyon Balaton. Un finanziamento che, nella fattispecie, quest’anno è stato così ripartito: 256 milioni complessivi di fiorini per lo Sziget ed il Nagyon Balaton (circa 825.000 euro) e 150 milioni per il Balaton Soung ed il Volt (più di 480.000 euro). Uno sforzo ben ripagato visto che, come sottolinea la portavoce del governo ungherese, Eva Kurucz, il fatturato annuo che se ne ricava è pari a 100 miliardi (HUF), che significa più di 320 milioni di euro, equivalenti al 10-12% del reddito nazionale proveniente dal settore turismo.

Diventa oltremodo curioso scoprire, durante questo Sziget, quali fossero le nazioni maggiormente presenti. Dall’Oltreoceano ha prevalso, senza dubbio, l’Australia: una vera e propria sorpresa. Restando in Europa è stata invece l’Olanda a farla da padrone. A seguire Francia, Regno Unito, Italia e Germania. Turisti o, se preferite, migranti del divertimento. Definizione che, a mio modesto avviso, calza a meraviglia per gli italiani presenti sull’isola di Buda.

Sia chiaro, la presenza italiana allo Sziget non è soltanto occasionale, bensì strutturale sia sotto il profilo organizzativo che a livello musicale. A dimostrazione di quanto detto basterebbe notare come tra le aree più importanti vi di certo era il Puglia Village, all’interno del quale era presente l’Europe Stage, uno dei dodici palcoscenici presenti allo Sziget, la cui gestione era affidata a “L’Alternativa”, Puglia Sounds and Sziget Italia. Da sottolineare, inoltre, la presenza di uno studio di registrazione messo a disposizione dei musicisti presenti. Segno che, semmai ci fosse bisogno di ricordarlo, c’è un’Italia capace di produrre e distingursi in eccellenze, ma costretta ad emigrare per essere valutata e ripagata per come merita. È sul palco dell’Europa Stage che artisti come Caparezza, capace di riempire l’area di pubblico anche sotto il diluvio pomeridiano verificatosi il quarto giorno, Diodato, Salmo, Aucan e Rumatera si sono esibiti. Ma non soltanto loro, durante la manifestazione, alla nutrita delegazione italiana hanno preso parte anche Sica, The Bloody Beetroots, Canzoniere Grecanico Salentino, Christine e la Macchina Infernale, Joseph Capriati e M&M Fabrizi.

Tanta Italia in Ungheria, quindi. Ma, oltre ai musicisti, qualche considerazione in più andrebbe fatta per i suddetti “migranti del divertimento”. È un triste dato di fatto, infatti, che nel Belpaese non sono presenti festival musicali nemmeno paragonabili, per qualità, organizzazione e varietà di intrattenimento, allo Sziget. A tal proposito, soltanto per dare un’idea della capacità organizzativa mostrata dagli organizzatori magiari, si potrebbe accennare a quanto è avvenuto dopo le copiose piogge del quarto e quinto giorno, con le macchine escavatrici pronte a rimuovere il fango e a stendere della nuova sabbia asciutta. O ancora, i ragazzi addetti a ridipingere quotidianamente la grandi lettere dello Sziget che in maniera altrettanto puntuale diventavano spazio per l’estro, più o meno artistico, degli scanzonati visitatori. Insomma, il buon piglio si vede soprattutto nella cura dei dettagli ed in Ungheria lo sanno talmente bene da farne un modus vivendi.

Dalle nostre parti, invece, nulla di tutto ciò. Sarebbe da schiocchi o da illusi non ammettere che a questo genere di turismo, o alla creazione di tali eventi, le istituzioni italiane non ci credono. E a quei giovani di buona volontà e creatività che in questi anni ci hanno provato da soli, spesso sono state tagliate le gambe sul nascere. Così, oltre alla rinomata quanto ormai decaduta, poiché inevitabile e scontata, fuga di giovani, si aggiunge anche l’esodo dei vacanzieri da festival i quali da anni portano danaro in lidi stranieri. Ma se si vuole fare un’analisi a 360°, con piena autocritica, è bene dire che c’è un altro aspetto d valutare, una sorta di rovescio della medaglia. Scambiando “quattro chiacchiere” con diversi italiani, da anni fedelissimi frequentatori del festival, ho avuto la chiara ed altrettanto amara impressione che per molti di loro lo Sziget non fosse altro che un appuntamento sì imperdibile, ma senza tuttavia avere il minimo ricordo di chi fossero gli artisti presenti negli anni passati o peggio ancora senza nemmeno essere a conoscenza degli artisti presenti nell’edizione appena conclusasi.

Per carità, lungi da me, come recita l’adagio, il voler “fare di un’erba un fascio”, ma credo, magari sbaglio, che per molti italiani presenti lo Sziget non è molto di più di un braccialetto (il pass d’entrata al festival) da mostrare agli amici quando si ritorna in patria. Storie da raccontare alla fine dell’estate, quando è tempo di goliardici bilanci e tutti ti chiedono: “e tu? Dove sei andato in vacanza?” Non sia mai che si dica che ti sia annoiato o rimasto nella piscina del parente o dell’amico di turno, o magari nella triste zona balneare a te amica. E allora anche se non sarà rinomato o “figa” quanto Ibiza o Port Aventura, lo Sziget val bene sempre una tappa fissa oltreconfine. D’altronde, in quale altro luogo d’Europa puoi trovare un concentrato di stranieri provenienti da più parti del mondo, con sottofondo musicale a te più o meno conosciuto, con i quali fare baldoria fino alle prime luci dell’alba. Una sorta di sfilata intercontinentale che a ritmo di dance, rock, ska, pop music o musica elettronica, esibisce l’onda costante di bellezze svariate ed innumerevoli di qualunque genere e sesso. Ma chiedere di più sarebbe forse troppo.

Restano allora i ricordi di una settimana da brividi, non soltanto per il freddo patito in tenda, assieme alla consapevolezza di aver avuto la fortuna di ascoltare dal vivo gruppi del calibro dei Queens of the Stone Age, Placebo, Blink 182, The Prodigy, giusto per citarne qualcuno, o ancora deejay come Skrillex and Deadmau5. Il tutto nell’arco di pochi giorni. Per gli appassionati di musica elettronica, inoltre, lo stage A38 non era una possibilità in più, ma la certezza di ascoltare buona musica. E non poteva essere diversamente se a suonare vi erano artisti come Bonobo, Mount Kimbie o Nicolas Jaar, il quale, per l’occasione, si è presentato con i Darkside, un altro dei suoi sempre interessanti progetti. Semmai, unica pecca, è la deludente serata conclusiva che, eccezion fatta per gli effetti ottici regalati dalle luci ed i fuochi d’artificio, ha proposto un Calvin Harris capace soltanto di creare una semplice playlist con pause tra una traccia e l’altra. Roba che nemmeno un normale appassionato avrebbe il coraggio di fare con un qualunque programma di musica. Ripeto, unica pecca per un festival impeccabile.[MORE]

Onore dunque agli organizzatori che da anni, con passione e lungimiranza, fanno della cura del particolare un marchio di fabbrica. Onore e merito a chi crede in un progetto musicale e culturale di qualità e quantità capace di attrarre turisti da ogni parte del mondo. Chapeau Sziget e “hamarosan találkozunk”, ovvero “a presto”!

(Immagine di copertina da sziget.hu)

Giovanni Maria Elia